Informative antimafia anche per attività soggette a Scia, licenze o autorizzazioni
Anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a Scia sono sottoposte alle informative antimafia. È questa l'apertura del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 565/2017, ha accolto l'appello della Provincia di La Spezia su una sentenza del Tar Emilia Romagna. I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, infatti, che la tradizionale distinzione, codificata dal Dlgs n. 159 del 2011, tra le comunicazioni antimafia, applicabili agli atti autorizzativi ed abilitativi, e le informative antimafia, applicabili a contratti pubblici, concessioni e sovvenzioni pubbliche, non si ponga più in un rapporto di necessaria alternatività, come nella legislazione anteriore al nuovo codice delle leggi antimafia.
La vicenda - Il caso riguarda la richiesta di autorizzazione unica ambientale per lo scarico di acque reflue industriali e l'informativa antimafia con effetto interdittivo a carico della società interessata perché ritenuta «contigua ad ambienti criminali di matrice ‘ndranghetista». Il Tar per l'Emilia Romagna, in primo grado, ha ritenuto che la Prefettura di Reggio Emilia non potesse emettere l'informativa antimafia, in base al Dlgs n. 159, perché l'autorizzazione richiesta era «funzionale all'esercizio di una attività imprenditoriale privata estranea alle ipotesi espressamente previste dalla illustrata normativa non comportando alcun rapporto con la Pubblica Amministrazione». Non di questo avviso il Consiglio di Stato.
Comunicazione e informativa - La comunicazione antimafia è costituita da un'attestazione circa l'assenza di misure di prevenzione penale o condanne per alcuni gravi delitti. Essa è necessaria per il rilascio di autorizzazioni, licenze o a Scia ed è autocertificabile dall'imprenditore. L'informativa antimafia è costituita invece da una valutazione del Prefetto sul rischio di infiltrazione mafiosa, fondata non solo sulle condanne ma anche su altri elementi (rapporti di polizia, cointeressenze economiche, frequentazioni). L'informativa costituisce quindi uno strumento di prevenzione molto più avanzato. Essa era necessaria, secondo la precedente normativa, solo quando l'impresa doveva stipulare contratti con l'amministrazione, ricevere sovvenzioni, o sfruttare economicamente beni pubblici.
La distinzione tra i due strumenti – ha osservato il Consiglio di Stato – «ha fatto sì che le associazioni di stampo mafioso potessero, comunque, gestire tramite imprese infiltrate, inquinate o condizionate da essa, lucrose attività economiche, in vasti settori dell'economia privata, senza che l'ordinamento potesse efficacemente intervenire per contrastare tale infiltrazione, anche quando, paradossalmente, a dette imprese fosse stata comunque interdetta la stipulazione dei contratti pubblici per effetto di una informativa antimafia».
Il nuovo assetto della normativa antimafia e, in particolare, l'istituzione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia , hanno cambiato la situazione. Anche quando si tratta di attività soggette ad autorizzazione, in cui al Prefetto si chiede di emettere solo una comunicazione antimafia, egli può comunque eseguire gli accertamenti tipici dell'informativa invece di limitarsi a riscontrare semplicemente l'assenza di misure definitive di prevenzione o di condanne. Ciò amplia la possibilità di riconoscere i soggetti a rischio di legami mafiosi: non più soltanto quando essi debbano stipulare contratti con una Pa ma anche quando essi svolgano attività che devono essere autorizzate dall'amministrazione. Del resto – ha aggiunto il Consiglio di Stato –«l'ordinamento non riconosce dignità e statuto di imprenditore economico a soggetti condizionati, infiltrati, controllati da organizzazioni mafiose, poiché l'interesse pubblico generale è nel senso di preservare la legalità nel tessuto dell'economia reale, proteggendola dall'inquinamento pervasivo criminale».
Il compito del Prefetto - Il Prefetto, pertanto, - indica espressamente la sentenza - avrà la facoltà di emettere una informativa antimafia, in luogo della richiesta comunicazione antimafia, tutte le volte in cui, nel collegamento alla Banca dati nazionale unica, emergano provvedimenti o dati che lo inducano a ritenere non possibile emettere una comunicazione liberatoria, ma impongano più serie verifiche in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.
Questo sistema «che risponde a valori costituzionali ed europei di preminente interesse e di irrinunciabile tutela» non attenua le garanzie che la tradizionale ripartizione tra le comunicazioni e le informazioni antimafia prima assicurava, consentendo alle sole comunicazioni antimafia, emesse sulla base di un provvedimento di prevenzione definitivo adottato dal tribunale con tutte le garanzie giurisdizionali, di precludere l'ottenimento di licenze, autorizzazioni o di qualsivoglia provvedimento, comunque denominato, per l'esercizio di attività imprenditoriali.
C'è pericolo che «estendendo l'applicazione delle informative antimafia alle attività economiche soggette al regime autorizzatorio, si schiuda la via all'arbitrio dell'autorità prefettizia nella valutazione della permeabilità mafiosa e quindi anche nell'accesso alle attività economiche (solo) private»? Il Consiglio lo ritiene del tutto infondato poiché la valutazione prefettizia deve sempre fondarsi su «elementi gravi, precisi e concordanti che consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti». I giudici si affidano a «un'equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, richiedono alla Prefettura un'attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell'esercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale».
Consiglio di Stato – Sezione III – Sentenza 9 febbraio 2017 n. 565