Civile

Il sindaco "insensibile" al degrado criminale in cui versa il Comune non è ricandidabile

E' sufficiente che il Sindaco sia venuto meno agli obblighi di vigilanza, indirizzo e controllo sull'andamento della macchina comunale

di Pietro Alessio Palumbo

La misura interdittiva dell'incandidabilità di cui all'articolo 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali non richiede che la condotta dell'amministratore integri gli estremi dell'illecito penale (di partecipazione ad associazione mafiosa o di concorso esterno nella stessa) giacché ai fini dell'incandidabilità alle elezioni rileva la mera responsabilità estrinseca dell'amministratore con riguardo al grave stato di "degrado amministrativo" causa di scioglimento del consiglio comunale. È quindi sufficiente che sussista per colpa dello stesso amministratore una situazione di "cattiva gestione" della Cosa pubblica, per ciò stesso aperta alle ingerenze esterne e "asservita" alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio. A ben vedere - ha chiarito la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n.2749/2021 - la misura prevista dalla norma in discorso non è riconducibile al concetto di sanzione penale ed è applicata non quale conseguenza automatica di una condanna penale, bensì all'esito di un giudizio autonomo, il cui oggetto è costituito dall'accertamento non già di un reato, bensì di una condotta anche senza dolo dell'amministratore che pur senza sconfinare necessariamente nell'illecito, abbia "di fatto" favorito l'intromissione di associazioni criminali o il condizionamento delle stesse sulla gestione dell'ente territoriale. È pertanto sufficiente che il Sindaco sia venuto meno agli obblighi – suoi propri - di vigilanza, indirizzo e controllo sull'andamento della macchina comunale rendendo sostanzialmente possibili ingerenze distorsive di gruppi criminali.

La funzione "precauzionale" dell'interdittiva
L'incandidabilità temporanea degli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio dell'ente locale rappresenta una misura interdittiva volta a porre rimedio al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell'amministrazione comunale possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite, e in tal modo consentire una interferenza malavitosa nella vita delle amministrazioni locali. La misura interdittiva dell'incandidabilità dell'amministratore responsabile delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale in conseguenza di fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso o similare nel tessuto istituzionale locale, privando temporaneamente il predetto soggetto della possibilità di candidarsi nell'ambito di competizioni elettorali destinate a svolgersi nello stesso territorio, rappresenta perciò un rimedio volto in via preventiva a evitare il "ricrearsi" delle situazioni che hanno dato luogo allo scioglimento.

La "credibilità" delle Istituzioni e la "fiducia" dei cittadini
Il regolare funzionamento dei servizi, così come la sicurezza pubblica, la trasparenza e il generale buon andamento delle amministrazioni locali sono beni primari dell'intera collettività nazionale, nonché risorse capaci di alimentare la "credibilità" delle Istituzioni e l'imprescindibile rapporto di fiducia dei cittadini verso chi rappresenta le istituzioni medesime. Beni compromessi o comunque messi in pericolo non solo dalla collusione vera e propria tra amministratori locali e criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subìto dai primi. Dalla suddetta logica prudenziale deriva che il procedimento giurisdizionale volto alla dichiarazione di incandidabilità assume una propria autonomia rispetto, tanto alla precedente declaratoria di scioglimento del consiglio comunale che costituisce l'antecedente storico indispensabile ma non il suo oggetto, quanto a un eventuale giudizio penale che assuma l'esistenza di una condotta dell'amministratore pubblico di partecipazione, affiancamento o agevolazione del sodalizio criminale.

La prospettiva "atomistica" e quella "d'insieme"
La "prospettiva atomistica" dell'istruttoria che precede l'interdittiva in argomento seppur utile sul piano ricostruttivo non deve mai far abbandonare l'esigenza di una "valutazione complessiva" del materiale probatorio acquisito. Ciò al fine di raggiungere una visione d'insieme che dia modo di cogliere correlazioni diversamente non evidenziabili ed elementi capaci di attestare la "permeabilità" dell'amministrazione ai fenomeni di infiltrazione o condizionamento mafiosi. In altre parole i singoli fatti emergenti dalla congerie istruttoria devono essere ricondotti a una chiave di lettura comune, onde verificare se siano idonei a rappresentare una conduzione della macchina politico-amministrativa comunale sensibile se non persino compiacente con gli interessi della criminalità mafiosa.

Il ruolo di "sorveglianza" del Sindaco
È necessario evitare di considerare la condotta del singolo amministratore, estraniandola dal "contesto a partecipazione plurima" in cui ha operato. Il Sindaco non può essere considerato come una sorta di "monade" isolata dal contesto ove ha operato. A ben vedere infatti il Primo cittadino è chiamato ad esercitare il potere-dovere di vigilare e sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti, ma anche di indirizzare e controllare l'operato dei soggetti a cui è affidato il compito di dare attuazione alle scelte deliberate dall'Amministrazione. Per di più è specifico compito del Sindaco sovraintendere a tutto quanto può interessare la sicurezza e l'ordine pubblico. E la trasgressione di questi doveri di vigilanza non solo è capace di determinare una situazione di cattiva gestione dell'amministrazione comunale, ma rende anche possibili ed agevola interferenze al suo interno delle associazioni criminali, finendo per creare le condizioni per un vero e proprio asservimento dell'amministrazione municipale agli interessi malavitosi. Di talché può affermarsi che l'accertamento del venir meno, anche solo colposo, da parte del Sindaco agli obblighi di vigilanza riconnessi alla sua carica è di per sé sufficiente a integrare i presupposti per l'applicazione della misura interdittiva prevista dall'articolo 143 Tuel. Ciò in quanto la finalità perseguita dalla norma è quella di evitare (anche solo) il "rischio" che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell'amministrazione comunale possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e in tal modo (potenzialmente) perpetuare l'ingerenza malavitosa nella vita delle amministrazioni locali.

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