Variazioni patrimoniali, obbligo di comunicare anche le eredità ricevute
Le S.U., sentenza n. 18474 depositata oggi, hanno chiarito che l’obbligo che grava sui condannati per particolari reati non è limitato a categorie di atti, ferma restando la necessità del giudice di verificare le condotte in concreto
L’obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali, previsto tra l’altro per i condannati per reati legati alla criminalità organizzata e per chi è sottoposto con provvedimento definitivo a misure di prevenzione (l’elenco è contenuto nell’art. 30 della L. n. 646/1982) è configurabile, con conseguente rilevanza penale della sua violazione, anche nel caso di un’acquisizione proveniente da successione ereditaria. Lo hanno stabilito le Sezioni unite, con la sentenza n. 18474 depositata oggi, sciogliendo un dubbio interpretativo. La Suprema corte ha però anche precisato che resta fermo l’onere del giudice di verificare, dandone adeguata motivazione, l’idoneità della condotta tenuta a porre in pericolo il bene giuridico protetto alla stregua del canone di offensività, enunciato dalla Corte costituzionale (nelle sentenze n. 99 del 2017 e n. 81 del 2014).
Il caso era quello di un uomo condannato per associazione mafiosa con sentenza definitiva che aveva ereditato, dopo la morte del padre, oltre 700mila euro. Il Tribunale di Napoli lo aveva condannato per il reato di cui agli artt. 30 e 31 legge 13 settembre 1982 n. 646 - omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali – a un anno e quattro mesi di reclusione, 8mila euro di multa e confisca della somma di euro 734.966,75. Egli infatti, ricostruisce la Corte, pur essendo obbligato a comunicare al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza le variazioni intervenute nel suo patrimonio, per la durata di dieci anni dalla irrevocabilità della sentenza, nulla aveva comunicato. Né, sempre per il Tribunale, dall’avvenuta presentazione della denuncia di successione poteva desumersi l’assenza di dolo.
Investita della questione, la Prima sezione penale l’ha rimessa al “Massimo consesso” considerata la presenza di due orientamenti diversi. Secondo quello maggioritario, al quale ha aderito il giudice partenopeo, la norma sanziona l’omessa comunicazione anche nel caso di beni pervenuti per successione ereditaria o per acquisti soggetti a una pubblicità legale, in quanto anche tale condotta presenta l’offensività richiesta, cioè l’idoneità a porre in pericolo il bene giuridico protetto, e cioè l’ordine pubblico.
Un diverso orientamento, invece, evidenzia come in caso di successione ereditaria vi è un aspetto che tende a escludere l’integrazione della ratio della incriminazione, considerato che l’incremento patrimoniale «non richiede alcuna iniziativa dell’agente» e viene comunque disvelato attraverso una forma di pubblicità legale, con la conseguente esclusione del dolo.
Nelle 20 pagine della decisione, la Cassazione ricorda che la ratio della nnroma è permettere “un controllo patrimoniale più analitico e penetrante nei confronti di persone ritenute particolarmente pericolose” per impedire “l’ingresso nel mercato di denaro ricavato dall’esercizio di attività delittuose o di traffici illeciti”; integrando così una “finalità preventiva, tesa ad assicurare il tempestivo controllo delle fonti da cui proviene il movimento finanziario delle modalità della sua realizzazione”.
La Suprema corte opera poi una articolata ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in relazione al principio delle “necessità della offensività della condotta” in relazione ai reati di “pericolo presunto”. Nella sentenza n. 99 del 2017, per esempio, il Giudice delle leggi, in relazione all’obbligo comunicativo, non ha rinvenuto alcun deficit di ragionevolezza secondo il parametro della offensività «in astratto», atteso che «occorre un monitoraggio costante sui beni delle persone pericolose gravate dal legislatore dell’obbligo in questione; monitoraggio che non può essere assicurato dalla registrazione e dalla trascrizione degli atti che determinano le variazioni patrimoniali». Trattandosi, tuttavia, di reato di pericolo presunto, viene ribadito il necessario controllo del giudice sulla offensività della specifica condotta. Ma è comunque la pericolosità soggettiva, derivante dal pregresso accertamento dello specifico reato (o della condizione di destinatario della misura di prevenzione) ciò che giustifica la previsione dell’obbligo comunicativo della variazione, che altrimenti risulterebbe non conforme ai principi costituzionali (sent. n. 354 del 2002).
A questo punto la Cassazione afferma che non è possibile individuare “categorie di atti” di rilevo patrimoniale “sottratti in quanto tali all’ambito applicativo della disposizione incriminatrice, che il legislatore non ha voluto circoscrivere a specifiche tipologie”. Si tratta, prosegue la decisione, di una conclusione che “oltre ad essere rispettosa del tenore letterale della disposizione, tiene conto della variabilità delle situazioni di fatto, che impediscono di impostare la risposta al quesito in termini ”categoriali”. La successione ereditaria, prosegue la decisione, può assumere forme giuridiche diverse e avere a oggetto compendi patrimoniali di diversa entità, “in ordine ai quali la verifica della assenza di condizionamenti - pregressi all’evento morte - sulla ‘composizione e derivazione’ di quanto caduto in successione è doverosa anche per i riflessi sulla concreta offensività della condotta di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali”.
Per le Sezioni unite va dunque affermato il seguente principio di diritto: “L’obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali, previsto dall’art. 30, legge 13 settembre 1982, n. 646, è configurabile, con conseguente rilevanza penale della sua violazione, nell’ipotesi di una acquisizione proveniente da successione ereditaria, fermo restando l’onere del giudice di verificare, dandone adeguata motivazione, l’idoneità della condotta tenuta a porre in pericolo il bene giuridico protetto, alla stregua del canone di offensività in concreto”.
Anche se poi nel caso concreto, la Corte non ha potuto far altro che constare l’avvenuta estinzione del reato per intervenuta prescrizione.