Comunitario e Internazionale

I limiti dell'Industria 4.0 - La strategia europea verso una visione trasformativa dell'Europa: le potenzialità dell'Industria 5.0

E' ampiamente riconosciuto come il cambiamento climatico sia una conseguenza della nostra incapacità di gestire i conflitti e le contraddizioni attuali, determinando un sempre più difficile rapporto tra l'ecosistema terrestre e l'umanità

di Marco Letizi*

E' ampiamente riconosciuto come il cambiamento climatico sia una conseguenza della nostra incapacità di gestire i conflitti e le contraddizioni attuali, determinando un sempre più difficile rapporto tra l'ecosistema terrestre e l'umanità.

Una causa fondamentale del cambiamento climatico è il modo in cui viene prodotta e distribuita la ricchezza economica atteso che l'attuale sistema di mercato a livello globale produce anche povertà ecologica e sociale

Nell'ultimo decennio, l'Europa ha gradualmente intensificato il proprio impegno per la trasformazione industriale, soprattutto lavorando alla transizione verso la cosiddetta Industria 4.0, un paradigma essenzialmente tecnologico che si pone l'obiettivo di conseguire una maggiore efficienza attraverso la connettività digitale e l'intelligenza artificiale, nonché di migliorare la qualità del settore industriale.

Tuttavia, tale paradigma, così come è attualmente concepito, non è in grado di superare le sfide imposte dall'attuale crisi climatica ma, al contrario, è strutturalmente allineato con gli obiettivi di ottimizzazione dei modelli di business e del pensiero economico che sono alla base delle minacce che ci troviamo ad affrontare.

Il limite dell'Industria 4.0 non è rappresentato solo da un'economia digitale basata sul modello del chi vince prende tutto (che crea monopolio tecnologico e disuguaglianza sociale), ma anche dall'assenza di una dimensione prospettica necessaria per rendere possibile una trasformazione sistemica e per assicurare il necessario disaccoppiamento dell'uso delle risorse e dei materiali dagli impatti negativi per l'ambiente, il clima e la società.

E' evidente come i limiti imposti dall'Industria 4.0, vincolati alla crescita economica e tecnologica dell'attuale modello economico estrattivo di produzione e consumo, non siano in grado di consentire all'Unione europea di conseguire gli ambiziosi obiettivi indicati nel Green Deal.

Nel gennaio 2022, il gruppo di esperti di alto livello sull'impatto economico e sociale della ricerca e dell'innovazione (ESIR) della Commissione europea ha pubblicato uno studio che lancia un nuovo paradigma volto a supportare il processo di reintegrazione del sistema economico nell'ecologia, ispirandosi ai principi contenuti nel Green Deal europeo lanciato dal legislatore europeo appena tre anni prima.

In particolare, l'ESIR evidenzia come per realizzare un modello più equilibrato di valore nel tempo, capace di trovare un balance tra capitale umano, naturale e finanziario, sia necessario un decisivo allontanamento dai modelli del capitalismo neoliberista, incentrato sulla produzione a scopo di lucro e sulla supremazia degli azionisti e che tale inversione di rotta sia possibile attraverso il programma introdotto dal concetto di Industria 5.0.

L'obiettivo che la Commissione europea si pone, così come delineato nel paper dell'ESIR è di superare i limiti della crescita determinata dal PIL, incentivando processi resilienti in seno all'attuale sistema economico, capaci di trasformare questo ultimo in una nuova serie di ecosistemi economici più resistenti agli shock e agli stress futuri e accelerando, in tal guisa, la transizione verso l'era del benessere sostenibile per tutti.

Il futuro della strategia industriale europea, così come descritto dall'ESIR, fonda i suoi elementi costitutivi sull'Industria 5.0 e premia un sistema economico resiliente, sostenibile, rigenerativo e circolare, abbandonando i modelli lineari di sovrapproduzione e consumo a breve termine determinati dall'attuale sistema di mercato.

Nel suo tentativo di costruire un futuro più sostenibile, l'Unione europea non deve solo proteggere e preparare ma deve trasformare radicalmente la propria economia, lo stile di vita dei suoi cittadini e il suo rapporto con l'ambiente.

L'ambizione dichiarata dalle autorità di governo europee di porre al centro delle proprie politiche le persone, il pianeta e la prosperità - con il precipuo fine di mitigare i rischi dell'impatto del climate change sulle organizzazioni e, nel contempo, attuare misure capaci di ridurre gli effetti negativi delle attività di dette organizzazioni sull'ambiente - non si è poi tradotta in concrete iniziative, approdando a risultati piuttosto deludenti in settori chiave come la tassonomia per gli investimenti sostenibili, il tentativo di riorientar l'agenda per il miglioramento della regolamentazione verso un paradigma post-PIL e con gli Stati membri sostanzialmente impegnati a proteggere le attuali attività economiche e sociali nel breve periodo piuttosto che creare le condizioni preliminari per il cambiamento.

In questo contesto, che richiede a tutti gli elementi del governo e della società civile di guidare il cambiamento, il ruolo dell'industria è fondamentale.

Senza una profonda trasformazione industriale, sarà difatti impossibile per l'Unione europea realizzare la sua ambizione di diventare un'economia più resiliente, sostenibile, circolare e rigenerativa, preservando e alimentando la sua competitività a livello internazionale.

E' necessaria una nuova visione, molto più ambiziosa e sistemica, per l'industria unionale rispetto a quella attuale. Ciò richiederà una profonda trasformazione dei modelli di business con una riprogettazione delle value chains, volte alla produzione di benessere per la società e per il pianeta, l'adozione di metriche e indicatori che consentano di misurare i progressi compiuti verso questa visione, l'adozione di un nuovo paradigma normativo in linea con i principi introdotti dall'Industria 5.0, un radicale cambiamento della politica unionale anche in termini di investimenti finanziari e di corporate governance, nonché la proposta di una serie di approcci abilitanti alla cosiddetta transizione gemellare dell'Europa, che intende collegare la trasformazione digitale con la sostenibilità e l'azione per il clima.

Pertanto, con l'Industria 5.0 si passa a una visione più trasformativa della crescita, incentrata sul progresso e sul benessere umano (human centric), sui principi di giustizia e inclusione sociale, di riduzione e spostamento dei consumi verso nuove forme di creazione di valore economico sostenibile, circolare e rigenerativo, sull'adozione di tecnologie che non sostituiscono, ma (ove possibile) integrano le capacità umane, sull'eliminazione dell'uso di combustibili fossili e improntata a criteri di efficienza energetica, a soluzioni basate sulla natura, sulla rigenerazione dei bacini di assorbimento del carbonio, sulla tutela della biodiversità e sulla creazione di nuovi percorsi di sviluppo sostenibile in rispettosa interdipendenza con i sistemi naturali.

In estrema sintesi, piuttosto che rappresentare un ulteriore balzo tecnologico in avanti, l'Industria 5.0 trasforma la visione rentier dell'Industria 4.0 in una prospettiva rigenerativa, capace di accrescere la prosperità delle persone e del pianeta. In conformità con i principi post-capitalisti introdotti dall'Industria 5.0, il nuovo modello di impresa europea dovrà basarsi sui principi del nuovo pensiero economico (resilienza, sostenibilità, economia circolare, giustizia sociale, forme di capitale multivalenti e low-carbon), gestire i rischi strategici del climate change (rischi di transizione), contrastare il degrado ambientale e l'instabilità socio-politica e, per essere competitivo, dovrà essere riconosciuto, promosso e ricompensato dai mercati finanziari.

La trasformazione dei modelli di business permetterebbe all'Unione europea di esercitare una maggiore leadership globale sui punti di svolta climatici e sociali, rafforzando peraltro la credibilità della volontà dell'Europa di adottare un Carbon Border Adjustment Mechanism, fondamentale per mantenere condizioni di parità per le imprese europee a livello internazionale.

L'approccio Industria 5.0 riunisce i seguenti tre principi sistemici chiave: progettare per eliminare gli sprechi e l'inquinamento; mantenere i prodotti e i materiali nell'uso e nella circolazione produttiva; rigenerare i sistemi naturali e migliorare i pozzi di assorbimento del carbonio. Il nuovo sistema economico, in linea con i principi dell'Industria 5.0, è permeato da processi circolari e implica inevitabilmente la rigenerazione del capitale naturale e il ripristino del capitale sociale.

Una prospettiva sistemica include una rinnovata attenzione alla creazione di un'economia industriale o produttiva rinnovata a tutte le scale - in contrapposizione a un'economia lineare, estrattiva (o rentier) espansa e parassitaria - che non si limita a estrarre e consumare i capitali naturali e sociali (o li scambia con capitale finanziario), ma prevede anche che il surplus finanziario venga reinvestito in gran parte in attività esistenti piuttosto che crearne di nuove. Nella nuova prospettiva, è quindi possibile creare un'economia circolare coerente con la nostra comprensione delle relazioni ecosistemiche, in linea con il principio del mantenimento dei capitali e delle scorte e che sia al servizio del sistema economico nel suo complesso.

Nell'attuale Industria 4.0, il tentativo di far rientrare nel concetto di circular economy una serie di iniziative, pubblicizzate come circolari - ma che, in realtà, appartengono ancora al tradizionale sistema economico caratterizzato da relazioni di tipo lineare - non è forse una forma allargata di greenwashing? L'attuale sistema economico si dichiara, difatti, sempre più circolare ma è ancora fortemente intossicato da materiali e dinamiche economiche estrattive finanziarizzate. Insomma, è come trovarsi in un mare infestato da navi pirata che battono la bandiera della circular economy.

La logica dell'attuale sistema economico rimane saldamente lineare.

A tutt'oggi, sembra che gli approcci innovativi al recupero dei prodotti e dei materiali siano subordinati all'aumento dell'offerta di materiali vergini e dalla relativa crescente domanda del mercato e, pertanto, si potrebbe affermare che il potenziale di un'economia circolare è più qualcosa di cui parlare e su cui essere d'accordo, piuttosto che una progettualità da realizzare in concreto. Pensare in termini circolari significa anche superare i limiti dettati dalle procedure del riciclo.

La necessità di un'adeguata progettazione dei prodotti, componenti e materiali, è attualmente uno degli argomenti più discussi insieme alla possibilità, ad esempio, di selezionare i materiali più appropriati per gli imballaggi e i tessuti, in modo tale che, al termine del ciclo di vita, essi possano essere utilizzati come nutrienti per il sistema.

I principi introdotti dall'Industria 5.0, che orientano la tecnologia in favore dell'uomo e dell'ambiente, sembrano essere in linea con i processi circolari e con le conoscenze acquisite sulle dinamiche dei sistemi viventi all'interno di un sistema economico in cui tutto è connesso (prodotti, materiali, scorte, flussi finanziari, secondo una visione più inclusiva dell'economia) e di come gli organismi viventi funzionano all'interno degli ecosistemi.

Nel prossimo futuro, è verosimile non solo che tale approccio all'economia circolare diventi predominante, in quanto coerente con la scienza contemporanea dei sistemi complessi, ma che possa, altresì, promuovere una narrativa economica che si adatti perfettamente alle sfide più attuali e che si concentri sulla nozione di circolarità (anzichè su quella di estrazione), così come sulle dinamiche volte al ripristino, ricostruzione e mantenimento dei capitali.

L'attenzione, dunque, si sposta sulla possibilità di creare un'economia produttiva (industriale) efficace e non solo efficiente, in contrapposizione all'economia finanziaria (rentier) a tutt'oggi prevalente. Il concetto stesso di circular economy non può essere analizzato secondo la tradizionale visione del sistema economico ma deve essere necessariamente reinterpretato: a un sistema di pipelines deve quindi succedere una vera e propria ecologia.

In altri termini, così come l'ecologia studia le interrelazioni tra gli organismi e l'ecosistema che li ospita, anche l'economia circolare può essere approfondita in modo più coerente utilizzando una serie di intuizioni tratte dallo studio dei sistemi viventi: il mantenimento del capitale e degli stock di materie (in altri termini, la continuazione della vita per gli organismi e il principio del going concern per le organizzazioni/imprese); l'accettazione che si attui necessariamente un sano interscambio tra l'organismo e l'ambiente; la diversità di cultura, le dinamiche di mercato, le interazioni tra comunità e territorio possono aggiungere resilienza e creatività al sistema economico.

E' possibile quindi pensare a una ecologia di imprese in cui la natura e l'uomo assurgano a fonti ispiratrici (Industria 5.0) piuttosto che la tecnologia (Industria 4.0), in un'ottica di economia di lungo periodo. Sulla base delle considerazioni sinora formulate, è davvero possibile pensare a un'economia circolare rigenerativa, che enfatizzi la circolazione e minimizzi l'estrazione?

Un'economia che sia capace di far circolare le materie prime e il denaro su tutte le scale entro i limiti imposti dai sistemi ecologici e che svincoli la crescita dall'aumento dell'energia e delle risorse?

E' possibile immaginare un'economia circolare che impatti direttamente sul territorio, coinvolgendo le comunità in nuove opportunità di produzione sociale e di scambio, su base più locale o regionale, per creare una economia di comunità eventualmente anche in collaborazione con il settore pubblico?

Una visione di economia circolare di tal sorta, seppure sia in concreto realizzabile, potrebbe non essere accettata da alcuni gruppi, in quanto si scontra con le aspettative di una buona vita instillate a partire dagli anni '80 e fondate sui principi di accumulo di ricchezza, dei beni a basso costo, esperienze edonistiche e individualismo.

Ancorchè le intuizioni riferite allo studio dei sistemi viventi offrano un'intepretazione suggestiva del concetto di circular economy, è forse necessario trovare un approccio interpretativo alternativo e meno minaccioso, più orientato all'imperativo della crescita, che possa avvicinarsi maggiormente alle attuali dinamiche di mercato. In tal senso, un punto di equilibrio potrebbe essere individuato nella promozione di un'economia circolare che preveda l'utilizzo di tecnologie o strumenti già conosciuti o di nuova concezione per affrontare i problemi legati alle risorse (energia e materiali), in cui la conoscenza si concentra sulla tecnologia, sull'economia e sulle scienze correlate. Il nuovo paradigma introdotto dall'Industria 5.0 potrebbe essere la soluzione.

E' oltremodo evidente come l'economia lineare sia in forte declino, a causa dell'impatto delle emissioni di anidride carbonica sugli ecosistemi, della ridotta disponibilità delle materie prime e della mutata sensibilità dell'opinione pubblica rispetto alle tematiche ambientali.

L'impazienza dei consumatori, dei cittadini e di molti governi sembrano non lasciare scampo ai produttori ad alto contenuto di carbonio. Infatti, per alcuni produttori, le sfide a medio termine sono legate all'accesso alle materie prime critiche; per altri, l'invecchiamento demografico e i rendimenti marginali della produzione di beni di massa in molti settori, pongono la questione di come mantenere o aumentare i ricavi quando i mercati sono saturi.

Tali considerazioni portano gli operatori del mercato a riconfigurare le loro attività spostandole dai prodotti ai servizi, in un'economia che sta già subendo, rispetto agli ultimi decenni, una riduzione significativa del numero di key players. Le trasformazioni digitali hanno liberato una serie di potenzialità, lanciando il binomio prodotto come servizio e responsabilità totale del prodotto.

In altri termini, il prodotto viene mantenuto come asset, il produttore mantiene la proprietà del prodotto (o agisce come se lo facesse) e collega la riduzione dell'impatto ambientale a una migliore progettazione, a fasi d'uso più intelligenti (fornitura di feedback e verifica della funzionalità ottimale dei prodotti) e a una maggiore efficienza, nonché a un ulteriore consolidamento o collaborazione dell'industria lungo la catena del valore.

Alcune società di consulenza aziendale vedono le nuove dinamiche di mercato imposte dall'economia circolare come vere e proprie opportunità di business secondo nuovi modelli fortemente orientati al digitale, conformati allo schema generale più ricavi da meno produzione e imperniati sul concetto di life extension, facendo rientrare l'estensione della vita del prodotto nel concetto di prodotto come servizio, così come i contratti di vendita e manutenzione convenzionali, il remarketing e la riparazione.

In una visione olistica dell'economia circolare, l'ecodesign, il ciclo dei materiali e il sistema finanziario risultano intimamente connessi e si sviluppano in un ecosistema che utilizza piattaforme aperte, materiali a cascata e una produzione più sociale su una base distribuita o peer-to-peer. Ma la visione di economia circolare perché possa imporsi nell'attuale economia globale non può svilupparsi come corrente di pensiero alternativa, avulsa dalle attuali dinamiche di mercato.

Parossisticamente, la circular economy per affermarsi deve tener conto del pensiero tradizionale - che si concentra su cambiamenti tecnici e sull'offerta e che lascia intatti gli accordi politici e le loro basi economiche - ed essere interpretata come un'incredibile opportunità economica guidata dall'innovazione, come un'innovativa opportunità di business, una funzione della tecnologia digitale.

Solo così la circular economy verrà progressivamente sostenuta dall'attuale establishment politico-economico a livello globale.

In definitiva, il nuovo paradigma introdotto dall'Industria 5.0 dovrà progressivamente consolidarsi e svilupparsi partendo dal cuore stesso dell'Industria 4.0.

Ma deve fare in fretta perché non c'è più tempo.

Marco Letizi, Avvocato, Dottore Commercialista e Revisore LegalePhD Researcher presso il Dipartimento di Management - Facoltà di Economia - Università "La Sapienza" di Roma, Advisor delle Nazioni Unite, della Commissione europea e del Consiglio d'Europa Autore

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