Il lodo arbitrale va tassato anche se non produce effetti
L’avviso di liquidazione dell’imposta dovuta per la registrazione del lodo arbitrale si può impugnare solo per vizi propri dell’atto stesso o del procedimento che ne ha preceduto l’emissione. Infatti, sebbene le vicende successive alla pronuncia del lodo (tra cui l’esito del processo di impugnazione innanzi alla corte d’appello) possano determinare il diritto al rimborso del tributo già pagato, comunque tale facoltà si può esercitare in via autonoma e non nel giudizio relativo all’avviso di liquidazione già emesso. È quanto emerge dalla sentenza 67/2/2019 della Ctp Reggio Emilia (presidente e relatore Montanari), depositata il 14 marzo.
La lite scaturisce dal ricorso contro un avviso di liquidazione, con cui l’agenzia delle Entrate aveva chiesto ai ricorrenti il pagamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale a seguito della registrazione di un lodo arbitrale. La questione oggetto di tale giudizio riguardava la pretesa di una parte di ottenere il trasferimento della proprietà di un bene immobile che le era stato promesso in vendita. L’arbitro, accogliendo l’istanza del promissario, aveva pronunciato un lodo che avrebbe avuto gli effetti del contratto non concluso. Le promittenti alienanti avevano poi impugnato la decisione innanzi alla Corte d’appello, ma nel corso del processo le parti avevano raggiunto un accordo, e quindi il promissario si era impegnato a non far valere gli effetti del lodo; così, in base all’articolo 306 del Codice di procedura civile, il processo si era estinto per rinuncia agli atti del giudizio.
Secondo i ricorrenti, nulla era quindi dovuto per la registrazione del lodo; ciò perché la decisione non produceva effetti (avendo le parti rinunciato alle reciproche pretese), e dunque il trasferimento del diritto di proprietà non si era perfezionato. Dal canto suo, l’Agenzia ha chiesto il rigetto del ricorso, sostenendo che i ricorrenti avevano esposto situazioni che si erano realizzate successivamente alla pronuncia del lodo e non, invece, vizi propri della liquidazione.
Nel respingere il ricorso, la Ctp ricorda che, in base all’articolo 37 del Dpr 131/1986, la sentenza che definisce il giudizio, anche solo parzialmente e pure se non passata in giudicato, è soggetta a tassazione; in questi casi - prosegue la Ctp, richiamando la sentenza 12023/2018 della Cassazione - «l’ufficio del registro provvede legittimamente alla liquidazione, emettendo il relativo avviso», che può essere impugnato solo per vizi che riguardano l’atto in sé considerato oppure il procedimento che lo ha preceduto o, infine, i presupposti dell’imposizione.
Di conseguenza, la riforma, totale o parziale, della sentenza sottoposta a tributo non incide sull’avviso di liquidazione, ma integra un autonomo titolo per l’esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso dell’imposta; ma si tratta - conclude da Ctp - di un titolo che si può «far valere in via autonoma e non nel procedimento relativo all’avviso di liquidazione».
Princìpi, questi, che valgono anche nel caso in esame: infatti, l’avviso era stato impugnato non «per vizi suoi propri», ma per questioni sopravvenute. Così la Ctp ha confermato il provvedimento dell’Agenzia, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di lite.
Ctp Reggio Emilia, sentenza 67/2/2019