Amministrativo

Canone Unico Patrimoniale, il Tar Lazio su principi e limiti nell'applicazione della componente pubblicitaria

Con la sentenza in commento (sent. 21 marzo 2022, n. 3248/2022) il TAR del Lazio ha puntualizzato tre importanti principi applicativi del canone unico patrimoniale nella sua componente pubblicitaria

di Tommaso Ventre*

Il Tar Lazio con la recente sentenza 03248/2022 ha puntualizzato tre importanti principi applicativi del canone unico patrimoniale nella sua componente pubblicitaria. In primo luogo definendo che gli enti nel definire la tariffa standard possono aumentarla solo se dimostrano la necessità di assicurare l'invarianza del gettito.
In secondo luogo chiarendo che il prelievo non può essere richiesto insieme a quello per l'occupazione in forza del principio di unicità del canone. In terzo luogo affermando che l'unico parametro possibile per la modulazione della tariffa è quello relativo alla sola superficie complessiva del mezzo pubblicitario o dell'impianto.

Con l'introduzione del Canone Unico Patrimoniale l'ordinamento ha voluto assicurare una ampia facoltà di manovra agli enti locali qualificando il prelievo quale "patrimoniale". Tuttavia tale accezione non può essere intesa nel senso della estrema semplificazione/operatività che poi risulti in sostanza legibus soluta.

Si tratta pur sempre di una prestazione imposta che rientra nell'ambito di applicazione dei principi costituzionali che governano la materia e quindi dell'ineludibili articoli 23, 53 e 119 della Costituzione.

Il formante giurisprudenziale, di fronte ad un intervento normativo che nell'innovare un quadro previgente frastagliato e complesso non ha affrontato compiutamente una serie di problematiche sta dettando linee guida importanti che consentono agli operatori del settore ed agli enti creditori di avere chiarezza delle rispettive obbligazioni e prerogative.

Il legislatore nel definire il prelievo ha sancito dei principi che il tribunale amministrativo con la sentenza in commento ha puntualmente richiamato ed esplicitato fornendo l'occasione di una complessiva visione unitaria dei limiti di applicazione del prelievo nella tassazione della manifestazione pubblicitaria del presupposto definita dal comma 819 lettera b) dell'articolo 1 della l. 160/2019.

Il comma 821 demanda la disciplina del canone agli enti che vi provvedono con regolamento da adottare dal Consiglio comunale o provinciale ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 secondo cui "Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi".

L'intervento regolamentare ed applicativo degli enti creditori è quindi limitato chiaramente dalle disposizioni legislative che in materia di canone unico hanno individuato specifici e puntuali limiti.

Il primo limite è rappresentato dal "principio di unicità del canone" stabilito nel comma 820 a norma del quale il Canone Unico Patrimoniale dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari [di cui alla lettera b) del comma 819] esclude di per sé, dal suo computo, il canone dovuto per le occupazioni del suolo pubblico di cui alla lettera a) del medesimo comma 819.

Il canone patrimoniale in tanto è "unico" proprio in funzione di questo principio di alternatività che lo porta ad essere remissivo rispetto a quello relativo alla componente pubblicitaria. Ne deriva che se un impianto pubblicitario occupa uno spazio per il quale sorge il presupposto della occupazione questa non diviene dovuta all'atto della esposizione pubblicitaria. E quindi il computo effettuato in ordine al pagamento della occupazione secondo i diversi criteri definiti nella definizione del prelievo sarà del tutto ininfluente rispetto a quanto effettivamente dovuto in ordine alla sola esposizione pubblicitaria ed al computo della stessa in relazione alla sola complessiva superfice. Nel caso in esame invece l'Ente nel determinare la somma dovuta a titolo di Canone Unico Patrimoniale, ha violato il principio dell'unicità del canone, in quanto tale canone è stato chiesto in aggiunta a quello relativo al rilascio delle concessioni per l'occupazione di suolo pubblico già chiesto e ottenuto dall'amministrazione prima di rilasciare i vari titoli autorizzatori per gli impianti pubblicitari.

Il secondo limite è rappresentato dal "principio della invarianza di gettito". Secondo il comma 817 della legge di bilancio 2020 gli enti locali, nel disciplinare il canone in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai tributi che lo stesso sostituisce hanno la possibilità, per raggiungere tale obiettivo, di variare il gettito modificando le tariffe base stabilite dal legislatore nei commi 826 ("tariffa standard annua") e 827 ("tariffa standard giornaliera"). Si tratta quindi dell'attribuzione di un potere discrezionale all'amministrazione che consente alla stessa di modulare il canone in funzione delle specificità territoriali, in applicazione del principio di autonomia finanziaria di entrata ai sensi dell'art. 119 Cost.

Nel caso di specie tale principio assume da una parte la valenza di una garanzia della invarianza della provvista finanziaria e quindi come presidio della autonomia gestionale dell'ente creditore e dall'altra quella di non consentire un incremento delle tariffe arbitrario e non giustificato a tutela dei soggetti debitori del canone (invarianza del gettito in aumento).

Sotto tale profilo, come accennato il legislatore ha delimitato in maniera chiara e puntuale la discrezionalità amministrativa dei Comuni nel senso di ritenere l'invarianza in aumento del gettito quale limite alle determinazioni comunali, sicché l'ente ha il potere di disciplinare le tariffe del CUP senza tuttavia poter superare la soglia predefinita del gettito. Sul punto il Collegio consolida un orientamento già formulato dal Tar Veneto, 1428/21 secondo cui "diversamente opinando, infatti, la disciplina verrebbe ad essere sospettata di incostituzionalità, per violazione degli artt. 23 e 119 Cost., non avendo il legislatore statale indicato parametri e limiti specifici ulteriori per delimitare il potere di determinazione in aumento del canone da parte dei Comuni" .

E quindi l'Ente nel determinare la tariffa standard deve operare una operazione di raffronto con la soglia di gettito conseguito nel 2022 derivante dalle entrate sostituite dal Canone Unica Patrimoniale. La discrezionalità amministrativa conferita dal comma 817 deve ritenersi vincolata a tale preventiva comparazione (nel caso di specie del tutto assente).

Il terzo limite è individuato nella "immodulabilità della pubblicità", stabilita dal combinato disposto dei commi 819 e 825 della legge 160/2019. Nel definire l'applicazione del canone al presupposto della esposizione pubblicitaria il legislatore ha volutamente e consapevolmente escluso, dagli elementi da prendere in considerazione per il computo della tariffa collegata al presupposto del canone costituito dalla diffusione di messaggi pubblicitari, la collocazione e la tipologia dell'impianto pubblicitario, nonché il numero dei messaggi pubblicitari. La diversa decisione in ordine alla disciplina della modulabilità della tariffa emerge in tutta la sua evidenza laddove la stessa sia confrontata con quanto lo stesso legislatore ha previsto in ordine alla definizione della tariffa per il diverso presupposto del CUP collegato all'occupazione delle aree pubbliche dove, per l'appunto, si prevede, in base al comma 824, che il canone è determinato "in base alla durata, alla superficie, espressa in metri quadrati, alla tipologia e alle finalità, alla zona occupata del territorio comunale o provinciale o della città metropolitana in cui è effettuata l'occupazione".
Scelta legislativa accentuata dalla previsione del comma 825 secondo cui il canone è determinato "… indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi …". Ne consegue che l'unico parametro che consente la modulabilità della tariffa è quello della superfice complessiva del mezzo pubblicitario o dell'impianto.

Deve quindi ritenersi illegittimo l'intervento regolamentare dell'Ente che "introduce tariffe che variano in relazione alla tipologia dell'impianto pubblicitario e all'ubicazione dell'impianto, comportando così un considerevole aumento del quantum del canone. L'amministrazione ha quindi individuato una serie di coefficienti o correttivi che hanno determinato un'illegittima maggiorazione del canone per gli impianti pubblicitari in violazione della previsione del comma 819 lettera b)".

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*A cura dell'Avv. Tommaso Ventre, Ph. D., Professore aggregato di Governance dei tributi locali e Fiscalità degli enti locali presso l'Università della Campania Luigi Vanvitelli, Dottore Commercialista e Revisore Legale

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