Casi pratici

Il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento

Impianto di riscaldamento centralizzato

di Lina Avigliano

la QUESTIONE
Quali condizioni legittimano il distacco del singolo condomino dall'impianto di riscaldamento centralizzato? A quali spese il rinunziante è tenuto a contribuire?

L'impianto di riscaldamento centralizzato è contemplato tra quelle opere e servizi che, ai sensi dell'art. 1117 c.c., si presumono comuni e la presunzione di comproprietà opera con riferimento alla parte dell'impianto di riscaldamento che rimane fuori dai singoli appartamenti e non anche con riferimento alle condutture che si addentrano negli appartamenti stessi e sono di proprietà dei titolari.Qualora nell'edificio condominiale vi siano locali non serviti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, i condomini titolari soltanto della proprietà di tali locali non sono contitolari dell'impianto centralizzato, non essendo questo legato da una relazione di accessorietà materiale e funzionale all'uso o al servizio di quei beni.E invero limitandosi la proprietà comune dell'impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, qualora manchi detta diramazione, poiché non esiste la possibilità che i locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non può considerarsi destinato al loro servizio.Ne deriva che, venendo meno il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune dell'impianto, viene meno anche l'obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione dello stesso che grava sul condomino, anche quando non usufruisca del servizio prodotto dall'impianto di riscaldamento centrale. In proposito è stato precisato che l'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante, che non usufruisca del servizio di riscaldamento, sia ugualmente comproprietario di detto impianto, e, quindi, in applicazione dell'art.1123 c.c., tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione va condotta, secondo quanto stabilito in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c., sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la comunione di detto impianto, ove debba essere negata in base alla citata norma, può essere riconosciuta, per effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, solo quando questo ha natura contrattuale, perché predisposto dall'originario unico proprietario e poi accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero perché adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle dovute forme (Trib. Milano 19 novembre 2015, n. 13026; Cass. 6 liglio 1984, n. 3966).È principio consolidato della giurisprudenza che il proprietario di appartamenti o locali di un edificio condominiale, ancorché questi non usufruiscano del servizio prodotto dall'impianto di riscaldamento centrale, che sia, però, potenzialmente idoneo a riscaldarli, è comproprietario di tale impianto a norma dell'art. 1117, n. 3, c.c., qualora tale impianto sia già stato installato nell'immobile prima della formazione del condominio, ed è quindi obbligato a contribuire al pagamento delle spese necessarie per la sua manutenzione se il contrario non risulta da un titolo idoneo (Cass. 23 maggio 1990, n. 4653).Rinuncia al diritto sulle parti comuniSecondo la previsione dell'art. 1118, comma secondo e terzo, c.c., il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni, né può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni.Sul divieto di rinuncia al diritto sulle parti comuni si confrontano diverse soluzioni interpretative: parte della dottrina ritiene che la norma renderebbe inefficace l'atto di abbandono del diritto di proprietà sulle cose comuni, mentre per la posizione prevalente, avallata anche dalla giurisprudenza, la norma vieterebbe solo la rinuncia liberatoria nel senso che il condomino può rinunciare al suo diritto di comproprietà sulle cose comuni ma non viene liberato dall'obbligo di contribuire alle spese per la loro conservazione, ovvero la rinuncia ai diritti sulla cosa comune da parte del singolo condomino, quale atto abdicativo unilaterale, è produttiva di effetti senza necessità di accettazione da parte degli altri partecipanti alla comunione ed è limitata unicamente dal divieto di sottrarsi, mediante essa, all'obbligo di concorrere alle spese necessarie alla conservazione della cosa comune con un aggravio a carico degli altri partecipanti alla comunione.Il principio stabilito dall'art. 1118 c.c., secondo cui il condomino non può, rinunciando al suo diritto sulle cose comuni, sottrarsi all'obbligo di concorrere alle spese necessarie per la loro conservazione, con aggravio a carico degli altri condomini, secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza non trova applicazione con riguardo a quegli impianti condominiali da considerarsi superflui in relazione alle condizioni obiettive e alle esigenze delle moderne concezioni di vita, ovvero illegali, perché vietati da norme imperative.Ricorrendo tali condizioni deve riconoscersi al condomino la facoltà di rinunciare alla cosa comune, senza essere tenuto a sostenere le spese necessarie per la sua conservazione, quando gli altri condomini intendano persistere nella conservazione degli impianti preesistenti, pur in presenza di nuove tecniche o servizi predisposti dalla pubblica amministrazione, poiché in tali casi l'esistenza degli impianti trova ragione esclusivamente nella determinazione dei condomini che intendono conservarli (Cass. 27 aprile 1991, n. 4652).La Suprema Corte ha puntualizzato che la rinuncia di un condomino al diritto sulle cose comuni è vietata, ai sensi dell'art. 1118 c.c., in caso di condominialità "necessaria" o "strutturale", per l'incorporazione fisica tra cose comuni e porzioni esclusive ovvero per l'individibilità del legame attesa l'essenzialità dei beni condominiali per l'esistenza delle proprietà esclusive, non anche nelle ipotesi di condominialità solo "funzionale" all'uso e al godimento delle singole unità, che possono essere cedute anche separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni (Cass. 18 settembre 2015, n. 18344). La clausola, pertanto, contenuta nel contratto di vendita di un'unita' immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprieta' di alcune delle parti comuni e' nulla poiche', mediante la stessa, s'intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti che e', invece, vietata dal capoverso dell'articolo 1118 c.c. (Cass. 26 gennaio 2021, n. 1610; Cass. 21 agosto 2017, n. 20216; Cass. 29 gennaio 2015, n. 1680; Cass. 29 maggio 1995, n. 6036).Problematica diversa dalla rinuncia al diritto sulle parti comuni è quella della rinuncia ai servizi comuni, come nel caso del distacco dall'impianto centralizzato, che consente al condomino di essere esonerato dalla relativa spesa di esercizio e di contribuire a quelle di conservazione e manutenzione dell'impianto.Condizioni del distacco dal riscaldamento centralizzatoLa legittimità del distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento del singolo condomino è una questione che ha impegnato per lungo tempo il dibattito della dottrina e della giurisprudenza e ha trovato una consacrazione legislativa nel riformato art. 1118, comma quarto, c.c., a opera della legge di riforma del condominio n. 220/2012, che in sostanziale continuità con l'orientamento giurisprudenziale consolidato ne disciplina i presupposti e le conseguenze.Nel regime previgente la novella, che nulla stabiliva per l'ipotesi del distacco, si era consolidato il principio giurisprudenziale, oggi recepito dalla riforma, secondo cui il condomino può legittimamente rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dell'impianto comune, senza necessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condomini, se prova che, dalla sua rinunzia e dal distacco, non derivano né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell'intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio.Soddisfatta tale condizione, egli è obbligato a pagare soltanto le spese di conservazione dell'impianto di riscaldamento centrale, mentre è esonerato dall'obbligo del pagamento delle spese per il suo uso (Cass. 30 giugno 2006, n. 15079).In presenza dei requisiti sopra richiamati l'orientamento giurisprudenziale in esame aveva rafforzato il diritto del condomino rinunciante prevedendo che l'eventuale delibera assembleare con cui veniva respinta la richiesta di autorizzazione al distacco fosse da considerare radicalmente nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune (Cass. 3 aprile 2012, n. 5331 e Cass. 30 marzo 2006, n. 7518).A norma del modificato art. 1118 del codice civile, le condizioni che consentono al condomino di rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento sono l'assenza di notevoli squilibri di funzionamento e l'assenza di aggravi di spesa per gli altri condomini.La norma fa riferimento a "notevoli" squilibri di funzionamento di tal che dovrebbero essere impediti solo quei distacchi tecnicamente irrazionali come rilevato da autorevole dottrina secondo cui «tale criterio consentirà all'autorità giudiziaria di disciplinare le singole fattispecie precludendo distacchi tecnicamente irrazionali e permettendo distacchi che siano osteggiati dagli altri condomini per ragioni futili ed emulative che potrebbero celarsi dietro trascurabili esigenze tecniche» (Gomitoni).Lo "squilibrio termico", inoltre, non deve essere inteso come la possibile differente temperatura nell'appartamento distaccato in quanto «se così non fosse – ha osservato la Cassazione nella sentenza 11857/2011 – quel distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato ammesso in linea di principio sarebbe sempre da escludere in concreto, in quanto nell'ambito di un condominio ogni unità immobiliare confina con almeno un'altra unità immobiliare, per cui il distacco dall'impianto centralizzato da parte di uno dei condomini provocherebbe sempre quel tipo di squilibrio termico che, invece, deve essere considerato irrilevante».Il termine "notevole" sta a indicare il limite entro cui è consentita l'operazione di separazione dall'impianto centralizzato la cui prova deve essere fornita dal condomino interessato tramite perizia (come ha affermato la Cassazione nella sentenza n.5974/2004), che deve attestare lo stato dei consumi della caldaia e la proiezione del consumo in caso di distacco e deve dimostrare l'assenza di futuri squilibri termici per il fabbricato.È stato altresì messo in evidenza dalla dottrina che «non pare corretto interpretare la nuova disposizione nel senso di consentire il distacco in presenza di aggravi di spesa per gli altri condomini, purché anch'essi non siano "notevoli", e ciò sia perché in questo caso sarebbe stata introdotta una disciplina differenziata rispetto ai principi stabiliti dall'art. 1102 c.c., che pone a carico del compartecipe le maggiori spese, anche di gestione, derivanti dalle modificazioni dallo stesso introdotte e che in tal caso, invece, consentirebbe al condomino operante il distacco di far gravare sugli altri i maggiori costi derivanti dalla sua scelta; sia perché una tale interpretazione non impedirebbe in maniera assoluta il distacco permettendo al condomino che intenda operare un distacco comportante aggravi di spesa per gli altri di offrirsi di farsi carico di tali aggravi al fine di procedere» (Gomitoni).Il condomino può procedere al distacco senza autorizzazione dell'assemblea, il nuovo art. 1118, comma quarto, c.c., difatti, non prevede l'obbligo di preventiva informazione all'amministratore o all'assemblea.Sussistendo i requisiti, anche se non provati preventivamente mediante perizia, in base allo stesso principio dell'art. 1102 c.c., secondo il quale, sussistendone i requisiti, il condomino può procedere all'intervento senza preventiva comunicazione o autorizzazione, il condomino potrà distaccarsi. In ogni caso l'onere di provare la legittimità del distacco dal riscaldamento centralizzato spetta al condomino che si vuole distaccare.Concorso del rinunziante alle speseNel caso di distacco il condomino rimane proprietario, pro quota, dell'impianto centrale e resta obbligato, a prescindere dall'uso, a concorrere nel pagamento delle spese di ricostruzione o di straordinaria manutenzione dell'impianto medesimo, restando escluso solo dalle spese di consumo.L'art. 1118, comma 4, c.c., così come modificato dalla legge n.220/2012, stabilisce espressamente tale obbligo prevedendo che nel caso di distacco «il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la conservazione e messa a norma».La nuova norma ha solamente recepito quanto già la giurisprudenza era salda nel ritenere, cioè che i condomini che si sono distaccati dall'impianto centrale sono esonerati solamente dal contribuire alle spese per l'uso (in tal senso Cass. 31 luglio 2012, n. 13718; Trib. Trento 5 settembre 2012), ma debbono continuare a pagare per la conservazione e la messa a norma.E invero secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza formatasi prima della legge n.220/2012 a carico del condomino che rinunziava all'uso del riscaldamento centralizzato rimaneva l'obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell'impianto, e di quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolvesse in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuavano a godere gli altri condomini (Cass. 30 marzo 2006, n.7518; Cass. 25 marzo 2004, n. 5974; Cass. 2 luglio 2001, n. 8924).Il condomino che procede al distacco non può essere chiamato a partecipare alle spese di consumo o di esercizio riguardanti un servizio di cui non usufruisce tuttavia tale esonero potrebbe non essere totale ovvero il rinunciatario potrebbe essere tenuto ad accollarsi gli eventuali maggiori oneri che gli altri condomini si vedono costretti a sopportare in conseguenza della diminuzione del numero dei contribuenti rimasti collegati all'impianto oppure una quota forfetaria determinata dall'assemblea quale compensazione del calore di cui l'unità immobiliare staccata comunque continua indirettamente a godere.Sul punto è stato ritenuto che tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c. soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono obligationes propter rem e per questo il condomino non può sottrarsi all'obbligo del loro pagamento, ai sensi dell'art. 1118 c.c., mentre nulla dispone per le spese relative al godimento delle cose comuni e perciò nel caso di rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento (purché questo non ne sia pregiudicato), ne consegue l'esonero, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, comma secondo, c.c., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del servizio centralizzato; rimane invece obbligato a sostenere le spese dell'eventuale aggravio derivato alle spese di gestione di tale servizio, compensato dal maggiore calore di cui beneficia anche il suo appartamento (Cass. 29 settembre 2011, n. 19893; per giurisprudenza di merito Corte d'Appello Milano 17 giugno 2015, n.2582; Corte d'Appello Milano 8 gennaio 2015, n.60).Anche la sentenza della Cassazione 30 aprile 2014, n. 9526 ritiene che il nuovo art. 1118, comma 4, del codice civile abbia recepito il precedente orientamento e che il condomino, dopo aver distaccato la propria unità abitativa dall'impianto di riscaldamento centralizzato, rimane comproprietario dell'impianto centrale e, quindi, obbligato a sostenere gli oneri relativi alla manutenzione del bene stesso e a partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio, se e nella misura in cui il distacco non ha comportato una diminuzione degli oneri del servizio a carico degli altri condomini. Nonostante la previsione normativa circoscriva un obbligo per il rinunciante di concorrere alle sole spese di manutenzione straordinaria e per la conservazione e messa a norma del bene comune si registrano pronunce giurisprudenziali, successive alla legge di riforma del condominio, che hanno previsto l'obbligo per il condomino che rinuncia al riscaldamento centralizzato, distaccandosi dall'impianto comune, di pagare, anche dopo l'avvenuto distacco, oltre alle spese per la manutenzione straordinaria, anche quelle per la manutenzione ordinaria dell'impianto sull'assunto che nelle spese per la "conservazione dell'impianto" rientrerebbero anche quelle per la manutenzione ordinaria, poiché «se non viene mantenuto in via ordinaria, il bene è destinato a deteriorarsi» (Corte Appello Milano 31 luglio 2015, n. 3360) o a partecipare a quelle di gestione, in caso di dispersioni di calore dell'impianto, per neutralizzare gli aggravi di spesa per gli altri condòmini (trib. Roma 8 marzo 2022, n. 3602).Distacco e regolamento condominialeQuestione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, non presa in considerazione dalla legge di riforma del condominio, è se il distacco del condomino dall'impianto centralizzato possa essere vietato attraverso il regolamento condominiale.Deve ritenersi che il problema non si pone e, comunque, sia superato nel caso in cui il divieto sia contenuto in un regolamento assembleare in quanto in tal caso prevale la disposizione normativa di cui all'art. 1118, comma quarto, c.c., che legittima il distacco, ove ricorrano le condizioni ivi previste, venendo così meno il divieto previsto nella norma regolamentare.Non univoca, invece, la soluzione ove il divieto di effettuare il distacco dall'impianto centralizzato sia contenuto in previsioni regolamentari di natura contrattuale.Sul tema specifico si sono contrapposti due orientamenti giurisprudenziali: secondo una posizione, più risalente, una clausola regolamentare di natura contrattuale che ponga il divieto del distacco sarebbe valida in quanto rientra nell'ambito dell'autonomia privata, il cui fondamento viene ravvisato nell'esigenza di disincentivare il distacco quale fonte di squilibrio sotto il profilo tecnico ed economico dal riscaldamento centralizzato.Peraltro i condomini, in esplicazione della loro autonomia privata, ben possono assumere in via negoziale l'obbligazione di contribuzione alle spese di gestione del riscaldamento svincolato dall'effettivo godimento del servizio, rientrando tale disposizione, non già nell'ambito della regolamentazione dei servizi comuni, bensì in quello delle disposizioni che attribuiscono diritti o impongono obblighi ai condomini con la conseguenza che essa non è modificabile da delibera assembleare, se non con l'unanimità dei consensi (Cass. 28 gennaio 2004, n. 1558).Altra giurisprudenza ha ritenuto non ostativo alla facoltà del singolo condomino di distaccarsi dall'impianto centralizzato una disposizione che ne vieti la realizzazione eventualmente contenuta nel regolamento di natura contrattuale, osservando che tale disposizione non è meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico ossia le disposizioni del regolamento contrattuale, in quanto contratto atipico, sono meritevoli di tutela solo ove regolino aspetti del rapporto per i quali sussista un interesse generale dell'ordinamento.Secondo quanto espresso da tale indirizzo il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini, non può derogare alle disposizioni richiamate dall'art.1138, comma quarto, c.c. e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre è possibile la deroga alle disposizioni dell'art. 1102 c.c. non dichiarato inderogabile.Quanto al distacco delle derivazioni individuali dagli impianti di riscaldamento centralizzato e alla loro trasformazione in impianti autonomi, la norma regolamentare contruattale che ne stabilisca il divieto non è meritevole di tutela per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, giacché proprio l'ordinamento ha mostrato di privilegiare, al preminente fine d'interesse generale rappresentato dal risparmio energetico, dette trasformazioni e, nei nuovi edifici, l'esclusione degli impianti centralizzati e la realizzazione dei soli individuali; in secondo luogo, giacché la ratio atipica dell'impedimento al distacco non può meritare la tutela dell'ordinamento in quanto espressione di prevaricazione egoistica anche da parte d'esigua minoranza e di lesione dei principi costituzionali di solidarietà sociale (Cass. 29 settembre 2011, n. 19893).Nel solco di tale orientamento si pongono altre pronunce della Suprema Corte secondo cui la clausola del regolamento condominiale che vieti, in radice, al condomino di rinunciare all'utilizzo dell'impianto termico comune è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune. La disposizione regolamentare che contenga un divieto incondizionato di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c., 26, comma 5, L. n. 10/1991 e 9, comma 5, D.lgs n. 102 del 2014 e successive modifiche (in tal senso Cass. n.8553/2022; Cass. 28051/2018; Cass. n.11970/2017; Cass. n.24209/2014).La questione rimane aperta anche dopo la riforma e secondo alcuni commentatori (Moscatelli, Correale) la soluzione sarebbe da individuarsi nel fatto che l'articolo 11138, comma quarto, c.c. non include l'art. 1118, comma quarto, c.c., nell'elenco delle disposizioni alle quali le norme del regolamento non possono in nessun caso derogare e, pertanto, considerato che invece l'art. 1138 c.c. richiama espressamente l'art. 1118, secondo comma c.c., il legislatore avrebbe ammesso la deroga all'articolo 1118, comma quarto, c.c., cosicché il regolamento condominiale ben potrebbe contenere un divieto assoluto di distacco dall'impianto centralizzato oppure consentirlo prevedendo la compartecipazione del condomino distaccato anche alle spese di gestione dello stesso e non solo a quelle di conservazione.Di contrario avviso altro autore (Gomitoni) sostiene che «la mancata menzione d'inderogabilità della disposizione di cui all'art. 1118, comma 4, c.c. a opera del regolamento condominiale di per sé non esclude che, in concreto, una clausola che disponga una deroga alla medesima disposizione, vietando il distacco dall'impianto comune, possa comunque, nel caso specifico, essere immeritevole di tutela ai sensi dell'art. 1132, comma secondo, c.c., né esclude che la stessa possa essere interpretata secondo buona fede e che ciò comporti, in concreto, consentire comunque il distacco qualora dallo stesso non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. La soluzione dovrebbe quindi essere ricercata in relazione alle singole fattispecie, avendo riguardo alle particolarità degli stabili e dei loro impianti di riscaldamento, ponendo attenzione all'uso del canone interpretativo/integrativo della buona fede».Condominio e normativa statale ed europea
sul contenimento del risparmio energetico
Il distacco dall'impianto centralizzato per la realizzazione di un impianto autonomo rispondeva a una esigenza di risparmio che trovava il suo conforto in una normativa statale sul contenimento del consumo energetico ormai definitivamente superata.E invero l'art. 26, comma 2, della legge n.10 del 1991 prevedeva che gli interventi su parti comuni degli edifici condominiali, volti al contenimento del consumo energetico e, congiuntamente, all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'art. 1 della stessa legge, potessero essere deliberati a maggioranza semplice in quanto il passaggio dall'impianto centralizzato a quelli singoli fosse attuato, appunto, in previsione del contenimento dei consumi energetici e con l'impiego di fonti energetiche alternative.Tale riferimento normativo è stato superato dalla legislazione statale successiva relativa al contenimento dei consumi energetici degli edifici che, con un inversione di tendenza sulla materia, dopo aver stabilito in linea di principio che è preferibile il mantenimento degli impianti termici centralizzati laddove esistenti, ammette in via eccezionale in tutti gli edifici esistenti con un numero di unità abitative superiore a quattro e, comunque, nel caso in cui sia presente un impianto di riscaldamento centralizzato di potenza di almeno 100 kW, la trasformazione dell'impianto termico centralizzato in impianti con generazione di calore separata per singole unità abitative, solo in presenza di cause tecniche o di forza maggiore, da evidenziarsi in apposita relazione tecnica (art. 4, comma 9, D.P.R. 2 aprile 2009, n.59).In tale mutato quadro normativo si colloca il D.Lgs. 4 luglio 2014, n.102 di recepimento della direttiva 2012/27/Ue sull'efficienza energetica che prevede l'obbligo a partire dal 31 dicembre 2016 per i condomini e le singole unità immobiliari di installare dispositivi specifici per la termoregolazione e la contabilizzazione del calore, pena, in mancanza, l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie da parte delle Regioni.Disposizioni integrative al decreto legisltivo 4 luglio 2014, n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica sono contenute nel decreto legisltivo n.141 del 18 luglio 2016, n. 141. La ratio della normativa europea e nazionale, finalizzata al contenimento del consumo energetico, è quella di far pagare ai condomini quello che effettivamente consumano nel loro appartamento, abbandonando la classica ripartizione delle spese per il riscaldamento secondo i millesimi di proprietà.La termoregolazione consiste nell'installare a ogni calorifero una valvola termostatica capace di avvertire la temperatura della stanza per poi erogare solo il calore necessario e così attraverso l'impiego di questi dispositivi, il singolo condomino può spegnere, ridurre o aumentare la temperatura del proprio appartamento.I sistemi di termoregolazione e contabilizzazione, infatti, permettono la gestione individuale del calore nelle singole unità immobiliari e consentono la riduzione dei consumi.Il condomino oltre a poter gestire i propri consumi e la relativa spesa potrà mantenere anche i vantaggi di un impianto centralizzato sotto il profilo della maggiore sicurezza, miglior rendimento termico nonché una riduzione di spesa per la manutenzione della caldaia che è unica e ripartita tra i vari condomini.Considerazioni conclusiveIl legislatore con la norma introdotta all'art. 1118, quarto comma, del codice civile ha codificato quale limite ostativo alla rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale e al distacco dall'impianto centralizzato il fatto che da ciò derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, non ha risolto, invece, la questione sull'ammissibilità o meno di un divieto al distacco con una disposizione regolamentare contrattuale che continua a vedere più posizioni interpretative contrapposte nella soluzione. Sul punto secondo il recente arresto giurisprudenziale la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco è nulla o non meritevole di tutela ponendosi in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c., 26, comma 5, L. n.10 del 1991 e 9, comma 5, D.Lgs. n.102 del 2014 (come modificato dall'art. 5, comma 1, lettera i, punto i, del d. Lgs. 18 luglio 2016, n.141), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l'uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale (Cass. 16 marzo 2022, n. 8553).Senonchè deve rilevarsi che a seguito della normativa 4 luglio 2014, n. 102, che ha posto l'obbligo per i condomini e le singole unità di installare entro il 31 dicembre 2016, pena l'applicazione di pesanti sanzioni, dispositivi specifici per la termoregolazione e la contabilizzazione del calore che permettono la gestione individuale del calore nelle singole unità immobiliari e consentono la riduzione dei consumi, il distacco dall'impianto centralizzato non si prospetta più come un'opzione economicamente vantaggiosa.

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