Impianti di climatizzazione, l'appaltatore risponde di irregolarità e malfunzionamenti
Lo ha affermato la Corte di cassazione, sentenza n. 31273 depositata oggi, accogliendo, con rinvio, il ricorso di una donna
L'appaltatore che installa un impianto di climatizzazione è responsabile delle difformità rispetto alle prescrizioni di legge e dei relativi malfunzionamenti. E così si espone al mancato pagamento dei lavori per inadempimento. Né è sufficiente per andare esente da responsabilità, l'aver eseguito nel dettaglio il progetto tecnico realizzato da terzi dichiarandosi "mera esecutrice" a meno che l'impresa non provi di aver messo in guardia il cliente circa i rischi dell'opera. Lo ha affermato la Corte di cassazione, sentenza n. 31273 depositata oggi, accogliendo, con rinvio, il ricorso di una donna contro la decisione della Corte di appello di Milano che invece aveva confermato il decreto ingiuntivo emesso a favore della società a titolo di saldo del corrispettivo non ancora versato.
Sia il giudice di primo che di secondo grado dunque avevano bocciato la domanda di risoluzione per inadempimento motivata con la difformità delle opere rispetto alle prescrizioni del Dm Sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37 ( Regolamento concernente l'attuazione dell'articolo 11-quaterdecies, comma 13, lettera a, della legge n. 248 del 2005, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di installa-zione degli impianti all'interno degli edifici ), affermando che alla stregua della scrittura privata contrattuale e delle clausole contenute nel computo metrico, l'appaltatrice era stata "mera esecutrice materiale di un progetto realizzato da terzi".
Per la ricorrente invece la società, per un verso, non poteva considerarsi nudus minister nell'esecuzione dell'appalto, visto che la legge richiama l'appaltatrice all'osservanza di leggi, regolamenti e norme in materia di appalto. Per l'altro, non si poteva negarne la responsabilità per i "vizi di funzionamento" dell'impianto di climatizzazione, a causa dell'esistenza di errori progettuali imputabili alle due società di progettazione incaricate dalla committente.
Per la Cassazione una clausola, quale quella compresa nel contratto inter partes, secondo cui l'appaltatore deve procedere all'esecuzione dei lavori "nel rispetto delle caratteristiche tecniche, delle forniture di materiali e di apparecchiature indicate nel Progetto esecutivo e illustrate nella documentazione di sviluppo ed attenersi al computo metrico e alle tavole degli impianti, non è affatto eccentrica rispetto alla disciplina tipica del contratto d'appalto, ed anzi ne costituisce il proprium". Tuttavia, prosegue, ciò non degrada l'appaltatore "al rango di nudus minister, poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica".
L'appaltatore, afferma la Suprema corte, che, nella realizzazione dell'opera, "si attiene alle previsioni del progetto fornito dal committente può non di meno essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera stessa, valutandone la condotta secondo il parametro di cui all'art. 1176, comma 2, del codice civile". In particolare, l'appaltatore "deve comunque segnalare al committente le carenze e gli errori progettuali al fine di poter realizzare l'opera a regola d'arte, con la conseguenza che, in caso contrario, egli è comunque responsabile anche se ha eseguito fedelmente il progetto e le indicazioni".
In altre parole, l'appaltatore, deve assolvere al proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, ed è perciò tenuto a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirli, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo.
Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista.
In sede di rinvio, dunque la CdA dovrà accertare in che limiti l'appaltatrice, "tenuto conto della propria specifica organizzazione, fosse obbligata a controllare la bontà del progetto fatto predisporre dalla committente e delle istruzioni impartite dalla medesima, e cioè quali fossero le cognizioni tecniche esigibili da quel determinato imprenditore edile secondo la diligenza qualificata su di esso gravante, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c.".