I paletti rischiano di favorire informazioni sotto banco
Il decreto circoscrive ai comunicati ufficiali e alle conferenza stampa i rapporti con i giornalisti
Si interviene sulla disciplina dei rapporti delle Procure della Repubblica con gli organi di informazione, contenuta nell’articolo 5 Dlgs 106/2006 laddove, al comma 1, è attribuito al procuratore della Repubblica il compito di mantenere personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione.
Viene ora specificato che i rapporti con la stampa devono essere intrattenuti «esclusivamente tramite comunicati ufficiali, oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa».
I rapporti con i giornalisti
In realtà, negli uffici di Procura “più illuminati” già si procede in questo modo, per garantire una corretta informazione e la par condicio tra i mezzi di comunicazione. Ora si vuole estendere questo corretto approccio, trasformando la prassi in legge. È un intendimento corretto, soprattutto perché si fissano in modo chiari i presupposti della corretta informazione. Le informazioni devono essere fornite garantendo il principio di non colpevolezza e, quindi, in modo da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta ad indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino alla decisione irrevocabile di condanna.
Buona norma cautelare da rispettare dovrebbe essere, allora, quella di evitare l’indicazione dei nomi/generalità (ma anche delle immagini) delle persone coinvolte. Proprio tali indicazioni, se intempestivamente “gettate in pasto” all’opinione pubblica, farebbero un danno irrimediabile. Vengono poi codificate le ragioni che legittimano l’informazione, individuate (e limitate) nella soddisfazione di esigenze investigative o di specifiche ragioni di interesse pubblico.
La possibilità di diffondere informazioni quando ciò è «strettamente necessario» per la prosecuzione delle indagini è declinata anche nell’articolo 329 Cpp, laddove si consente che, con provvedimento motivato, il pubblico ministero, per tale ragione, possa consentire la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi: può servire, infatti, diffondere i particolari di un’indagine su un rapinatore o un truffatore seriale per scoprire altri episodi o prevenirne la ripetizione. L’altra ragione legittimante l’informazione è, invece, quella correlata alla ricorrenza di «specifiche ragioni di interesse pubblico» a conoscere della vicenda: possono apprezzarsi tali ragioni nella particolare gravità del fatto investigato ovvero nell’esigenza di evitare equivoci o fraintendimenti informativi.
Irrigidita la procedura sulle conferenze stampa
Piuttosto, con inutile rigore, si vuole che, quando il veicolo dell’informazione sia rappresentato dalla conferenza stampa, le ragioni di interesse pubblico siano rafforzate (e giustificate) con l’esplicitazione della «particolare rilevanza pubblica dei fatti»: non si coglie che l’importanza è la correttezza dell’informazione, non il mezzo usato. Proprio tale non comprensione, ha portato a prevedere che in caso di conferenza stampa ne debba essere data informazione al Procuratore generale presso la Corte d’appello. Si finisce allora con l’introdurre un irrigidimento nella procedura che potrebbe portare a privilegiare l’utilizzo del comunicato stampa: utile, ma anche asettico, e non in grado di consentire un più adeguato spazio di intervento per i media.
Si tratterà allora di vedere la declinazione pratica della nuova normativa, per evitare che possibili rigidità operative – specie in punto di organizzazione delle conferenze stampa - possano finire con il mortificare il diritto di cronaca e di informazione. E perpetuare il rischio delle informazioni sotto banco fornite dalle parti che, di volta in volta, possano avervi interesse.