Il giudizio sulle intercettazioni non è causa di ricusazione
Non può essere ricusato il Gip che ha autorizzato le
È stato così giudicato infondato il ricorso contro l’ordinanza della Corte d’appello di Napoli che, a sua volta, aveva respinto la
La Cassazione osserva, in punta di fatto, che in realtà la Corte d’appello ha respinto la domanda di ricusazione mettendo in evidenza che la versione dei fatti esposta dalla minorenne presunta vittima della violenza appariva in contrasto con quella resa da una testimone presente all’episodio di violenza. Circostanza che minava l’attendibità della ricostruzione, anche a prescindere dall’inutilità investigativa delle intercettazioni, visto che le amiche della minorenne, eventuali destinatarie delle intercettazioni stesse, avevano semplicemente avuto notizia della vicenda da quest’ultima e non erano invece presenti all’episodio.
In punta di diritto, la Cassazione ricorda che può fondare la ricusazione solo «l’anticipaizone di valutazioni non giustificate dalle sequenza procedimentali previste dalla legge o tali da invadere, senza necessità e senza nesso funzionale con l’atto da compiere, l’ambito della decisione finale di merito, anticipandone in tutto o in parte l’esito». In altre parole, l’espressione indebita del convincimento del magistrato deve consistere nell’anticipazione dell’opinione sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato, senza che ci sia alcun tipo di necessità con la natura del provvedimento adottato. La conseguenza è che la convinzione espressa in maniera solo incidentale può avere uno spessore come causa di ricusazione quando in qualche modo può essere anticipata la decisione di merito.
Non ha convinto la Cassazione neppure il riferimento alla pretesa violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sotto il profilo dell’imparzialità del giudice, valutata a prescindere dalla successione delle fasi processuali. «Deve infatti rilevarsi - conclude la Corte - che, dal tenore del provvedimento emesso dal Gip poi ricusato, non emerge alcuna sua convinzione circa la colpevolezza o l’innocenza dell’indagato, anche prescindendo dalla rilevanza funzionale di tale provvedimento in relazione al suo scopo tipico».
Corte di cassazione, Terza sezione penale, sentenza 30 marzo 2017 n. 15849