Gratuito patrocinio, i carichi pendenti per reati patrimoniali non escludono il beneficio
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 22854/2024, affermando un principio di diritto
Più garanzie per l’imputato di ottenere il beneficio del gratuito patrocinio in caso di presentazione di una dichiarazione di reddito sotto soglia. La Corte di cassazione, sentenza n. 22854/2024, affermando un principio di diritto, ha infatti chiarito che il tribunale non può ritenere la dichiarazione inattendibile semplicemente perché il richiedente “sarebbe gravato da carichi pendenti per reati contro il patrimonio” peraltro “non meglio indicati” e perché non è statO depositato il “certificato del casellario giudiziale”. Per la IV Sezione penale non si tratta di “specifici ed oggettivi elementi fattuali” di portata tale “da far ritenere che l’imputato percepisse redditi illeciti nel corso dell’anno 2019”.
Accolto dunque il ricorso di un uomo contro l’ordinanza del Presidente del Tribunale di Sciacca che aveva rigettato la sua opposizione contro il decreto del GIP che ne aveva respinto la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. L’imputato con istanza autocertificata aveva attestato la consistenza del nucleo familiare e un reddito 6.573,80 euro, inferiore a quello stabilito dalla legge per l’ammissione al beneficio. Il GIP, tuttavia, aveva considerato “rilevante” anche il reddito non rientrante nella base imponibile “perché tratto da attività illecita”, valorizzando “almeno quattro procedimenti per reati contro il patrimonio”. Procedimenti che “facevano presumere che l’imputato si alimentasse con attività illecite e che avesse un reddito superiore”.
L’imputato si è rivolto alla Suprema sostenendo che il ragionamento del presidente del Tribunale segue “uno schema logico presuntivo basato sulla circostanza, negativa, della mancata produzione del certificato del casellario giudiziale, in modo da inferirne il ragionevole convincimento della esistenza di redditi occultati derivanti da attività illecita”. Ma, prosegue, si tratta di un ragionamento di “portata meramente congetturale” che nasconde una “sostanziale elusione dell’obbligo di motivare i provvedimenti giudiziari”.
E la Cassazione gli ha dato ragione chiarendo in primis le ragioni del proprio rigore sul punto. Nell’ammissione al diritto alla difesa gratuita, argomenta la Corte, “pur non difettando un profilo di carattere patrimoniale, acquista innegabile peso la circostanza che il diritto di cui si discute si riverbera sull’effettivo esercizio del diritto di difesa nel processo penale”. “In tale ambito, quindi, appare razionale e conforme ai principi dell’ordinamento ritenere che, dato il carattere accessorio della controversia rispetto al processo penale, debbano trovare applicazione, fin dove è possibile, i principi e le regole dell’ordinamento penale”.
Dunque, a seguito del rigetto dell’istanza, il ricorrente può devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione che dovrà applicare la regola del giudizio prevista dall’art. 96 Dpr n. 115/2002, secondo la quale l’istanza va respinta “se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92 del Dpr n. 115/2002, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte”. Un giudizio che però “comporta per il giudice l’obbligo di motivare in relazione ai contenuti probatori, anche indiziari, acquisiti al processo”.
Da qui l’affermazione del seguente principio di diritto: “Il giudizio di cui all’art. 99 Dpr n. 115/2002 avverso il provvedimento con cui il magistrato competente rigetta l’istanza di ammissione non è a critica vincolata e consente una piena devoluzione delle questioni relative all’accertamento dei presupposti del beneficio al giudice competente”. “A seguito del rigetto dell’istanza, a prescindere dalle ragioni indicate nel provvedimento, posto che il ricorrente può devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione, lo stesso giudice dovrà applicare la regola di giudizio corrispondente a quella prevista dall’art. 96 Dpr n. 115/2002, con l’obbligo di procedere alla valutazione composita degli indici ivi indicati, compresi quelli indiziari (nel rispetto delle previsioni dell’art. 192 cod.proc.pen.), secondo le acquisizioni del processo e senza dare ingresso a presunzioni assolute o a criteri di gerarchia tra le medesime fonti di prova”.