Casi pratici

Il trattamento di fine mandato: regole di determinazione e tassazione

Il trattamento di fine mandato: inquadramento civilistico e fiscale

di Giancarlo Marzo e Irene Barbieri

la QUESTIONE
Che cos'è il Tfm e come viene trattato fiscalmente in capo al soggetto percipiente e a quello erogante? Cosa cambia quando viene corrisposto tramite lo strumento assicurativo?

La remunerazione agli amministratori di società può essere idealmente scomposta in due elementi diversi: da un lato il compenso periodico, tradizionalmente corrisposto ai membri dell'organo amministrativo in tutte le società; dall'altro una retribuzione, generalmente riservata agli amministratori di società con una certa dimensione, da versare al termine del relativo mandato professionale. Si tratta del c.d. "Trattamento di fine mandato" o "T.F.M.", un'indennità che l'impresa si impegna a corrispondere, alla scadenza del mandato, agli amministratori di società, ai procuratori, ai consiglieri e, più in generale, a tutti i collaboratori legati all'azienda da un contratto di collaborazione. Il T.F.M. riconosciuto all'amministratore rappresenta, quindi, una forma di compenso che viene normalmente accantonato dall'impresa, spesso per il tramite di un'apposita polizza assicurativa. Andando a costituire un capitale da liquidare solo al momento della cessazione del rapporto, il T.F.M. è considerato a tutti gli effetti una "retribuzione differita", appunto perché corrisposta in un momento successivo rispetto a quello in cui la società erogante ha praticato e dedotto, per competenza, dal reddito d'impresa i relativi accantonamenti. Dunque, ove si volesse tenere a mente la logica sottesa, l'attribuzione del T.F.M. agli amministratori potrebbe essere avvicinata al Trattamento di fine Rapporto o T.F.R. corrisposto ai lavoratori dipendenti. Ciònonostante, molteplici sono le differenze, sotto il profilo giuridico e tributario, che contribuiscono a diversificare nettamente il T.F.M. dal T.F.R., a partire dalle regole di quantificazione e gestione. Basti pensare al fatto che, mentre il T.F.R è espressamente disciplinato dall'art. 2120 c.c., il codice civile nulla esplicita in tema di Trattamento di fine mandato.
Dal punto di vista normativo, quindi, il T.F.M. potrebbe essere al più ancorato alle due disposizioni codicistiche che si occupano genericamente delle attribuzioni economiche spettanti agli amministratori. Parliamo sostanzialmente:
dell'art. 2389 c.c. il quale, nel disciplinare i compensi degli amministratori, ne prevede la determinazione all'atto della nomina o, successivamente, tramite delibera assembleare, avendo cura di precisare che i medesimi compensi possono essere costituiti, anche solo parzialmente, da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere azioni di futura emissione ad un prezzo determinato;
dell'art. 2364, comma 1 n. 3, secondo cui l'assemblea determina il compenso degli amministratori, oltre che dei sindaci, ove lo statuto nulla disponga in tal senso.
In sostanza, l'assenza di un'espressa previsione legislativa dell'indennità di fine mandato, non ne preclude l'erogazione, proprio in virtù della possibilità di far rientrare un simile emolumento nella nozione di "compenso" lato sensu inteso. Per tale via, il T.F.M. viene semplicemente considerato una quota dell'attribuzione economica spettante all'amministratore da corrispondere in maniera postergata, allo spirare cioè del relativo incarico, sempre a condizione che sia così disposto nello statuto o deliberato dall'assemblea dei soci.
Tuttavia, la mancanza di un'esplicitazione normativa in tema di T.F.M. porta con sé diverse implicazioni; prima fra tutte l'impossibilità di ravvisare, per la determinazione di un simile emolumento, regole precise e stringenti, come quelle dettate, invece, per il T.F.R.. Non a caso l'art. 2120 c.c., oltre a prevedere espressamente il Trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo ne individua un parametro massimo, per ciascun anno di servizio, nell'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5.
Insomma, al contrario del T.F.R., gli importi del T.F.M., così come le corrispondenti modalità di erogazione, sono rimessi alla libera volontà delle parti, in quanto non soggetti a limitazioni predeterminate. Il che, però, come vedremo infra, non li pone al riparo da contestazioni ad opera dell'Amministrazione finanziaria, specie in termini di congruità rispetto alla realtà economica della società che eroga il T.F.M. stesso.
Quel che è certo è che, sotto un profilo squisitamente tributario, alla stessa stregua del compenso ordinario percepito in relazione alla carica di amministratore, il trattamento di fine mandato costituisce generalmente reddito assimilato di lavoro dipendente ex art.50, comma 1, lett. c-bis) T.U.I.R. (cd. Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Di talché, può essere assoggettato a imposizione soltanto al momento dell'effettiva percezione, in virtù del principio di cassa, e peraltro, su opzione, secondo il regime di tassazione separata di cui all'art. 17 T.U.I.R. in luogo di quello ordinario. Ma all'aspetto impositivo riguardante il soggetto percettore (amministratore) fa senza dubbio da contraltare quello concernente il soggetto erogante (società), dal momento che l'indennità di fine mandato incide sicuramente sul reddito di impresa. E' per questo motivo che, come si dirà più diffusamente infra, l'art. 105 T.U.I.R. prevede la deducibilità dei relativi accantonamenti dal reddito d'impresa della società erogante.
La quantificazione del TFM tra libertà di autodeterminazione e giudizio di congruità dell'AE
Considerando l'assenza di regole specifiche concernenti il limite massimo degli emolumenti da assegnare all'organo amministrativo – oltre che periodicamente – a titolo di T.F.M., potrebbe erroneamente trarsi la conclusione che la determinazione del quantum costituisca una scelta del tutto discrezionale dell'assemblea dei soci. Con esclusione, quindi, di qualsiasi controllo di congruità in capo all'Amministrazione finanziaria. A ben guardare, però, allo scopo di evitare comportamenti abusivi, dottrina e giurisprudenza da sempre si sono preoccupate di definire i contorni applicativi del T.F.M., lasciando spazio a diversi orientamenti.
Alcuni autori hanno sostenuto che, anche per determinare la somma destinata all'accantonamento annuale a titolo di trattamento di fine mandato dell'amministratore, sarebbe bene osservare le regole dettate dal Legislatore per il T.F.R., utilizzando quindi lo stesso parametro previsto per il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, ossia l'entità del compenso globale annuo erogato all'amministratore. Deporrebbe in tal senso il comma 4 dell'art. 105 T.U.I.R., a mente del quale le disposizioni concernenti la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza per il personale dipendente di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 105, valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all'art. 17 comma 1, lett. c), d) ed f). In sostanza, il rinvio al comma 1 dell'art. 17 inserito nell'art. 105, comma 4 T.U.I.R. parrebbe replicare le limitazioni sancite riguardo al lavoro subordinato, per il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sottostante alle indennità di fine mandato degli amministratori. Il tutto in linea con il cit. art. 50, comma 1, lettera c- bis) T.U.I.R. il quale, nell'assimilare esplicitamente i compensi degli amministratori ai redditi di lavoro dipendente, potrebbe giustificare l'estensione della disciplina fiscale dettata per il lavoro dipendente anche al T.F.M.. Si tratta, invero, di una tesi osteggiata da quanti coltivano l'idea della diversa natura del T.F.M. rispetto al T.F.R., adducendo a sostegno non soltanto l'inapplicabilità ai compensi corrisposti agli amministratori dell'art. 36 Cost., ma altresì il dettato della Circolare 26 gennaio 2001, n. 5/E, secondo cui «l'art. 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, ha modificato il trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, disponendone l'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente. Tale assimilazione concerne le modalità di determinazione del reddito del collaboratore ai fini delle imposte dirette, ma non si configura quale assimilazione delle due tipologie di rapporto di lavoro a tutti gli effetti di legge».
Ebbene, a sgombrare il campo da qualsiasi dubbio è intervenuta la Giurisprudenza che, pur premettendo la diversità del T.F.M. rispetto al T.F.R., ha comunque decretato la facoltà, dell'Amministrazione finanziaria, di porre in essere un sindacato di ragionevolezza e proporzionalità del T.F.M. rispetto alla realtà economica dell'impresa, in primis per il tramite di un giudizio di inerenza. A ben guardare, infatti, l'Amministrazione finanziaria ha sempre facoltà di valutare la congruità dei costi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni dei redditi e procedere alla loro rettifica, specie quando- anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio di impresa- appaiono sproporzionati ai ricavi e all'oggetto dell'impresa, così negando il diritto alla deducibilità menzionato dall'art. 109 T.U.I.R. Ciò in quanto la verifica della congruità dei componenti di reddito negativi avviene in base all'inerenza degli stessi: il contribuente deduce il costo se e solo se lo stesso è legato all'attività di impresa esercitata e, cioè, alla capacità che tale spesa ha di produrre reddito.
Questo significa che, da un lato, il T.F.M., al contrario del T.F.R., avendo natura pattizia, non è disciplinato da nessuna norma specifica; ragion per cui non è soggetto ad un tetto massimo di deducibilità l'accantonamento periodico al fondo T.F.M., il quale non deve neppure essere limitato al valore fisso convenzionale pari al numero di mensilità (13,5) a cui i lavoratori subordinati hanno diritto. Dall'altro lato, però, anche in virtù della più recente risoluzione n. 124/E del 13 ottobre 2017 emessa dall'Agenzia delle Entrate, al T.F.M. risulta comunque applicabile il criterio di congruità e di ragionevolezza, che si fonda sulla misura proporzionale ai compensi annualmente corrisposti, dovendoli diversamente ritenere non inerenti e, come tali, indeducibili. In base a tale assunto, quindi, il compenso dell'amministratore sarà suscettibile di ripresa a tassazione nella misura in cui risulti sproporzionato secondo il principio di causalità, ove cioè la spesa sostenuta sia superiore ai benefici, anche solo potenziali, cui la stessa è finalizzata. In conclusione, dunque, non potrà essere sindacata la deduzione di un accantonamento che non sia eccessivo e sproporzionato con riguardo alla realtà specifica dell'azienda, quando questo risulti conseguente ad una delibera assembleare presa secondo criteri di ragionevolezza e congruità, a nulla rilevando il riferimento alle specifiche norme adottate dal Legislatore per il rapporto di lavoro subordinato.

La disciplina fiscale del trattamento di fine mandato
Come sopra anticipato, il trattamento fiscale dell'indennità di fine mandato può essere esaminato sotto un duplice profilo: quello concernente l'amministratore che la percepisce e quello dell'impresa che, invece, eroga la suddetta indennità.
Mentre, infatti, il D.P.R. n. 597/1973 prevedeva esclusivamente la tassazione separata del T.F.M. in capo al soggetto percipiente, senza preoccuparsi delle implicazioni che l'erogazione dell'emolumento in parola avrebbe comportato in termini di reddito di impresa, il Testo unico delle imposte sui redditi considera il T.F.M. anche dal punto di vista della società, ammettendo entro precisi limiti la deducibilità degli accantonamenti a T.F.M. dal reddito di impresa.

La tassazione del T.F.M. per il soggetto percipiente
Come sopra anticipato, dal lato del soggetto che percepisce le somme, il T.F.M., esattamente come gli altri importi incassati in virtù degli uffici di amministratore, rappresenta un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai sensi della lett. c-bis) del comma 1 dell'art. 50 T.U.I.R.. In effetti, come chiarito dalla Circolare 12 dicembre 2001, n. 105/E, soltanto eccezionalmente i proventi da amministratore possono configurare reddito professionale. Il che accade nelle ipotesi in cui l'ufficio rientra nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'art. 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo.
Dal punto di vista impositivo, quindi, l'indennità dev'essere trattata come un normale compenso che, previa applicazione delle usuali ritenute alla fonte relative ai redditi di lavoro dipendente, concorre alla formazione del reddito complessivo dell'amministratore, da assoggettare poi a tassazione ordinaria, con applicazione delle aliquote IRPEF progressive per scaglioni.
Rispetto al T.F.M., però, il Legislatore ha previsto, su opzione e in presenza di determinati requisiti, una modalità di imposizione di favore: parliamo della tassazione separata, ex art. 17, comma 1, lett. c), T.U.I.R. che, nella maggior parte dei casi, permette di conseguire un notevole risparmio per il percettore. Ciò in quanto l'imposta viene calcolata, ai sensi dell'art. 21, comma 1 T.U.I.R., applicando, sull'ammontare percepito dal contribuente a titolo di T.F.M., un'aliquota pari alla metà del reddito complessivo netto conseguito dal medesimo soggetto nel biennio precedente. In simili ipotesi, dunque, il prelievo fiscale si realizza in due momenti diversi: al momento dell'erogazione dell'indennità con una ritenuta d'acconto pari al 20% ex art. 24, comma 1, D.P. R. n. 600/1973 e, in un momento successivo, mediante la liquidazione dell'imposta definitiva da parte dell'Agenzia delle Entrate, che applicherà l'aliquota corrispondente al reddito medio del biennio precedente.
Tuttavia, l'accesso al regime di tassazione separata rimane subordinato alla circostanza che il diritto all'indennità risulti da atto scritto con data certa, anteriore all'inizio del rapporto. Chiaramente, il requisito in parola è sempre soddisfatto laddove sia lo statuto della società ad assegnare agli amministratori il diritto alla percezione dell'indennità di fine mandato. In questi casi, infatti, il diritto all'indennità sorge con la costituzione della società, che avviene per atto pubblico, e l'inizio del rapporto è sicuramente successivo alla costituzione della società stessa.
Laddove, invece, lo statuto nulla preveda al riguardo, l'assemblea ha la facoltà di approvare in qualsiasi momento una delibera per assegnare il T.F.M. agli amministratori, a condizione che la delibera sia precedente l'accettazione della carica da parte dell'amministratore, cui rimane subordinato il perfezionamento del mandato a quest'ultimo conferito. Diverse sono le modalità attraverso cui è possibile assegnare alla delibera assembleare data certa, anche alla luce di quanto stabilito dall'Agenzia delle Entrate nella Circolare 10/E del 16 febbraio 2007: previa redazione del verbale di assemblea da parte di un notaio o facendo autenticare a quest'ultimo le firme ivi apposte dai soci; o ancora tramite registrazione della delibera presso l'Agenzia delle Entrate o l'invio in copia della stessa tramite raccomandata con ricevuta di ritorno all'amministratore stesso oppure, se possibile, tramite P.E.C..
La determinazione della data certa assume importanza fondamentale ai fini della tassazione, dal momento che, in mancanza di un simile requisito, il T.F.M. dovrà essere assoggettato a tassazione ordinaria. A questo proposito, però, come confermato dalla Circolare n. 3/E del 28 febbraio 2012 in virtù di un'interpretazione, pur restrittiva, dell'art. 24, comma 31 D.L. 6 dicembre 2011, n. 2011 (cd. Decreto Monti), a prescindere dalla data dell'atto che attribuisce l'indennità di fine mandato, la tassazione ordinaria è comunque prevista oltre la soglia di euro 1.000.000.

La tassazione del T.F.M. per il soggetto erogante
Dal lato del soggetto che eroga le somme, il T.F.M. può essere inquadrato tra i componenti negativi del reddito di impresa. Pertanto, ai sensi dell'art. 105, comma 4, T.U.I.R.- alla stessa stregua degli accantonamenti ai fondi per il T.F.R.- anche gli accantonamenti per il T.F.M. possono essere dedotti dal reddito di impresa nei limiti della quota maturata nell'esercizio in conformità alle disposizioni contrattuali che regolano il rapporto di collaborazione, e quindi per competenza, senza che rilevi il momento di erogazione effettivo dell'indennità. Tuttavia, il richiamo del comma 4 dell'art. 105 T.U.I.R. alla lett. c) dell'art. 17 T.U.I.R. aveva sollevato, in passato, non pochi dubbi circa la decisività, ai fini della deducibilità del costo per competenza, del requisito della data certa. Perciò, l'Agenzia delle Entrate è intervenuta a dirimerli con la risoluzione n. 211/E del 22 maggio 2008. In risposta ad un'istanza di interpello, lungo la scia della norma di comportamento n. 125/1995 dell'Associazione Italiana Dottori commercialisti, ha quindi affermato che il rinvio in parola debba rigorosamente intendersi quale specifico riferimento ai rapporti risultanti da data certa. Con la conseguenza che, per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che non soddisfano tale condizione, la deduzione del costo per il T.F.M. non può avvenire per competenza ma esclusivamente in base al principio di cassa. Ragion per cui il T.F.M. diventa deducibile soltanto nell'esercizio in cui è erogato e i relativi accantonamenti annuali costituiscono corrispondenti variazioni fiscali in aumento; sarà poi l'erogazione finale da effettuarsi a fine mandato a rappresentare una variazione fiscale in diminuzione.

L'erogazione del T.F.M. tramite lo strumento assicurativo
Per garantire il pagamento del T.F.M., la società potrebbe decidere di accantonarlo in apposite polizze assicurative, così da ottenere svariati vantaggi:
a) la rivalutazione del capitale e, quindi, un rendimento finanziario;
b) l'impignorabilità delle somme corrisposte alla Compagnia di Assicurazione e l'impossibilità di sottoporle a sequestro (art. 1923 c.c. - confermato dalla Cassazione Civile Sezioni Unite sentenza n. 8271 del 31 marzo 2008);
c) una protezione assicurativa e una salvaguardia della liquidità, visto l'accantonamento graduale della provvista necessaria all'erogazione del T.F.M. stesso. Le polizze in parola possono essere stipulate dalle società in modo individuale o collettivo, e potrebbero vantare come soggetto beneficiario o direttamente l'amministratore destinatario dell'indennità, o la stessa società contraente, la quale assume così l'impegno di retrocedere all'amministratore il capitale che rappresenta l'indennità di fine mandato dovutagli, ed eventualmente il corrispondente rendimento finanziario maturato. La distinzione appena citata tra polizze stipulate in favore della società e polizze stipulate in favore dell'amministratore assume rilievo ai fini della disciplina fiscale applicabile agli importi erogati dall'Assicurazione.
Per la società: tanto nel caso in cui risulti la diretta beneficiaria della polizza, quanto nell'ipotesi in cui l'abbia stipulata in favore dell'amministratore, i premi della polizza- essendo funzionali alla formazione della provvista necessaria per la corresponsione dell'indennità di fine mandato- rappresentano un investimento. Ragion per cui, in virtù della loro natura esclusivamente finanziaria, i premi devono essere riportati nello stato patrimoniale, mentre nel conto economico troveranno spazio, tra i costi deducibili, gli accantonamenti relativi al debito in maturazione costituito dal T.F.M. da corrispondere all'amministratore. Laddove, poi, la polizza produca dei frutti, il rendimento di polizza- intesa quale differenza tra il capitale maturato a scadenza e l'importo dei premi versati - rappresenterà contabilmente un ricavo e verrà assoggettata a tassazione con ritenuta a titolo d'acconto del 12,50 %. Se poi è stata prevista anche la retrocessione all'amministratore del rendimento finanziario in parola- che ha già scontato la tassazione come componente positivo del reddito di impresa della società- tale importo sarà comunque per la società un costo fiscalmente deducibile.
Per il percipiente: la somma derivante dalla polizza assicurativa e versata all'amministratore al momento della cessazione del rapporto, va scomposta in due parti diverse: una quota rappresentata dal T.F.M. vero e proprio, ossia l'importo dovuto per statuto o delibera dei soci, e un'altra quota data dall'investimento dei premi versati, il cd. rendimento di polizza. Mentre la prima componente viene assoggettata a imposizione sulla base del combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. a), e 19 T.U.I.R. con ritenuta d'acconto del 20%, effettuata dalla Compagnia Assicuratrice per conto della società (ritenuta che può anche essere retrocessa alla società contraente e che provvede al versamento diretto), il rendimento di polizza viene tassato differentemente a seconda che il beneficiario della polizza sia la società erogante o direttamente l'amministratore. Ove la polizza sia stata stipulata in favore della società e sia stato stabilito contrattualmente sin dall'origine che il rendimento di polizza venga girato all'amministratore, il rendimento stesso andrà a concorrere, al netto della tassazione già subita dalla società, alla formazione del T.F.M., e sconterà così la medesima imposizione prevista per quest'ultimo. Diversamente, qualora cioè non è dato rintracciare una pattuizione contrattuale in tal senso, il rendimento di polizza girato all'amministratore dovrebbe costituire un'erogazione liberale, imponibile secondo aliquote progressive. Al contrario, nella diversa ipotesi in cui il beneficiario della polizza sia direttamente l'amministratore, il rendimento di polizza andrà assoggettato soltanto all'imposta sostitutiva del 12,50 %.

Considerazioni conclusive
Sebbene, come evidenziato, il Legislatore non abbia posto alcun limite di natura quantitativa in tema di T.F.M., onde evitare possibili contestazioni ad opera dell'Amministrazione finanziaria, nella determinazione dell'indennità di fine mandato da corrispondere agli amministratori, nonché dei corrispondenti accantonamenti, lo statuto e/o l'assemblea dei soci farebbero sempre bene ad osservare, in via cautelativa, i criteri stabiliti per il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, scegliendo degli importi proporzionali ai compensi annualmente corrisposti. Così facendo si addiviene ad un rispetto prudenziale dei criteri di congruità e ragionevolezza, anche rispetto ai numeri vantati dalla stessa realtà aziendale, anzitutto in termini di fatturato.

Correlati

Giancarlo Marzo, Irene Barbieri

Questioni Risolte

Sezione Tributaria

Circolare