La “Cartabia” che non c’è: l’esito dell’udienza preliminare “secca”
Un meccanismo per certi versi rivoluzionario e di ispirazione fortemente garantistica nella prassi, di fatto, trascurato
Alcuni commentatori si stanno cimentando nel non facile compito di trarre un primo, provvisorio bilancio dell’impatto della legge cd. “Cartabia” (D.Lgs. 150 del 10.10.2022), una delle riforme più ampie e ambiziose del nostro sistema penale da molti anni a questa parte. Ciò accade perché, dopo meno di un anno e mezzo dall’entrata in vigore della nuova normativa, il Legislatore (vedi D.Lgs. 31 del 19.3.24) ha già ritenuto opportuno mettere mano alla riforma per introdurre alcuni correttivi, molti dei quali resi necessari dalla prassi applicativa.
Non è certo questa la sede per una valutazione esaustiva ed organica di cosa stia funzionando - o meno – di questa riforma. In linea generale, lo scopo (dichiarato) che l’ha ispirata, ossia quello diridurre il carico penale in coerenza con gli obiettivi del PNRR, non sembra essere stato adeguatamente centrato. L’assai modesta diminuzione del numero dei processi sembra essere più l’effetto di “tagliole” meramente procedurali (vedi la declaratoria di inammissibilità di molti atti di appello per mancata indicazione della dichiarazione/elezione di domicilio ex art. 581, comma 1-ter, c,p.p.) o di scelte di politica criminale talvolta fortemente opinabili (si pensi all’estensione forse eccessiva dei presupposti applicativi della sospensione del procedimento in funzione della “ messa alla prova ” dell’imputato; si veda nuovo art. 168-bis c.p.) piuttosto che di una vera e propria presa di coscienza degli aspetti sostanziali che pure la riforma contiene.
A quest’ultimo proposito, è sotto gli occhi di tutti che alcuni degli istituti più significativi introdotti dalla riforma risultino trascurati. L’esempio che a me sembra davvero il più significativo concerne il meccanismo di definizione dell’udienza preliminare “secca”, ossia quella nella quale non vengono innestati riti o istituti alternativi al dibattimento (rito abbreviato, “patteggiamento”, messa alla prova, etc.) e il Giudice per l’Udienza Preliminare è chiamato semplicemente a decidere se rinviare o meno a giudizio l’imputato.
Come è noto, su questa materia la riforma Cartabia ha voluto adottare una soluzione marcatamente diversa da quella della disciplina pre-vigente, una soluzione per certi versi rivoluzionaria e di ispirazione fortemente garantistica (al contempo del tutto coerente con il già richiamato obiettivo di introdurre istituti che riducessero il carico penale).
Nella prassi giurisdizionale pre-“Cartabia” prevaleva l’idea che il GUP, dovendo decidere non dell’innocenza o della colpevolezza dell’imputato ma solo dell’esistenza (o meno) disufficienti elementi che rendessero necessaria/opportuna la celebrazione di un processo a carico di quest’ultimo, non dovesse praticamente “entrare” nel merito del procedimento. Il nuovo terzo comma dell’art. 425 c.p.p. statuisce, invece, che il GUP deve pronunciare sentenza di “non luogo a procedere” quando “gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna” dell’imputato.
Si tratta (trattava) di una innovazione davvero rilevante, pienamente in linea con la ratio della “Cartabia”, improntata a favorire la celere definizione dei procedimenti giudiziari anche attraverso l’arricchimento dei poteri valutativi e cognitivi del Giudice dell’Udienza Preliminare “secca”, in un’ottica marcatamente garantista. In sintesi, due sono gli aspetti davvero innovativi:
- a) in primo luogo, esigere che il rinvio a giudizio non venga pronunciato laddove non ci sia una “ ragionevole previsione di condanna ” comporta, per il Giudice, una inevitabile delibazione di merito sugli elementi probatori raccolti dal P.M. in fase di indagini preliminari. Non si tratta più, in altre parole, di limitarsi alla constatazione della mera esistenza in atti di elementi che giustifichino la celebrazione di un processo, magari anche dall’esito piuttosto incerto. La nuova regola richiede (rectius: impone) al GUP un’effettiva valutazione prognostica sull’esito finale dell’eventuale processo, per cui il rinvio a giudizio dell’imputato può essere disposto solo nel caso in cui gli elementi probatori/indiziari a suo carico abbiano un peso e una rilevanza tale (non semplicemente da meritare la celebrazione di un processo ma) da lasciare prevedere come “ragionevole” la sua condanna finale: si tratta, all’evidenza, di una valutazione di puro merito, che, tra l’altro, deve essere necessariamente coordinata con il precetto contenuto nell’articolo 533 c.p.p. , in base al quale, come è noto, per essere condannato l’imputato deve risultare colpevole “ al di là di ogni ragionevole dubbio ”.
- b) in secondo luogo, tale prognosi sulla “ragionevolezza” della condanna deve essere effettuata dal Giudice hic et nunc , ossia sulla base degli elementi raccolti sino a quel momento, senza che si possa fare affidamento su possibili, teorici e magari del tutto eventuali sviluppi dibattimentali favorevoli alla Pubblica Accusa.
In sostanza, la modifica della regola di giudizio della “nuova” udienza preliminare, se correttamente intesa, era destinata ad avere una portata potenzialmente molto significativa in favore degli imputati, perché comporta (comportava) la necessità di emettere in favore di questi ultimi sentenze di “non luogo a procedere” in situazioni nelle quali, fino al 30 dicembre 2022, un tale provvedimento sarebbe stato molto difficile da ottenere. Ciò non solo in ossequio al principio di extrema ratio della sanzione penale, ma anche e soprattutto al fine di realizzare un’effettiva deflazione del carico penale, evitando che vengano celebrati processi dall’esito assai incerto e consentendo a molti imputati di uscire celermente dalla morsa della Giustizia penale, spesso devastante - in termini psicologici, economici e reputazionali – per il diretto interessato.
Sebbene sia ovviamente troppo presto per trarre conclusioni affrettate e definitive, l’esperienza di questi primi sedici mesi di vigenza della norma sembra deporre nel senso che a questa (teorica) rivoluzione del modo di intendere la funzione del GUP in sede di udienza preliminare “secca” non abbia fatto seguito (nella grande maggioranza dei casi) un’adeguata applicazione, nel senso che la grande maggior parte dei GUP continua a regolarsi esattamente come prima. Non esistono statistiche ufficiali, ma l’esperienza professionale di chi scrive (e di molti colleghi che ho interpellato) registra una realtà abbastanza omogenea: salvi casi piuttosto sporadici, accade spesso che il GUP non “scenda” nel merito del fascicolo e disponga il rinvio a giudizio anche in situazioni nelle quali, obiettivamente, sulla base degli elementi raccolti in fase di indagine l’eventualità di una condanna dell’imputato all’esito del dibattimento appare tutt’altro che “ragionevole”. Non a caso, sempre facendo riferimento a casi tratti da esperienze professionali mie e di altri colleghi, è già capitato che, in questi sedici mesi, siano stati celebrati dibattimenti rivelatisi perfettamente inutili , conclusi con l’assoluzione degli imputati in relazione ad un quadro processuale sostanzialmente analogo (per non dire identico) a quello che aveva a disposizione il GUP nel momento in cui era stata celebrata l’udienza preliminare post “Cartabia”.
A cosa può essere dovuta questa situazione?
Un fattore certamente importante è senza dubbio costituito dal grande carico di lavoro che i GUP continuano a dover gestire e che, bisogna dirlo, gli rende quasi impossibile dedicare la dovuta attenzione ai procedimenti con udienza preliminare “secca”; quando devi gestire una miriade di procedimenti da definire con rito abbreviato (dove il GUP deve approfondire “per forza” il merito, divenendo egli, a tutti gli effetti, il Giudice del primo grado di giudizio) o innumerevoli richieste di misure cautelari personali e reali provenienti dalla Procura diventa oggettivamente difficile trovare spazio e tempo per approfondire nel merito procedimenti da trattare in udienze preliminari in cui non si innestino riti alternativi.
Non certo a caso, molti commentatori della “Cartabia” (incluso il sottoscritto) avevano posto in risalto, in tempi non sospetti, che molte delle innovazioni più condivisibili e significative della riforma erano destinate al fallimento se non fosse stato contestualmente implementato, in maniera cospicua, il numero dei Giudici in tutte le sedi giudiziarie. Ciò non sta avvenendo, per cui rimane molto alto il rischio che l’udienza preliminare “secca” resti generalmente intesa come una formalità, una sorta di breve “rito di passaggio” da gestire con un ecumenico “vedetevela al dibattimento”, così frustrandosi le esigenze di coloro (gli imputati) che hanno la legittima aspettativa di ottenere un provvedimento liberatorio già in questa fase del procedimento penale.
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*A cura Francesco Giovannini - Of Counsel, Head of White Collar Crimes Department | Eversheds Sutherland (Avvocato penalista in Milano)