Inammissibile l'estensione del fallimento ad altro soggetto riconosciuto come socio apparente e occulto
Questo il principio espresso con la sentenza della Cassazione 13 settembre 2021 n. 24633
Inammissibile l'estensione del fallimento ad altro soggetto con contemporaneo riconoscimento allo stesso della qualità di socio apparente e di socio occulto. Così la sentenza della Cassazione 13 settembre 2021 n. 24633.
Il principio di diritto espresso dalla Suprema corte
Al fine dell'applicazione dell'articolo 147 della legge fallimentare, è sufficiente il riscontro, oltre che della situazione normale di una società che esista nella realtà e come tale operi nei rapporti con i terzi, anche delle situazioni anomale costituite dalla società meramente apparente nei confronti dei terzi, pure se inesistente nei rapporti interni, e dalla società occulta, cioè realmente esistente, ma non esteriorizzata. Queste due ultime situazioni, peraltro, in relazione alla diversità di presupposti, si pongono su un piano alternativo. Ne consegue che l'estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad altro soggetto, previo riscontro di una società di fatto, non può essere contraddittoriamente giustificata in base al contemporaneo accertamento, in detto soggetto, della qualità di socio apparente e di socio occulto.
I precedenti della Cassazione e dei giudici di merito
Per quanto riguarda altri orientamenti e precedenti in materia – la sentenza commentata in questa sede richiama in motivazione la decisione della Cassazione 24 marzo 1981 n. 1708 - va segnalato che nei quaranta anni che separano le due pronunce la questione non è mai stata affrontata nella giurisprudenza del Suprema corte.
Per altri riferimenti si veda la Cassazione sentenza 17 marzo 1976 n. 977, in Giustizia civile, 1976, I, p. 1303 - resa sull'estensione alla società di fatto, e al socio occulto di essa, del fallimento dichiarato nei confronti dell'imprenditore individuale - dove viene stabilito che la società di persone realmente esistente ma occulta risponde di fronte ai terzi anche in difetto della cosiddetta esteriorizzazione, ossia della prova di un comportamento dei soci apparenti, idoneo a determinare in concreto l'incolpevole affidamento dei terzi circa l'esistenza della società.
Inoltre, la Corte costituzionale con l'ordinanza 4 febbraio 2003 n. 36, sostiene che è
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 2, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, sollevata in riferimento all'art. 3 cost., nella parte in cui non è previsto un limite temporale, decorrente dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento della società di persone, per l'estensione della procedura al socio occulto o apparente illimitatamente responsabile.
Per i riferimenti relativi alla giurisprudenza di merito si vedano:
- il tribunale di Bergamo, sentenza 5 dicembre 2018, secondo il quale lo stato di insolvenza della «supersocietà di fatto occulta» discende dallo stato di insolvenza dell'imprenditore «apparente» - in precedenza dichiarato fallito - socio «occulto» della medesima supersocietà di fatto occulta;
- il tribunale di Torino, 26 novembre 1992, che afferma che la ingerenza nella gestione e nell'amministrazione di una snc (attuata attraverso riscossioni di importi, pagamento di fatture per conto della società), ancorché non sufficiente di per sé a integrare la prova di un rapporto sociale di fatto ed occulto, costituisce tuttavia circostanza idonea ad ingenerare nei terzi il convincimento dell'esistenza di tale rapporto; e la necessità di tutelare l'incolpevole affidamento di questi ultimi, giustifica pertanto l'estensione del fallimento al socio apparente, essendo irrilevante la presenza o meno di accordi con i componenti effettivi della società.