L'ostensibilità degli atti delle società a partecipazione pubblica
Sistema generale di accesso ai documenti in possesso delle Pubbliche Amministrazioni e ostensibilità degli atti della società a partecipazione pubblica
Nella sistematica del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica i profili privatistici convivono con quelli pubblicistici: si pensi, a titolo esemplificativo, al connotato di pubblicità che caratterizza la fase della scelta, da parte dell'ente pubblico, di costituire una società o di partecipare a una società esistente.
Uno dei profili, tuttavia, non oggetto di regolamentazione da parte del Testo unico riguarda l'obbligo di ostensibilità - e il correlato diritto di accesso - degli atti della partecipata pubblica.
•Il sistema generale di accesso ai documenti in possesso delle Pubbliche Amministrazioni
L'ordinamento giuridico prevede le seguenti forme di accesso:
- l'accesso c.d. esoprocedimentale (anche detto ‘documentale'); l'accesso civico (anche detto ‘semplice' o ‘generico');
- l'accesso civico generalizzato (anche detto ‘universale').
Si tratta di istituti «a portata generale, ma a diverso oggetto» (Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503), i quali «concretano un insieme di sistemi di garanzia, tra loro diversificati, corrispondenti ad altrettanti livelli soggettivi di pretesa alla trasparenza da parte dei soggetti pubblici » (Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817).
Per quanto attiene, in particolare, all'accesso esoprocedimentale la legge 7 agosto 1990, n. 241 ("Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi") definisce l'accesso come «il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi » (art. 22, co. 1, lett. a).
Il legislatore ha elevato detta facoltà conoscitiva, in considerazione delle «sue rilevanti finalità di pubblico interesse» (art. 22, co. 2, legge n. 241/1990), al rango di «principio generale dell'attività amministrativa» (T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VI, 9 aprile 2019, n. 1970), volto a «favorire la partecipazione» degli amministrati (Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2018, n. 2382), in attuazione dei principi - sanciti dall'articolo 97 della Costituzione - di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, i quali costituiscono «i valori essenziali di riferimento di ogni comportamento dell'amministrazione» (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999, n. 4).
Diverso è il caso del soggetto partecipante al procedimento amministrativo, il cui accesso (c.d. endoprocedimentale) ai relativi atti e documenti è subordinato unicamente alla prova della propria ‘veste' di parte del procedimento (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2006, n. 2068).
Il legislatore, onde evitare la tramutazione del diritto di accesso in un potere esplorativo nei confronti della Pubblica Amministrazione, ha adottato il criterio dell'interesse, in virtù del quale ha circoscritto la legittimazione all'esercizio del diritto de quo in maniera selettiva: è legittimato unicamente il soggetto che, benché estraneo al procedimento amministrativo, sia titolare di un « interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso» (art. 22, co. 1, legge n. 241/1990), essendo espressamente escluso che il suo esercizio possa avvenire per finalità di mero «controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni» (art. 24, co. 3, legge n. 241/1990), dovendo, peraltro, il soggetto istante motivare adeguatamente la domanda di accesso (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515).
L'interesse ostensivo deve essere
(i) diretto, ovvero appartenente alla sfera del soggetto istante, il quale è, altresì, tenuto a dimostrare di essere il portatore della posizione giuridica soggettiva preesistente (cui strumentalmente inerisce il diritto di accesso),
(ii) concreto e non meramente astratto, generico o ipotetico, occorrendo un quid pluris, ravvisabile nel collegamento tra il soggetto istante e un concreto bene della vita e
(iii) attuale e non meramente storico-documentativo, dovendo il documento oggetto dell'istanza avere riflessi attuali sulla posizione giuridica sostanziale vantata dal soggetto istante.
La configurabilità dell'interesse all'accesso non postula l'esistenza di una lesione immediata e in atto della posizione soggettiva del richiedente, a condizione, però, che la manifestata esigenza di conoscere il contenuto degli atti detenuti dall'Amministrazione destinataria dell'istanza non abbia carattere meramente emulativo (cfr. T.A.R. Toscana - Firenze, Sez. I, 27 luglio 2015, n. 1124).
Il diritto di accesso è, quindi, vincolato, a livello normativo, all'esistenza di una posizione legittimante differenziata: la legittimazione soggettiva presuppone un rapporto di diretta strumentalità della conoscenza, incorporata negli atti e documenti oggetto dell'istanza di ostensione, rispetto a un interesse protetto e differenziato, «diverso dalla mera curiosità del dato, di colui che esprime sì il bisogno di accedere, ma con le modalità previste dalla specifica disciplina normativa» (T.A.R. Puglia - Bari, Sez. III, 19 febbraio 2018, n. 234).
La titolarità dell'interesse ostensivo non costituisce l'unico presupposto legittimante l'accesso, essendo necessaria anche la sussistenza di un collegamento tra la situazione giuridica qualificata e differenziata e il documento oggetto della richiesta di ostensione, collegamento al quale «è segnatamente ancorato (nella scolpita preclusione ad un "controllo generalizzato", proprio di altre forme di accesso uti civis, della complessiva azione amministrativa) il necessario e pregiudiziale vaglio di meritevolezza della valorizzata pretesa ostensiva» (Cons. Stato n. 1817/2019 cit.).
Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, «la "corrispondenza" fra accesso e situazione sostanziale rappresenta appunto la connessione, se non il rapporto di vera e propria strumentalità, fra il primo e la seconda, e si riflette nella riconoscibilità di un "collegamento" con i documenti oggetto dell'istanza di ostensione» (T.A.R. Toscana n. 1124/2015 cit.).
La giurisprudenza amministrativa ha, altresì, sancito l'autonomia della nozione di situazione giuridicamente rilevante: «la legittimazione all'accesso spetta a chiunque possa dimostrare che gli atti oggetto della domanda di ostensione abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica» (Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2013, n. 4321), con il corollario che «l'azione per l'accesso agli atti della pubblica amministrazione può essere proposta anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione dell'azione per l'annullamento di un provvedimento amministrativo» (Cons. Stato n. 4321/2013 cit.).
L'oggetto del diritto di accesso è costituito dal documento amministrativo, intendendosi tale - letteralmente - «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, co. 1, lett. d, legge n. 241/1990).
Nella categoria dei documenti amministrativi ostensibili rientrano tutti gli atti detenuti da una Pubblica Amministrazione, anche meramente endoprocedimentali, purché abbiano spiegato (o siano idonei a spiegare) nei confronti del soggetto istante «effetti diretti o indiretti» (Cons. Stato n. 4321/2013 cit.).
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale «[i]l rimedio dell'accesso non può […] essere utilizzato per indurre o costringere l'Amministrazione a formare atti nuovi rispetto ai documenti amministrativi già esistenti, ovvero a compiere un'attività di elaborazione di dati e documenti, potendo essere invocato esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e materialmente esistenti presso gli archivi dell'Amministrazione» (Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8359).
In estrema sintesi, l'istante deve dimostrare di essere «intestatario di una posizione "soggettiva" apprezzabile e, come tale, sufficientemente differenziata nella vita di relazione» (Cons. Stato n. 1817/2019 cit.) e, nel contempo, fornire la prova dell'esistenza di «un "collegamento" tra siffatta posizione e i dati e le informazioni a qualsiasi titolo incorporate in supporti documentali detenuti da una pubblica amministrazione (o da soggetti equiparati) » (Cons. Stato n. 1817/2019 cit.), nonché della «concreta e specifica "utilità" della pretesa ostensiva (ancorché non necessariamente preordinata all'esperimento di tutele giurisdizionali)» (Cons. Stato n. 1817/2019 cit.).
L'Amministrazione destinataria dell'istanza ostensiva è tenuta, a sua volta, a effettuare, nel rispetto dei fondamentali canoni di proporzionalità e ragionevolezza e sulla base del supporto motivazionale fornito all'istanza stessa, una «rigorosa disamina della posizione legittimante del richiedente» (T.A.R. Puglia n. 234/2018 cit.), volta a verificare la ricorrenza, in concreto, di un interesse qualificato e differenziato corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata, nonché l'esistenza di un collegamento tra detta situazione e il documento oggetto della pretesa ostensiva, fermo restando l'onere gravante sul richiedente, tenuto a dimostrare la ricorrenza di un «proprio e personale interesse (non di terzi, non della collettività indifferenziata) a conoscere gli atti e i documenti richiesti» (T.A.R. Puglia n. 234/2018 cit.).
La disamina demandata all'Amministrazione «si sostanzia nel solo giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo e differenziato bisogno di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, purché non preordinato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull'azione amministrativa, espressamente vietato dall'art. 24, comma 3 della L. n. 241/1990" (Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 793) e "postula un accertamento concreto dell'esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti (Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006 n. 555)» (Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3431).
• Il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica
Il disegno riformatore del settore delle società a partecipazione pubblica di cui alla legge delega 7 agosto 2015, n. 124 ("Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche" - c.d. Riforma Madia) è stato attuato mediante il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante il "Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica" (c.d. TUSP ).
Con il Testo unico il legislatore ha attuato un intervento combinato, contemplante la «razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità», unitamente alla « ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche» (art. 18, co. 1, legge n. 124/2015), al precipuo fine - in ossequio alla ratio ispiratrice della riforma - di contenere la spesa pubblica e di evitare, in un'ottica prettamente giuscontabilistica, che l'opzione per la gestione esternalizzata dei servizi pubblici possa tradursi in un mezzo per eludere i vincoli di finanza pubblica.
La creazione di organismi societari o la semplice partecipazione a società già esistenti sono operazioni - potenzialmente - idonee a incidere sul bilancio pubblico dell'ente, motivo - questo - per il quale il legislatore del TUSP ha adottato, quale «direttrice fondamentale», la « "razionalità" della gestione, vale a dire l'accertamento e perseguimento dello strutturale equilibrio economico-finanziario dell'organismo partecipato» (C. conti, Sez. reg. contr. Campania, 31 maggio 2019, n. 120/2019/COMP).
La principale finalità del Testo unico è resa esplicita nell'articolo 1, ai sensi del quale le disposizioni del TUSP «sono applicate avendo riguardo all'efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica» (co. 2).
Trattasi, come chiarito dalla giurisprudenza contabile, di prescrizioni tassative, aventi la «funzione di salvaguardia degli equilibri di bilancio» (C. conti, Sez. reg. contr. Basilicata, 29 aprile 2021, n. 31/2021/PRSP).
L'insieme delle disposizioni recate dal Testo unico definisce uno status giuridico proprio, rectius speciale delle società a partecipazione pubblica, diverso rispetto a quello ordinario delle società, con riferimento al quale - in virtù del criterio della prevalenza - le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato si applicano agli organismi partecipati da soggetti pubblici unicamente per i profili non derogati dal TUSP (cfr. art. 1, co. 3).
• La natura giuridica della società a partecipazione pubblica
Per quanto attiene alla questione della natura giuridica delle società a partecipazione pubblica, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità invalso in epoca antecedente all'introduzione del Testo unico, il ricorso da parte dell'ente pubblico allo strumento societario di diritto comune era ritenuto inidoneo a incidere, snaturandola, sulla qualificabilità della società partecipata come soggetto privato ove il socio pubblico non disponesse, statutariamente, di poteri di ingerenza e di influenza ulteriori rispetto a quelli ordinariamente previsti dal diritto societario e, nel contempo, l'oggetto sociale non ricomprendesse attività di interesse pubblico da esercitarsi in forma prevalente (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. Un., 15 aprile 2005, n. 7799, 30 dicembre 2011, n. 30167, 20 febbraio 2013, n. 4217 e 19 aprile 2013, n. 9534; Cass. civ., Sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991).
In altri termini, il connotato di pubblicità che caratterizzava l'interesse riferibile al socio pubblico non assumeva valenza a fini qualificatori, trattandosi di interesse di rilievo esclusivamente extrasociale (Cass. n. 7799/2005 cit.).
Secondo l'e laborazione giurisprudenziale post TUSP il rapporto tra la società e il socio pubblico è di «sostanziale autonomia» (Cass. civ., Sez. V, 29 luglio 2017, n. 21658), rimanendo i due soggetti distinti sul piano giuridico-formale: «la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici (comune, provincia e simili) ne posseggono, in tutto o in parte, le partecipazioni, in quanto non assume rilievo alcuno, per le vicende della società medesima, la persona dell'azionista, dato che la società, quale persona giuridica privata, opera comunque nell'esercizio della propria autonomia negoziale e non è consentito all'ente pubblico, mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, di incidere sullo svolgimento del rapporto partecipativo e sull'attività della società, che restano assoggettati alla disciplina privatistica, così da non escludere la alterità soggettiva dell'ente societario nei confronti della pubblica amministrazione, il quale è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante» (Cass. civ., Sez. un., 14 marzo 2022, n. 8186. Conformi ex multis Cass. civ., Sez. I, 22 febbraio 2019, n. 5346; Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3196).
• L'ostensibilità degli atti della società a partecipazione pubblica
Il referente normativo è costituito dall'articolo 22 ("Definizione e principi in materia di accesso") della legge n. 241 del 1990, il quale, nel fornire la definizione di «pubblica amministrazione», ha precisato che devono intendersi tali «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario» (co. 1, lett. e).
In altri termini, l'attività dell'organismo che - benché di natura privatistica - esplica un servizio pubblico è da considerarsi amministrativa e, come tale, assoggettata all'actio ad exhibendum ai sensi della legge n. 241 del 1990.
Secondo i principi ormai consolidati sanciti dalla giurisprudenza amministrativa, «le regole dettate in tema di trasparenza della pubblica amministrazione e di diritto di accesso ai relativi atti si applicano a tutti i soggetti privati chiamati all'espletamento di compiti d'interesse pubblico» (T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. II, 18 luglio 2019, n. 1809. Conformi ex multis Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre 2013, n. 4923; Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2010, n. 252).
L'applicabilità della disciplina in materia di accesso agli atti è stata, di recente, affermata anche con riferimento alle società a capitale misto pubblico-privato: «[g]iacché la partecipazione di un'amministrazione pubblica alla predetta tipologia di società commerciali è possibile in quanto, e nella misura in cui, dette società concorrono alla produzione di un servizio di interesse generale ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 175/2016, se ne deve dedurre che la società evocata in giudizio – e le proprie partecipate – in quanto aventi quale scopo quello di produrre un servizio di interesse generale (consistente nell'erogazione dei servizi idrico ed elettrico), non può non considerarsi soggetto passivo della disciplina in materia di accesso agli atti dettata dalla legge n. 241/90 la quale, come noto, si applica alle pubbliche amministrazioni, intendendo per tali anche "i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario" (art. 22, comma 1, lett. e), della legge n. 241/90 e ss.mm.ii.)» (T.A.R. Lazio - Roma, Sez. II-bis, 3 agosto 2022, n. 10969).