Casi pratici

I controlli del datori di lavoro a seguito del JOBS ACT

La disciplina dei controlli a distanza nella prima stesura dell'art. 4 St. lav. ante Jobs Act

di Paolo Patrizio

LA QUESTIONE
Il datore di lavoro può installare apparecchiature per controllare i dipendenti? Quali sono i limiti di ammissibilità di un controllo a distanza? E' necessario consultare i sindacati? Come ed entro quali limiti possono essere utilizzati gli esiti di tali controlli? Che cosa è cambiato con il Jobs Act?


È principio costituzionale quello secondo il quale l'imprenditore ha libertà di iniziativa economica, potendo organizzare liberamente la propria impresa, purché nel rispetto dell'altrui «libertà e dignità umana» (art. 41 Costituzione).
Tale potere trova una specifica declinazione nelle norme del codice civile che riconoscono l'imprenditore/datore di lavoro quale «capo dell'impresa» da cui dipendono gerarchicamente i collaboratori e che gli conferiscono il potere di dettare le disposizioni «per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro» (art. 2104 c.c.), che i lavoratori subordinati sono tenuti a rispettare, pena l'irrogazione di sanzioni disciplinari (cfr. artt. 2086, 2104, 2105, 2106 c.c., art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei lavoratori).
Un indispensabile corollario di tali previsioni, nonché presupposto per l'esercizio della facoltà disciplinare, risiede allora nel potere del datore di lavoro di controllare che l'attività lavorativa sia eseguita in maniera effettivamente conforme alle direttive dallo stesso impartite.
Il potere di controllo, tuttavia, non va esente da limiti, che derivano dal contrapposto diritto dei lavoratori, inevitabilmente assoggettati alla vigilanza del datore di lavoro, al rispetto, anche sul luogo di lavoro, della propria riservatezza, dignità personale, libertà di espressione e di comunicazione.
Da quest'esigenza di contemperare contrapposti interessi traggono origine le norme dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), il cui titolo primo («Della libertà e dignità del lavoratore»), applicabile a tutti i lavoratori indipendentemente dalle soglie dimensionali dell'azienda, disciplina i diversi tipi di controllo esercitabili dal datore di lavoro sul luogo di lavoro, tra i quali in particolare il controllo a distanza (inteso in senso sia spaziale sia temporale) attraverso apparecchiature (art. 4 «Impianti audiovisivi»).
Più in particolare, l'originaria versione dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori disponeva: "1. E' vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

2. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti. 3. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al comma 2, del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti. 4. Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e comma 3, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19, possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale".La ratio della norma, letta nella sua interezza, era quella di dotare l'ordinamento di due livelli di protezione della sfera privata del lavoratore, articolati su di un meccanismo disponente: un primo divieto, pieno ed assoluto, della possibilità di esercizio del c.d. "Controllo fine a se stesso", ovvero quello esercitato attraverso l'utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di disamina a distanza dell'attività dei lavoratori, se non giustificato da profonde ragioni inerenti l'attività di impresa; ed una seconda previsione, più tenue, ammissiva del controllo a distanza dei lavoratori nel caso in cui le ragioni fossero state riconducibili ad esigenze oggettive dell'impresa, se pur condizionata alla stringente osservanza di specifiche procedure di garanzia di conio legislativo.Con tale soluzione di bilanciamento, si puntava a contenere e regolamentare il potere di organizzazione e controllo di derivazione datoriale, ritenendo imprescindibile che la vigilanza sul lavoro, certamente consentita, mantenesse nondimeno una dimensione umana, preservando la dignità e la riservatezza del lavoratore, vietando, in sostanza, l'utilizzo di quelle forme di controllo assiduo, continuo ed anelastico, possibile grazie all'avvento delle nuove tecnologie, che avrebbe finito con l'elidere ogni spazio di riservatezza, autonomia e libertà del dipendente in occasione dello svolgimento della propria prestazione lavorativa.Tuttavia, fin dagli albori della prima veste legislativa dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, la maggiore attenzione del dibattito giuridico/dottrinale fu subito polarizzata sulla tematica dei c.d. "controlli difensivi", posto che risultava da molti inaccettabile l'idea che l'adozione di un controllo finalizzato alla conservazione del patrimonio aziendale, per l'ipotesi di condotte illecite e/o dannose poste in essere dal personale sul luogo di lavoro, dovesse sottostare ai tempi ed alle rigide modalità della negoziazione sindacale ovvero dell'autorizzazione ministeriale, siccome soluzione di fatto stridente ed inutile rispetto alle esigenze di speditezza sottese alla tutela dei beni datoriali.Fu immediatamente evidenziato, in tema, come apparisse ingiustificabile la discrasia tra la riconosciuta legittimazione datoriale alla protezione delle dotazioni aziendali rispetto a condotte esterne, rispetto alla potenziale compressione dello stesso diritto ed esigenza qualora le medesime condotte fossero state poste in essere dai lavoratori operanti all'interno dell'ambiente produttivo.La giurisprudenza, dunque, elaborò la categoria dei c.d. Controlli difensivi, per consentire al datore di lavoro di tutelare il patrimonio aziendale in ipotesi di comportamenti illeciti del personale, stabilendo come tali controlli esulassero dall'ambito di applicazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, non richiedendo l'osservanza delle procedure e delle garanzie previste dalla norma, se disposti dopo l'attuazione della condotta illecita da parte del personale e se diretti ad accertare comportamenti lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale, così da prescindere dalla mera sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa.L'elaborazione giurisprudenziale sui controlli cd. difensiviCome poc'anzi evidenziato, negli anni, il rigore del divieto statutario sancito dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori ha trovato, non senza contrasti, un progressivo temperamento, grazie all'intervento di pronunce giurisprudenziali ed opinioni dottrinali, tese a sottrarre, dalla sfera di operatività del divieto in parola, taluni controlli, cd. "difensivi", in quanto diretti ad accertare o prevenire un comportamento illecito del dipendente o il verificarsi di una situazione di pericolo per i beni aziendali.Passando rapidamente in rassegna alcuni approdi evolutivi delle pronunce intervenute in materia, possiamo allora evidenziare come la Suprema Corte di Cassazione, in tal senso, è inizialmente intervenuta affermando che, ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art. 4, legge n. 300 del 1970, fosse necessario che il controllo riguardasse (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre dovevano ritenersi certamente fuori dell'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cosiddetti controlli difensivi), di cui però veniva offerta una nozione ampia che pareva abbracciare ogni controllo diretto ad accertare condotte illecite, anche quando le condotte illecite configurassero al tempo stesso violazioni degli obblighi contrattuali.In un secondo momento, invece, si è assistito all'avvento di pronunce più contenute, che circoscrivevano la legittimità dei controlli datoriali non preventivamente autorizzati – anche ove effettuati mediante agenzie investigative – solo qualora risultassero diretti ad accertare la commissione di illeciti lesivi di beni estranei al rapporto di lavoro e purché attivati o eseguiti sulla base di indizi o perlomeno sospetti di "colpevolezza" (Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722, riportata in massima nella rassegna giurisprudenziale in calce), mentre i controlli diretti a rilevare condotte illecite che consistono nella violazione di obblighi contrattuali avrebbero richiesto il rispetto della procedura di cui all'art. 4, legge n. 300/1970.Solo al ricorrere di tali condizioni, gli esiti dei controlli difensivi potevano essere utilizzati anche eventualmente a fini disciplinari.Sulla base dei predetti principi, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, legittimo il controllo delle strutture informatiche aziendali per conoscere il testo dei messaggi di posta elettronica inviati da un dipendente bancario a soggetti esterni cui forniva informazioni acquisite in ragione del servizio, poiché lo stesso prescinde dalla semplice sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa ed è, invece, diretto ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti.Così come è stato ritenuto lecito l'utilizzo, da parte del datore di lavoro, di registrazioni video operate fuori dall'azienda da un soggetto terzo, estraneo all'impresa e ai lavoratori dipendenti della stessa, per esclusive finalità "difensive" del proprio ufficio e della documentazione in esso custodita (Cass. 28 gennaio 2011, n. 2117, riportata in massima nella rassegna giurisprudenziale in calce).Più discusso, invece, l'arresto della Suprema Corte sulla ritenuta legittimità «della creazione da parte del datore di lavoro di un falso profilo facebook attraverso il quale chattare con il lavoratore al fine di verificare l'uso da parte dello stesso del telefono cellulare durante l'orario di lavoro», sostenendo che tale sistema di controllo esuli «dal campo di applicazione dell'art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, trattandosi di un'attività di controllo che non ha a oggetto l'attività lavorativa e il suo esatto adempimento ma l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, idonei a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti» (Cass. 27 maggio 2015, n. 10955, riportata in massima nella rassegna giurisprudenziale in calce).In ogni caso, la Suprema Corte, anche ove era giunta a legittimare i controlli difensivi, non aveva mancato di precisare le tre condizioni essenziali per l'ammissibilità di tale forma di controllo a distanza dei lavoratori, ovvero:la necessità che l'iniziativa datoriale avesse la finalità specifica di accertare determinati comportamenti illeciti del lavoratore;la necessità che gli illeciti da accertare fossero lesivi del patrimonio o dell'immagine aziendale (Cfr., tra le altre, Sez. L, 23 febbraio 2012, n. 2722, cit. e riportata in massima nella rassegna giurisprudenziale in calce);la necessità che i controlli fossero stati disposti ex post, ossia dopo l'attuazione del comportamento in addebito, così da prescindere dalla mera sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa, evitando soluzioni per così dire "a pioggia" adottate in via preventiva e solo potenziale.Va però evidenziato come tale ultimo presupposto di legittimità del controllo difensivo fosse ritenuto, da parte della giurisprudenza, solo "eventuale", siccome considerato come mero fattore confermativo, con la conseguenza che la mancanza di tale profilo non avrebbe inciso sulla valutazione della legittimità del controllo in caso di ricorrenza delle prime due condizioni indispensabili.A ciò si aggiunga come a tali iniziali previsioni di legittimazione preventiva, vennero progressivamente affiancate ulteriori condizioni attuative, posto che fu a più riprese evidenziato come le attività di accertamento e controllo datoriale dovessero essere rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, attuate secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale, rispettose dei principi di adeguatezza, proporzionalità e pertinenza, in modo tale da evitare l'eccessiva compressione dell'autonomia e della riservatezza del lavoratore nello svolgimento della sua attività lavorativa.Il nuovo testo dell'articolo 4 dopo il Jobs ActCon la modernizzazione delle tecniche di lavoro e l'avvento di sempre più nuove tecnologie, il problema dei limiti al controllo datoriale sull'attività lavorativa ha fomentato l'ampio dibattito che ha condotto alla modifica dell'art. 4 St. lav. a opera del D.Lgs. n. 151/2015, al fine di stabile un regime e una disciplina del controllo diversi a seconda che lo stesso verta sugli "impianti" (quali, a esempio, sistemi di videosorveglianza) o, invece, sugli "strumenti di lavoro" (quali, a esempio, personal computer e cellulari).Nel 2015, infatti, nel prevedere, in particolare, i principi e criteri direttivi per una riforma ampia e complessa del diritto del lavoro, la legge delega n. 183/2014, ha annunciato all'art. 7, lett. f, la ".. revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore..".Viene quindi partorita la novella dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ad opera dell'art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, il quale così disponeva:"1. La L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 4, è sostituito dal seguente:

"Art. 4 (Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo). -

1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilita' di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in piu' regioni, tale accordo puo' essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive dislocate negli ambiti di competenza di piu' Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

2. La disposizione di cui al comma 1, non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2, sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalita' d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 ..".

Successivamente, a distanza di un anno, è intervenuto in parziale rettifica, il Decreto Legislativo 24 settembre 2016, n. 185, che all'articolo 5, comma 2, dispone "... Alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 4, comma 1, il terzo periodo e' sostituito dai seguenti: In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle (recte: della) sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita' produttive dislocate negli ambiti di competenza di piu' sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.

Vengono così delineate due fattispecie:

a)- la prima riguarda «gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori» la cui installazione resta – come in passato – vietata, salvo il ricorrere di una duplice condizione:

gli impianti e gli altri strumenti «possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale» (accogliendo, con la menzione di tale ultima ragione di controllo, l'approdo già raggiunto dalla giurisprudenza maggioritaria); l'installazione degli stessi è subordinata all'accordo sindacale o, in mancanza, all'autorizzazione amministrativa.

Sotto il profilo più strettamente tecnico, la nuova norma contiene alcune precisazioni che riguardano i soggetti competenti all'autorizzazione all'installazione di impianti di controllo, in una prospettiva di semplificazione. Viene, così, stabilito che in ipotesi di imprese con unità produttive situate in province diverse della stessa regione ovvero in più regioni distinte, l'accordo sindacale può essere stipulato con le rappresentanze aziendali (r.s.a. o r.s.u.) oppure con le rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Senza, peraltro potersi escludere che il datore di lavoro pervenga a un accordo aziendale o di prossimità ai sensi dell'art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011 per regolare e disciplinare l'installazione di impianti audiovisivi o l'uso delle nuove tecnologie, espressamente menzionata tra i contenuti regolatori di tali accordi, pur sempre per perseguire le finalità indicate dalla norma (maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti, avvio di nuove attività).

Specularmente a quanto previsto per gli accordi sindacali, in mancanza di accordo, laddove l'azienda sia strutturata in più unità produttive situate in province diverse e, dunque, «dislocate negli ambiti di competenza di più Ispettorati (già Direzioni) territoriali del lavoro», l'autorizzazione può essere rilasciata dall'Ispettorato Nazionale del lavoro (in precedenza dal Ministero del Lavoro) – senza che sia necessario, dunque, ottenere l'autorizzazione delle diverse articolazioni territoriali interessate – al fine di evitare una pluralità di istruttorie con possibili esiti differenziati e conseguenti difficoltà di gestione per l'impresa.Ebbene, appare sostanzialmente evidente come, anche a seguito della riforma, rimanga intatto il nucleo "duro" del divieto di controllo datoriale a distanza sulla prestazione lavorativa, posto che allorché tale controllo venga effettuato attraverso impianti audiovisivi o altri strumenti, ivi compresi, dunque, specifici software che venissero appositamente installati e dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, è ancora richiesto un vaglio sindacale o amministrativo di carattere preventivo, che consenta di verificare la legittimità delle ragioni del controllo e, per questa via, permetta di evitare potenziali pregiudizi per la dignità e la riservatezza dei lavoratori.

b)- Il secondo comma del nuovo art. 4 costituisce, invero, la reale novità della Riforma, dal momento che viene espressamente cristallizzato il principio per cui i limiti e le procedure "di garanzia" di cui al primo comma non si applicano «agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze».

Ne deriva, che tablet, cellulari, personal computer e qualsiasi altro strumento utilizzato dal lavoratore per svolgere la propria attività non esigono la verifica di precise ragioni giustificative per la loro adozione in azienda, né il preventivo accordo sindacale o l'autorizzazione ministeriale.

La nuova previsione ha destato non poche perplessità, instillando in taluni il dubbio di una avvenuta e piena liberalizzazione del controllo a distanza mediante i dispositivi tecnologici a disposizione del lavoratore nell'esercizio della prestazione lavorativa.Forse anche in ragione di tali prime reazioni, il Ministero del Lavoro, con la nota del 18 giugno 2015 – e dunque prima ancora che la disposizione fosse definitivamente emanata – ha precisato che «l'espressione "per rendere la prestazione lavorativa" comporta che l'accordo o l'autorizzazione non servono se, e nella misura in cui, lo strumento viene considerato quale mezzo che "serve" al lavoratore per adempiere la prestazione: ciò significa che, nel momento in cui tale strumento viene modificato (a esempio, con l'aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall'ambito della disposizione: in tal caso, infatti, da strumento che "serve" al lavoratore per rendere la prestazione il pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione. Con la conseguenza che queste "modifiche" possono avvenire solo alle condizioni ricordate sopra: la ricorrenza di particolari esigenze, l'accordo sindacale o l'autorizzazione».Da ultimo, il terzo comma del nuovo art. 4, prevede che le informazioni raccolte ai sensi dei commi precedenti – e dunque sia attraverso l'uso di impianti autorizzati sia attraverso l'uso di strumenti aziendali per i quali non occorre l'autorizzazione – «sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».

L'uso dei dati derivanti dal controllo sull'attività lavorativa per «tutti i fini connessi al rapporto di lavoro» e, dunque, anche a fini disciplinari, è consentito solo nel rispetto della disciplina vigente a tutela della privacy.In tal senso, secondo la nota del Ministero del Lavoro del 18 giugno 2015, il nuovo art. 4 rafforzerebbe ancor di più rispetto al passato la posizione del lavoratore, imponendo: «che al lavoratore venga data adeguata informazione circa l'esistenza e le modalità d'uso delle apparecchiature di controllo (anche quelle, dunque, installate con l'accordo sindacale o l'autorizzazione della DTL o del Ministero)», con riferimento, quindi, alle finalità e alle modalità del trattamento dei dati, alla natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati, alle conseguenze di un eventuale rifiuto, ai soggetti cui tali dati possono essere comunicati e ai responsabili aziendali del trattamento dei dati, nonché dei diritti, anche di verifica e cancellazione dei dati raccolti (artt. 13 e 7, D.Lgs. n. 196/2003).

Pertanto, si dovrebbe ritenere che, qualora il lavoratore non sia stato adeguatamente informato delle modalità di utilizzo degli impianti o degli strumenti di lavoro e dei dati ivi contenuti, gli stessi non possano essere utilizzati ad alcun fine, nemmeno disciplinare.

Il richiamo al D.Lgs. n. 196/2003 ha consentito sin da subito, in ottica garantista, il rinvio a tutta una serie di provvedimenti assunti in materia dal Garante della privacy, come la soggezione dei controlli al rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza, con esclusione dell'ammissibilità dei controlli prolungati, costanti e indiscriminati e l'imposizione della regola della cancellazione periodica e automatica dei dati personali di accesso (vedasi in tal senso le Linee guida del Garante per la protezione dei dati personali per posta elettronica e internet del 1 marzo 2007); ovvero la previsione delle regole per i sistemi di videosorveglianza, disponenti, tra le altre, l'adeguata segnalazione dei luoghi videosorvegliati, la conservazione limitata dei dati (per un massimo, di regola, di 24 ore) e la doverosa previsione della possibilità di accesso ai dati raccolti da parte degli interessati (vedasi in tal senso il Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali in materia di videosorveglianza dell'aprile 2010).

Appare, in ogni caso, sin da subito evidente come, anche a seguito della novella legislativa, i controlli aventi ad oggetto il patrimonio aziendale restino assoggettati ai medesimi presupposti di legittimità ivi previsti, per cui si posta la questione inerente la sopravvivenza della categoria dei "controlli difensivi", ovvero se questi stessi non debbano oramai ritenersi completamente attratti nell'area di operatività dell'articolo 4 St. lav., avendo il legislatore indicato, tra le esigenze da soddisfare mediante l'impiego dei dispositivi potenzialmente fonte di controllo, accanto a quelle organizzative e produttive e a quelle relative alla sicurezza del lavoro, per l'appunto quelle di "tutela del patrimonio aziendale".

Ebbene, parte della giurisprudenza tende ad operare una distinzione tra i "controlli difensivi" in senso lato e quelli in senso stretto.In particolare, la prima attività di discernimento selettivo andrà operata per distinguere i controlli a difesa del patrimonio aziendale (ovvero quelli svolti nei confronti di tutti i dipendenti che, nello svolgimento della loro prestazione di lavoro, interagiscono con i beni aziendali e che, avendo una funzione di tutela preventiva ed indifferenziata, dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell'articolo 4 novellato in tutti i suoi aspetti) ed i "controlli difensivi" in senso stretto, diretti ad accertare specifiche condotte illecite da parte di singoli dipendenti sulla base di concreti indizi o sospetti di colpevolezza, poste in essere durante la prestazione di lavoro.

Ebbene, per molti commentatori, tali controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, resterebbero confinati, anche a seguito della novella dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, fuori dal perimetro applicativo della norma, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore. In effetti, come e' stato osservato, se l'istituzionalizzazione della procedura richiesta dall'articolo 4 per l'installazione dell'impianto di controllo sarebbe coerente con la necessità di consentire un controllo sindacale, e, nel caso, amministrativo, su scelte che riguardano l'organizzazione dell'impresa; meno senso avrebbe l'applicazione della stessa procedura anche nel caso di eventi straordinari ed eccezionali costituiti dalla necessita' di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore.

Naturalmente, ciò non significa che il datore di lavoro, in presenza di un mero sospetto di attività illecita, possa avere mano libera nel porre in essere controlli sul lavoratore interessato, permanendo assolutamente in vigore il principio applicativo che esclude un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore.In primo luogo, allora, sarà dunque necessario assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto (Cass. 26682/2017, cit., riportata in massima nella rassegna giurisprudenziale in calce).

In secondo luogo ed in aggiunta, il controllo "difensivo in senso stretto" dovrà essere mirato e dovrà essere attuato ex post, ossia a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto. Occorre però chiarire come tale controllo non potrebbe riferirsi all'esame ed all'analisi di informazioni acquisite in violazione delle prescrizioni di cui all'articolo 4 St. lav., poichè, in tal modo opinando, l'area del controllo difensivo si estenderebbe a dismisura, con conseguente annientamento della valenza delle predette prescrizioni.Il datore di lavoro, infatti, potrebbe, agevolmente aggirare il divieto normativo ove si consentisse allo stesso di poter acquisire per lungo tempo ed ininterrottamente ogni tipologia di dato, in difetto di autorizzazione e/o di adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, provvedendo alla relativa conservazione, per quindi invocarne ad hoc la natura mirata (ex post) del controllo incentrato sull'esame ed analisi di quei dati. In tal caso, invero, il controllo non sarebbe giammai effettuato ex post, poichè ciò che effettivamente sarebbe effettuato ex post risulterebbe la mera attività di successiva lettura ed analisi dei dati da tempo raccolti.

Per aversi un valido controllo ex post, dunque, il datore di lavoro, che abbia il fondato sospetto circa la commissione di illeciti ad opera del lavoratore, dovrà iniziare la raccolta delle informazioni solo dopo l'insorgenza del sospetto di avvenuta commissione di illeciti ad opera del dipendente.

Considerazioni conclusive

Possiamo a questo punto concludere, evidenziando, in sintesi, come, con la modernizzazione delle tecniche di lavoro e l'avvento di tecnologie sempre più all'avanguardia e penetranti, il problema dei limiti al controllo datoriale sull'attività lavorativa abbia contraddistinto l'ampio dibattito che ha condotto alla modifica dell'art. 4 St. lav. ad opera del D.Lgs. n. 151/2015, al fine di stabile un regime e una disciplina del controllo diversi a seconda che lo stesso verta sugli "impianti" (quali, a esempio, sistemi di videosorveglianza) o, invece, sugli "strumenti di lavoro" (quali, a esempio, personal computer e cellulari).

La riforma dei controlli a distanza, contenuta nel D.Lgs. n. 151/2015 come successivamente modificato ed integrato, ha, dunque, mantenuto inalterata la disciplina sull'installazione di impianti di controllo, soggetta sempre alla duplice limitazione delle finalità del controllo e delle procedure di autorizzazione preventive a carattere sindacale o amministrativo; la novità sostanziale ha invece riguardato esclusivamente gli strumenti per lo svolgimento della prestazione, per il cui uso in azienda il datore di lavoro non dovrà adempiere ad alcuna procedura preventiva.

A ben vedere, tuttavia, tale previsione di obiettiva apertura operativa in materia di vigilanza datoriale non autorizza né l'installazione sugli strumenti di lavoro di specifici (es software) tesi al controllo del lavoratore, né – comunque – un uso indiscriminato dei dati raccolti mediante gli strumenti di lavoro (accessi a internet, contenuti di mail aziendali o personali, tempi e luoghi di utilizzo dei files aziendali, telefonate effettuate, etc.) a fini disciplinari.Tale possibilità soggiace, infatti, non solo alla previa e specifica informativa dei lavoratori in relazione alle modalità di uso di tali strumenti e alle modalità di controllo dei dati raccolti, ma più ampiamente a tutta la disciplina regolatoria e sanzionatoria contenuta nel Codice della Privacy.

Sopravvive, invece, la categoria dei "controlli difensivi", siccome considerati dalla giurisprudenza non completamente attratti nell'area di operatività dell'articolo 4 St. lav, che restano consentiti in quanto finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purchè sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore ed a condizione che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto.

Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua della L. n. 300 del 1970, articolo 4, in particolare dei suoi commi 2 e 3".

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