Penale

I corsi di recupero imposti dal Codice rosso non sono retroattivi ma se applicati la pena è legale

Gli obblighi cui è subordinata la concessione della condizionale agli uomini violenti se imposti per fatti <i>ante</i> 2019 vanno impugnati, in caso contrario la questione non può essere proposta la prima volta in sede di legittimità

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di Paola Rossi

La Corte di cassazione penale con due sentenze ha affrontato il tema della violenza di genere e anche specificatamente la condotta persecutoria.

I due aspetti emergenti sono quelli dell’applicazione retroattiva di ulteriori obblighi previsti per l’accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena e quella della necessaria rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa decisiva, posta a fondamento delle decisione di secondo grado che ribalta l’esito processuale.

Nel primo caso - con la sentenza n. 40505/2024 - i giudici di legittimità hanno chiarito che i nuovi obblighi posti al condannato per godere del beneficio della sospensione condizionale previsti per reati cosiddetti da “codice rosso” tutti assimilabili nella categoria della violenza di genere - introdotti a partire dal 2019 - non sono retroattivi, ma la loro applicazione non è impugnabile per la prima volta in Cassazione non venendo in rilievo un caso di illegalità della pena.

Infatti, il ricorrente non aveva presentato sul punto motivi di appello contro l’obbligo che gli veniva imposto di dover seguire uno specifico percorso di recupero rivolto agli uomini violenti verso le donne al fine di poter fruire della sospensione condizionale della pena inflittagli per stalking contro la propria ex moglie.

La Cassazione respinge il ricorso rilevando che comunque tale aggravio nella fruizione del beneficio non arriva a porre nel nulla la scelta legislativa di non condurre in carcere chi abbia avuto una condanna “contenuta” quantitativamente e che consente una via alternativa di espiazione. La Cassazione infatti, nel ripercorrere propri precedenti fa rilevare che la sospensione condizionale della pena e la sua errata applicazione non determinano l’illegalità della pena stessa. Come esempio la Cassazione fa quello della sentenza di patteggiamento che nel prevedere la condizionale non comprenda gli obblighi, che vanno imposti a norma del nuovo comma quinto dell’articolo 165 del Codice penale: senza che ciò determini illegalità della pena patteggiata e senza possibilità di ricorrere contro l’accordo in sede di legittimità. Infatti, il patteggiamento è ricorribile per cassazione solo nel caso di pena illegale.

Nel secondo caso - con la sentenza n. 40504/2024 - la Suprema Corte ha, invece, affrontato il caso del marito separando condannato per stalking in secondo grado a seguito del ribaltamento dell’assoluzione che lamentava la mancata rinnovazione dibattimentale di tutte le testimonianze raccolte nel processo e la mancata verificazione dell’evento che concretizza lo stalking cioè il perdurante stato d’ansia della persona offesa.

Partendo dal tema della necessaria rinnovazione della prova dichiarativa a fronte di un ribaltamento - positivo o negativo - della sentenza di primo grado la sentenza di legittimità precisa che vanno rinnovate solo le prove ritenute decisive dal giudice o dalla parte che ne illustra i profili di decisività. Non c’è quindi un generico obbligo di rinnovazione di tutto quanto sia stato dichiarato in sede processuale dalle parti e dai testimoni. Neanche quando il giudce di secondo grado oblitera l’assoluzione procedendo alla condanna dell’imputato.

Ma, infine, precisa la Corte che - comunque sia - il ricorso per cassazione che contesti la mancata rinnovazione di una testimonianza deve necessariamenete anche illustrare i profili di decisività della stessa ai fini di un diverso approdo decisorio. La Corte ricorda anche che le dichiarazioni della parte offesa ben possono costituire il fondamento della responsabilità penale dell’imputato. Così come - in caso di condanna che segua un’assoluzione - se la prova fondamentale si fondava sulla testimonianza della vittima il giudice di secondo grado che ne rinnovi l’acquisizione dibattimentale e le attribuisca in modo argomentato e sufficiente una valenza contraria ha ben assolto il proprio onere motivazionale rafforzato da porre abase del ribaltamento del giudizio. Non ha alcun valore il motivo di ricorso in sede di legittimità con cui il ricorrente lamenti la mancata rinnovazione dell’escussione di testi di cui non prova la decisività.

Infine, il ricorrente lamentava la mancata prova dello stato di ansia e paura della vittima di cui, invece, era dimostrato il cambio di abitudini in conseguenza allo stalking del marito. Ciò che non costituisce altro che la dimostrazione dell’attidudine costrittiva delle condotte reiterate a danno della donna.

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