L’amministrazione di sostegno non frena la donazione
La Corte costituzionale con sentenza 114/2019 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 774, comma 1, primo periodo, del Codice civile, sollevata dal giudice tutelare del Tribunale di Vercelli nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno (Ads).
La disposizione prevede che «non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni». Secondo il rimettente, l’Ads determina sempre un’ablazione della capacità di agire, sicché il beneficiario non avrebbe «piena capacità»: ergo, non potrebbe donare.
Il divieto di donare, dice la Corte, è sempre stato inteso come rivolto agli interdetti, agli inabilitati e ai minori. Le differenze tra l’Ads e le altre misure di protezione impediscono l’applicazione analogica delle disposizioni codicistiche su interdizione e inabilitazione. L’Ads non determina uno status d’incapacità, cui debbano riconnettersi automaticamente divieti per interdetti e inabilitati. È uno strumento volto a proteggere senza avvilire la persona colpita da disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità. Va modellato «in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità».
La conclusione è che «in assenza di esplicita disposizione da parte del giudice tutelare non possono ritenersi implicitamente applicabili divieti e limitazioni previsti dal Codice civile ad altro fine». Né la disposizione censurata, né altre disposizioni del Codice prevedono un divieto di donare a carico del beneficiario di Ads, che conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore di sostegno.
Il ruolo del giudice tutelare è centrale. L’articolo 411 del Codice civile gli consente di estendere il divieto di donare al beneficiario di Ads. All’estensione il giudice deve provvedere «espressamente». La Corte evoca l’orientamento di legittimità per cui ciò è possibile solo in casi eccezionalmente gravi, in cui la volontà può essere viziata da turbamenti a causa di fattori endogeni o di agenti esterni (Cassazione 12460/2018).
Deve trattarsi di un’esplicita indicazione giudiziale contenuta nel decreto di nomina. Perfetto: che ne sarà quindi di tutti i decreti emessi sino a oggi? Perché se essi tacciono sulle donazioni e se questo silenzio va interpretato all’interno dei quattro angoli del foglio, c’è il rischio d’un paradosso: la stessa persona non potrebbe vendere un immobile se non rappresentata dall’amministratore di sostegno e previa autorizzazione del giudice, ma potrebbe donarlo personalmente e liberamente.
Era una vicenda familiare: la madre voleva donare alla figlia 10mila euro per l’acquisto di una cucina, accantonando pari somma per l’altro figlio. Chissà se l’epilogo sarebbe stato lo stesso in caso di una vera donazione a favore di terzi non di modico valore. Una cosa è certa: la sentenza mette l’audio al mutismo dei decreti e invita a una programmazione giudiziale di cura dei beneficiari di Ads organica e dettagliata. E, ovviamente, non esclude l’annullamento della donazione per incapacità d’intendere e di volere.
Corte costituzionale – Sentenza 114/2019