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Ici e diritti edificatori: non è tassabile il terreno inserito in un programma di compensazione urbanistica

La rilettura della sentenza n. 23902 della Suprema corte è l'occasione per fare il punto sui diritti edificatori

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di Aldo Natalini

I diritti edificatori sono approdati, finalmente, al cospetto del giudice nomofilattico. Seppur a fini squisitamente impositivi - su fattispecie in tema di ICI-IMU - le sezioni Unite civili della Suprema corte, intervenute con la sentenza n. 23902/2020 su questione di massima di particolare importanza, hanno escluso che i diritti edificatori di specie “compensativa”, generati nell’ambito di programma di “compensazione urbanistica” (che consente il loro esercizio, in funzione indennitaria, in altra area cosiddetta di “atterraggio”), abbiano natura di diritto reale, poiché non ineriscono al terreno, non costituiscono una sua qualità intrinseca e sono trasferibile separatamente da esso. Fiscalmente parlando, ne deriva che l’area - già edificabile e poi assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta - ove inserita in programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, non è da considerare fabbricabile a fini ICI (ed IMU), trattandosi di imposta (patrimoniale) a sostrato reale.

Mentre si attende un’altra decisione del Collegio allargato sulla questione - affine ma più specifica - della natura giuridica dell’atto di cessione di cubatura (l’udienza innanzi alle sezioni Unite civili si è svolta il 23 marzo scorso, su remissione della sezione VI-V civile con l’allegata ordinanza interlocutoria n. 19152/2020), mette conto segnalare questo primo importante arresto: non solo per il rassegnato esito di non imponibilità (difforme rispetto ai - pochi - precedenti in tema di perequazione urbanistica), ma soprattutto perché costituisce il primo autorevole intervento della Corte regolatrice di ricomposizione - per quanto parziale - della materia dei diritti edificatori, aventi natura “multilivello” (siccome previsti dai diversi strumenti regionali o di pianificazione territoriale, in assenza di una disciplina statale unitaria) e al contempo polimorfa, con rilevanti divaricazioni ricostruttive e problematiche non solo teorico-dogmatiche ma anche pratiche. Tra queste, le ricadute impositive della fattispecie - non solo a fini ICI, come ora risolte dalla Cassazione, ma, volendo, anche agli effetti di altri tributi (si pensi all’imposta di registro  rispetto alla fattispecie della cessione di cubatura: tema riaffrontato dalle sezioni Unite qualche giorno fa, con sentenza in attesa di deposito).

 

Le tecniche urbanistiche generanti i diritti edificatori

Per comprendere appieno l’importanza, anche sistemica, della sentenza in commento - che oltrepassa lo specifico interesse tributario, investendo profili squisitamente civilistici, amministrativistici ed urbanistici - occorre premettere che, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, nell’ambito delle prassi di pianificazione urbanistica cosiddetta consensuale e postvincolistica, sono stati coniati vari meccanismi generanti i cosiddetti diritti edificatori:sintagma “di comodo” - attesa l’adozione di molte possibili varianti, anche linguistiche, a seconda delle fonti di riferimento (“crediti edilizi”, “crediti compensativi”, “titoli volumetrici”, “cubature”, e simili locuzioni) - identificante quell’insieme indistinto di posizioni giuridiche qualificate che attribuiscono al titolare uno ius aedificandi delocalizzato, a fronte della cessione pattizia di suoli, ovvero dell’imposizione su di essi di restrizioni o anche di vincoli assoluti di inedificabilità.

A grandi linee, nell’ambito della cosiddetta “amministrazione per accordi”, gli strumenti pianificatori di riferimento sono:

- la perequazione urbanistica;

- la compensazione urbanistica (che veniva in rilievo nel caso di specie);

- la premialità urbanistica.

In difetto di una disciplina statale di riferimento, non potendosi ritenere decisiva l’enunciazione compresa (a soli fini trascrittivi) nell’articolo 2643, n. 2-bis, del Cc, ciascuno di tali strumenti si atteggia in modo assai diverso nella regolamentazione regionale e, all’interno di questa, nella diversificata pianificazione comunale, assolvendo ad una diversa funzione.

La perequazione, la compensazione e l’incentivazione urbanistica hanno in comune l’idoneità a riconoscere “capacità edilizie” (o “dotazioni volumetriche”, o “titoli volumetrici” ovvero, semplicemente, “cubature”) esercitabili aliunde, qualificate sinteticamente con l’espressione verbale (e giuridica) “diritti edificatori” (talvolta indicati anche come “crediti edilizi”).

Le tre tecniche urbanistiche, finalisticamente e strutturalmente diverse, implicano che la capacità edificatoria dei suoli sia autonoma e svincolabile dal fondo di origine e, come tale, diviene scambiabile a titolo oneroso anche senza collegamento con le aree di provenienza (ovvero di “decollo”) e di destinazione (ovvero di “atterraggio”).

Nella sentenza in commento vi è un significativo passaggio ricostruttivo facente riferimento proprio ai diritti edificatori in genere, laddove il Collegio esteso li definisce posizioni giuridiche qualificate che «non negano, ma anzi presuppongono - consentendone variamente l’esercizio delocalizzato - che lo ius aedificandi costituisca una naturale estrinsecazione del diritto di proprietà del suolo, sebbene sottoposto alle condizioni conformative e di utilità sociale previste dalla legge e dagli strumenti urbanistici, secondo quanto già affermato, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, dalla Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n. 5/1980»).

 

Il caso: terreno inedificabile inserito in programma di compensazione urbanistica in “volo”

Rispetto alle tre tecniche urbanistiche sopra menzionate, nel caso affrontato dal Collegio esteso veniva in rilievo - a fini ICI - un procedimento di “compensazione urbanistica” (detta anche “perequazione compensativa”) pendente nella fase intermedia cosiddetta del “volo” in cui il diritto (o credito) edilizio può circolare autonomamente rispetto al fondo di origine da cui “decolla” ma l’Amministrazione comunale non ha ancora individuato la cosiddetta area di “atterraggio”, cioè la diversa area su cui il privato può “scaricare” l’edificabilità (fino a quel momento) solo promessa.

Tale specifico strumento genera diritti edificatori compensativi in funzione indennitaria o corrispettiva di un’edificabilità soppressa nel fondo di origine: onde ristorare il privato delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’apposizione del vincolo di inedificabilità assoluta (che normalmente giustificherebbe l’indennità di esproprio), il Comune attribuisce al proprietario del fondo di origine una volumetria equivalente fruibile in altra area, all’esito di un complesso procedimento (“in volo”) che può durare anche molti anni.

Nella vicenda di specie secondo la CTR del Lazio sussisteva anche in questa fase intermedia il presupposto impositivo poiché l’edificabilità dell’area già fabbricabile poi fatta oggetto di vincolo di inedificabilità assoluta poteva essere esercitata dalla società proprietaria su altro terreno (di “atterraggio”) nell’ambito di aree di assegnazione già individuate nel PRG di Roma, sebbene non ancora assegnate, donde l’assoggettamento ad ICI secondo il criterio del valore venale.

Secondo la società difettava invece il presupposto oggettivo dell’ICI, per mancanza di possesso di area fabbricabile, a nulla rilevando a fini impositivi l’istituto della “compensazione urbanistica” introdotto nel 2003 nel PRG del Comune di Roma, trattandosi di capacità edificatoria non ancora attribuita ma solo promessa: ma la mera promessa di assegnazione di un’area edificabile in compensazione di quella sottratta non conferisce alcun diritto al privato, sicché la ricorrente rivendicava di non essere titolare di alcuna area chiaramente individuata sulla quale poter esercitare il (promesso) diritto edificatorio.

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, investite su questione di massima di particolare importanza (attesa la novità della questione), hanno accolto l’originario ricorso della contribuente ex articolo 384 del Cpc ed hanno annullato l’atto impositivo non ritenendo necessari altri accertamenti di fatto.

 

L’incerta natura giuridica dei diritti edificatori

A monte della specifica questione impositiva che ha investito la Cassazione in composizione allargata, si staglia il complesso problema - solo parte affrontato in sentenza in commento - della natura giuridica del genus diritti edificatori (rispetto al quale la cessione di cubatura è una species): sintagma che identifica capacità volumetriche «comunque denominate»che possono avere diversa genesi (di stampo compensativo, perequativo o premiale, come visto) e funzione.

Prima di verificare le ricadute fiscali a fini ICI dei diritti edificatori - nella specie di stampo compensativo - la Suprema corte non ha potuto fare a meno di affrontare il tema, assai controverso, del loro inquadramento giuridico, anche se la soluzione cui perviene si limita ad escluderne il carattere reale, senza prendere ulteriore posizione.

La questione della natura giuridica dei diritti edificatori in genere evoca la risalente problematica, postasi nella giurisprudenza di legittimità sin dagli anni ‘70 del secolo scorso, sulla qualificazione del negozio di cessione di cubatura (tra privati): fattispecie che disciplina un diverso fenomeno interprivatistico e risponde ad una diversa criteriologia giuridica, sulla quale - peraltro - saranno chiamate a pronunciarsi nuovamente tra qualche mese a pronunciarsi le sezioni Unite civili (stavolta sollecitate in tema di imposta di registro: vedi Cassazione, sezione VI-V civile, ordinanza interlocutoria n. 19152/2020), a dimostrazione di quanto le questioni che via via si pongono possono avere diverse sfaccettature (impositive) a seconda delle fattispecie considerate.

 

Il “cantiere ermeneutico”: le varie ricostruzioni dottrinarie

La dottrina (civile, amministrativa e notarile) si è esercitata in materia proponendo praticamente ogni possibile soluzione giuridica.

Cercando di compendiare la copiosa e diversificata elaborazione scientifica, le principali teorie (con una serie di posizioni sincretiche) sono così riassumibili:

- teoria della chance edificatoria (o dell’interesse legittimo pretensivo), secondo cui è solo il provvedimento della PA che attualizza il diritto edificatorio, rendendolo concretamente sfruttabile, sicché prima - nella fase del decollo e del volo - il “diritto” non è tecnicamente tale (non lo è fin quando non viene utilizzato all’esito del rilascio del titolo abilitativo edilizio, nella fase dell’atterraggio) ma costituisce una situazione giuridica soggettiva che “dialoga” con il potere e si atteggia alla stregua di un interesse legittimo pretensivo avente la consistenza di una “chance”, intesa come seria e concreta possibilità di trasformazione in termini volumetrici di una determinata area;

- teoria della natura obbligatoria dei diritti edificatori, secondo la quale il bonus volumetrico non costituisce né bene materiale né bene immateriale, ma rappresenta solo una posizione giuridica attiva economicamente rilevante che il privato (creditore) può vantare verso l’ente (debitore), costituendo indici di rilevazione economica della capacità edificatoria ad essi relativa;

- teoria della reificazione del “diritto edificatorio” (maggioritaria tra la dottrina notarile) secondo la quale la cubatura (o volumetria o, per l’appunto, diritto edificatorio) è bene giuridico autonomo, separato rispetto alla proprietà del terreno dal quale origina; è res trasferibile e negoziabile liberamente in quanto apprezzabile su di un piano economico e giuridico (al pari delle cosiddette “quote latte”, del cosiddetto “diritto al reimpianto del vitigno” o dei “diritti/titoli agli aiuti” di Stato);

- teoria della natura reale (ius in re) del diritto ad aedificandum, secondo la quale, valorizzandosi la lettera dell’articolo 2643, n. 2-bis, del Cc («diritti edificatori»), la novella del 2011 avrebbe svolto una funzione integrativa del numerus clausus dei diritti reali, dando vita ad un nuovo diritto reale “nominato” caratterizzato, oltre che dal diritto di seguito e conseguente opponibilità ai terzi acquirenti, da immediatezza e da assolutezza. Secondo altri, non potendosi trattare né di un diritto reale tipico in quanto non assimilabile ad alcuna delle figure già previste dal codice civile, né di un credito, in quanto trattasi di fattispecie caratterizzata da profili di realità (data dal collegamento con il bene-suolo), si ha avrebbe a che fare con un diritto reale atipico, non ostandovi il principio del numero chiuso che verrebbe allo stesso modo tutelato per il caso in cui la natura reale, se non espressamene configurata come tale dal legislatore, fosse il frutto di un’attività interpretativa sistematica della norma.

 

Il dictum: esclusa la realità dei diritti edificatori compensativi

La Suprema Corte con la sentenza in commento - pronunciandosi con riguardo ai soli diritti edificatori compensativi (differenziati, in motivazione, rispetto ai diritti perequativi su cui vi erano precedenti di legittimità di segno contrario) - smentisce espressamente quest’ultima ricostruzione che propugnava la realità (tipica o atipica) del diritto ad aedificandum.

I diritti edificatori di stampo compensativo - conclude condivisibilmente la Corte regolatrice - non ineriscono al terreno, non costituiscono una qualità intrinseca e sono trasferibili separatamente da esso.

Si tratta di una soluzione per così dire “minimalista”, che il Collegio allargato ha ritenuto bastevole ai fini della risoluzione della specifica questio impositiva al vaglio (e non replicabile, evidentemente, per la questione di prossima risoluzione relativa alla cessione di cubatura): essendo l’ICI imposta reale, è bastato alla Corte regolatrice escludere la realità dei diritti compensativi  per dare una risposta esaustiva sotto il profilo fiscale, senza doversi districare nel ginepraio di ricostruzioni dottrinarie che difficilmente avrebbero potuto condurre ad una soluzione unitaria, valida cioè per tutte le species di diritti edificatori e per tutte le loro fasi di vita (decollo, volo e atterraggio). Non a caso il tema della natura giuridica della “tralatizia” figura della cessione di cubatura ai fini del registro è tornato al cospetto delle sezioni Unite civili pochi giorni fa (si attende la pubblicazione della sentenza).

Peraltro, sempre a fini ICI-IMU, ad eguali esiti di non imponibilità si sarebbe potuti pervenire optando per una qualunque delle altre ricostruzioni: quella della chance edificatoria, quella della reificazione - che prevale nella più moderna dottrina notarile - e quella della natura meramente obbligatoria dei diritti edificatori, poiché il titolo volumetrico (compensativo o perequativo) sarebbe, rispettivamente, una chance, un bene autonomo ex artt. 810 e 813 c.c. o un diritto obbligatorio (segnatamente un credito edificatorio) spettante al proprietario dell’area, giammai, in tutti e tre le ipotesi considerate, un diritto reale immobiliare suscettibile di “possesso” da parte del suo titolare.

Ma a fronte di uno scenario dogmatico-ricostruttivo assai frastagliato ed in movimento, disgregato nella congerie di normative regionali, non “coagulato” entro una normativa-quadro nazionale, il massimo Consesso ha preferito indagare i livelli di rilevanza fiscale - ai (soli) fini ICI - dello strumento compensativo senza abbracciare soluzioni qualificatorie unitarie. Ciò che è bastato agli “Ermellini” del Palazzaccio è marcare la “distanza” dei diritti compensativi in esame dai diritti reali “tipici” che più potrebbero ad essi teoricamente avvicinarsi:

- rispetto alla servitù, la Cassazione non riscontra alcun rapporto di dominanza-asservimento, quanto di scambiabilità, tra i fondi correlati; né le nozioni qualificanti di utilitas e vicinitas (sebbene valutate nella massima ampiezza, funzionale e non topografica, tradizionalmente accolta dalla giurisprudenza) potrebbero riferirsi ad un’area (quella di arrivo), ancora da individuarsi;

- rispetto alla superficie, manca per i Supremi giudici l’elemento essenziale dell’esercizio del diritto reale su cosa altrui mediante superamento del vincolo dell’accessione, venendo qui in discussione l’alterità oggettiva dei luoghi di produzione e di esercizio dello jus aedificandi in capo ad un medesimo titolare, e non l’alterità soggettiva tra proprietario del fondo e proprietario dell’edificio che ad esso acceda.

 

Compensazione urbanistica versus perequazione urbanistica

In sentenza vengono tratteggiati i profili discretivi dello specifico strumento compensativo, che può prevedere - rammenta la Corte - anche diverse forme attuative: può fungere da strumento della pianificazione generale tradizionale (compensazione strutturale) ovvero dipendere dall’esigenza di tenere indenne un proprietario al quale venga imposto un vincolo di facere o di non facere per ragioni ambientali-paesaggistiche (compensazione ambientale, come nel caso di specie).

Attraverso questo strumento avente funzione corrispettivo-indennitaria, la P.A. attribuisce al privato un indice di capacità edificatoria (credito edilizio o volumetrico), a fronte della cessione gratuita dell’area oggetto di trasformazione pubblica, ovvero di imposizione su di essa di un vincolo assoluto di inedificabilità o preordinato all’esproprio.

Per la Corte, mentre nel diritto edificatorio di origine perequativa viene riconosciuto al proprietario del fondo una qualità intrinseca del suolo (che partecipa fin dall’inizio di un indice di edificabilità suo proprio, così come prestabilito e “spalmato” all’interno di un determinato ambito territoriale di trasformazione), il diritto edificatorio di origine compensativa deriva dall’adempimento di un rapporto sinallagmatico in senso lato, avente ad oggetto un terreno urbanisticamente non edificabile, ristorato con l’assegnazione al proprietario di un quid volumetrico da spendere - come fosse “moneta” - su altra area di proprietà pubblica o privata, non necessariamente contigua e anche di successiva individuazione.

In definitiva, il diritto edificatorio compensativo è una sorta di indennità ripristinatoria - in “moneta urbanistica” - di un patrimonio inciso, che il proprietario può valorizzare sul mercato indipendentemente dal suolo generatore, il quale, del resto, potrebbe risultare ormai privo di qualsivoglia appetibilità commerciale e, anzi, nemmeno più appartenergli.

 

La non imponibilità nella fase del “volo”

Le sezioni Unite rimarcano come il difetto di inerenza in senso giuridico - tanto civilistico quanto tributario - si appalesi in maniera «addirittura eclatante» nella fase del “volo”, giudicata dalla Corte il più critico e rivelatore della fattispecie de qua: si tratta del segmento in cui il diritto di costruire non può più essere esercitato sul fondo di origine e non può ancora essere esercitato sul fondo di destinazione perché non ancora assegnato né, forse, individuato dalla P.A.

Questo passaggio motivazionale è di estremo interesse. Per tutta la fase del “volo” il proprietario o il titolare di altro diritto reale non ha il possesso di alcuna area fabbricabile a fini ICI sita nel territorio comunale, là dove egli resta titolare e possessore di un’area gravata da un vincolo di inedificabilità assoluta e vanta una mera aspettativa di divenire titolare di altra area edificabile, sita altrove, ma della quale non conosce neppure gli estremi catastali, in quanto ancora non specificamente individuata e, conseguentemente, non ne ha neppure il possesso.

In tale situazione - che in concreto può durare anche molti anni, nella prassi dei Comuni - non appaiono sussistere i due presupposti richiesti dalla normativa ICI per l’applicazione dell’imposta: non è ravvisabile né il presupposto oggettivo costituito dal possesso di un’area fabbricabile (ancorché solo potenzialmente), e neppure il presupposto soggettivo, ossia la proprietà o la titolarità di altro diritto reale su un’area fabbricabile.

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