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Italia e Venture Capital, segnali di progresso ma un cambio di passo è necessario

Sfide e prospettive per la seconda metà del 2025

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di Calogero Porrello*

Lo scenario di base

L’Italia, terra di grande creatività, ma spesso vittima delle proprie lentezze strutturali, si affaccia alla seconda metà del 2025 con un interrogativo cruciale: può finalmente diventare un attore credibile nel grande gioco globale dell’innovazione tecnologica?

In un contesto scosso da nuove ondate protezionistiche - con lo spettro di una guerra commerciale in cui contorni non sono ben definiti - e da mercati finanziari difficili da decifrare, puntare sull’innovazione non è più una semplice scelta strategica, ma una condizione necessaria per restare competitivi.

L’Italia del 2025 è ben diversa da quella di anche solo 10 anni fa.Il DeepTech, il CleanTech e il Biotech si fanno strada e l’intelligenza artificiale non è più un’esclusiva della Silicon Valley, ma un campo di battaglia in cui anche le startup italiane vogliono dire la loro, almeno con riferimento ad alcune applicazioni di nicchia. E se è vero che nel 2024 gli investimenti nel settore del venture capital italiano hanno superato per il quarto anno consecutivo il miliardo di euro, allora siamo forse davanti a un trend che, per una volta, potrebbe essere destinato a durare. La vera sfida ora è trasformare questo slancio in un ecosistema competitivo e attrattivo, capace di trattenere capitali e talenti.

Un’Europa a due velocità - La geografia dei capitali in Italia

Secondo il report “State of Italian VCdi P101 – uno dei principali attori del venture capital italiano – negli ultimi cinque anni il venture capital ha investito quasi 7 miliardi di euro nelle startup italiane, posizionando l’Italia al decimo posto in Europa.

Considerando da dove veniamo, il dato appare incoraggiante, ma la distanza dai primi della classe è abissale: Spagna 13 miliardi, Germania e Francia oltre 48 e 50. Tuttavia, la crescita del venture capital in Italia dal 2011 a oggi è stata costante e incoraggiante, segno che qualcosa si sta finalmente muovendo. L’EY Venture Capital Barometer segnala che nel 2024 sono stati raccolti 1,127 miliardi di euro, in crescita del 7,5% rispetto all’anno precedente. Il numero di round è aumentato dell’11% e si contano 292 operazioni, segno che qualcosa si muove. Nonostante il mercato del venture capital italiano fatichi a intraprendere un percorso di crescita accelerata (gli investimenti rappresentano infatti solo lo 0,06% del PIL a fronte dello 0,20% della Germania, 0,26% della Francia e 0,12% della Spagna), i risultati illustrati testimoniano se non altro una certa stabilità.

Il baricentro degli investimenti in Italia resta saldamente ancorato al Nord, con la Lombardia che gioca il ruolo di locomotiva: il Nord Italia registra oltre 950 milioni di euro di investimenti, contro i circa 220 milioni del Centro Italia e i 43 milioni del Sud.

Sostegno dalle politiche pubbliche e fondi europei

Tra le leve più promettenti del 2025 c’è la macchina – spesso lenta, ma comunque estremamente rilevante – dell’intervento pubblico. Il PNRR, ad esempio, ha dedicato risorse significative all’innovazione digitale e alla sostenibilità, dando vita a una serie di opportunità per le startup in questi settori. Il governo italiano ha recentemente annunciato investimenti significativi, tra cui 1 miliardo di euro destinati all’intelligenza artificiale e alla cybersecurity, con l’obiettivo di promuovere progetti in questi settori strategici.

Allo stesso modo, la legge 16 dicembre 2024, n.193 ha introdotto significative modifiche normative che riguardano startup innovative, incubatori certificati e investimenti nel settore delle nuove imprese tecnologiche. In particolare, a partire dal 2025, viene introdotta una definizione più selettiva di startup innovativa: al fine di garantire una focalizzazione su attività di sviluppo e commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico, sono state escluse dai benefici le startup che svolgono attività meramente consulenziali. La permanenza nel registro delle startup innovative si estende fino a nove anni, subordinatamente al rispetto di determinate metriche che testimonino un concreto percorso di crescita. Le agevolazioni fiscali si affinano, con un incremento al 65% della percentuale di detrazione fiscale per gli investimenti in startup innovative. Sono inoltre previsti crediti d’imposta per incubatori certificati e vantaggi fiscali per gli enti di previdenza obbligatoria e per le forme di previdenza complementare, al fine di incrementare gli investimenti in venture capital da parte di investitori istituzionali a supporto di un ecosistema più maturo e competitivo.

Principali sfide

Nonostante le prospettive ottimistiche, è evidente che il venture capital in Italia si trova davanti ad alcune sfide significative. Fra i principali ostacoli per le startup italiane rientrano sicuramente la mancanza di un ecosistema maturo, le difficoltà a trattenere i talenti esistenti e a trovare figure professionali esperte in settori come l’intelligenza artificiale, la blockchain o la biotecnologia, il che potrebbe rallentare la crescita economica e lo sviluppo delle nuove imprese. A ciò si aggiunge il contesto culturale, caratterizzato da una nota avversione al rischio e da una tendenza a considerare l’errore – fisiologico nel settore del venture capital – come un fallimento, anziché come una tappa del normale percorso di crescita e apprendimento. Inoltre, la burocrazia continua a rappresentare un freno strutturale: i tempi lunghi per l’avvio di un’impresa, l’accesso ancora macchinoso agli incentivi, la complessità delle procedure amministrative e la lentezza della giustizia scoraggiano non solo gli imprenditori, ma anche i potenziali investitori, soprattutto internazionali. Inoltre, le incertezze macroeconomiche globali potrebbero influenzare il flusso di capitali. Negli Stati Uniti – da sempre cartina di tornasole per i trend dell’innovazione – il primo trimestre del 2025 ha mostrato segnali inequivocabili di raffreddamento. Le incertezze macroeconomiche, acuite dall’ultima ondata di dazi e da un mercato azionario in fibrillazione, hanno spinto molti investitori ad un atteggiamento attendista. Alcune grandi operazioni hanno trainato i valori di uscita, ma il resto del mercato resta debole. Anche la raccolta fondi ha toccato il livello più basso degli ultimi dieci anni, a testimonianza di un clima tutt’altro che propizio.

Conclusioni

L’Italia si trova dunque a un bivio storico: sebbene i segnali di progresso nel venture capital siano tangibili, il divario con i Paesi leader in Europa rimane marcato. Un cambio di passo, sia strutturale che culturale, appare quanto mai necessario. Le nuove misure normative e il sostegno del PNRR rappresentano un’opportunità concreta per consolidare l’ecosistema. La vera sfida risiede nel trattenere i talenti, attrarne di nuovi e creare un ambiente in cui la burocrazia lasci spazio all’innovazione, affinché quest’ultima non sia l’eccezione, ma la regola. 

Guardando alla seconda metà del 2025, le prospettive per il venture capital in Italia appaiono promettenti. La strada intrapresa è quella giusta, ma per trasformare i segnali positivi degli ultimi anni in un cambiamento strutturale duraturo – in un contesto globale segnato da volatilità, tensioni commerciali e segnali di rallentamento persino nei mercati più maturi come gli Stati Uniti – è essenziale un’alleanza solida tra politica, capitale privato, università e imprese. Solo attraverso un impegno condiviso sarà possibile coinvolgere maggiormente gli investitori istituzionali e far crescere la quota di investitori internazionali nei round guidati da VC italiani, al fine di colmare il gap con gli altri Paesi europei e rendere il venture capital un pilastro stabile del futuro economico del Paese.

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*Calogero Porrello, Partner Bird & Bird