Famiglia

La Cassazione frena sulla Sindrome da alienazione parentale (Pas): stop a "sillogismi implausibili"

L'Ordinanza n. 13217/2021 rimette al centro i fatti e la capacità di accudimento bocciando ragionamenti generici che portano ad una diagnosi scientificamente controversa

di Francesco Machina Grifeo

Decisa frenata della Cassazione sulla Pas. La Sindrome da alienazione parentale dal "controverso fondamento scientifico", scrive la Corte, è all'origine di molti provvedimenti che hanno sostanzialmente allontanato, in varie forme, dalla prole il genitore ritenuto responsabile di demolire la figura dell'altro.

Con l'ordinanza n. 13217 depositata nei giorni scorsi (Relatore Rosario Caiazzo), che ha accolto il ricorso di una madre contro l'affido "super esclusivo" della figlia di 6 anni al padre, disposto dalla Corte d'appello di Venezia sulla base di una Ctu, la Suprema corte ha affermato che non basta una "astratta prognosi" fondata su qualche episodio negativo, anche "grave", per addivenire ad una diagnosi di "Sindrome della madre malevola".

Né tantomeno le "asprezze caratteriali" possono trasformarsi in una "inammissibile valutazione di tatertyp ", letteralmente "tipo normativo di autore", un termine tedesco a cui è ricorso il diritto penale nazista per categorizzare in termini identitari chi delinque. Per i giudici infatti non si può desumere la Pas dal carattere della persona "attraverso un implausibile sillogismo". Un sillogismo, spiega la Corte, "la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma dei comportamenti della madre fondato su un mero postulato".

Per Antonella Veltri, presidente di D.i.Re: "È una ordinanza fondamentale che può imprimere una svolta alla gestione di tanti processi evitando che le Ctu continuino a utilizzare concetti come ‘sindrome della madre malevola' o ‘alienazione genitoriale'. "Alla luce di questa decisione – aggiunge - andrebbero rivisti tutti i processi che hanno decretato l'allontanamento di bambini e bambine dalle madri che hanno subito violenza". E l'avvocata Titti Carrano aggiunge: "Si è arrivati a formulare sentenze di allontanamento in base solo alla presunzione che i comportamenti siano la causa della paura dei figli, anziché basarsi sull'accertamento dei fatti, cosa che invece ora questa ordinanza chiede espressamente ai giudici di fare".

Tornando alla motivazione della Corte, nel provvedimento si legge: "Nel caso concreto, il contenuto delle conclusioni delle c.t.u. sono in molti punti generici e non chiari circa la ritenuta carenza delle capacità genitoriali della ricorrente". "Anzitutto - prosegue -, se è vero che non è contestato che quest'ultima abbia intrattenuto un rapporto, breve, molto conflittuale, cercando, in qualche occasione, di ostacolare o impedire le visite del padre alla figlia (anche attraverso fatti indiscutibilmente gravi, quali certificati medici falsi e assenze scolastiche del minore) e che non ha collaborato con i c.t u, è stato altresì accertato che manteneva con la minore almeno in apparenza, un sufficiente rapporto di accudimento".

Al contrario, la Corte territoriale ha valorizzato alcuni rilievi critici "privi di concretezza empirica, che costituiscono generiche deduzioni tratte da premesse di non univoca interpretazione". Per esempio, ha fatto riferimento a "gravi ripercussioni ed effetti sulla minore", a "condotte scellerate" della madre senza però indicarle e specificarle, nonché ad un comportamento "improntato a gravi carenze nella genitorialità" omettendo però di esplicitare "quali siano stati gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore, peraltro non considerando le possibili conseguenze di una brusca sottrazione della minore alla madre".

La Corte ricorda poi che in materia di affidamento il criterio fondamentale è rappresentato "dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole". Nel caso in esame, prosegue la decisione, "deve escludersi che la Corte d'appello, nel disporre l'affidamento esclusivo del minore al padre, abbia garantito il migliore sviluppo della personalità del minore stesso, escludendo l'affidamento condiviso su una astratta prognosi circa le capacità genitoriali della ricorrente fondata, in sostanza, su qualche episodio, sopra citato (pur grave) attraverso cui la madre avrebbe tentato di impedire che il padre incontrasse la bambina, senza però effettuare una valutazione più ampia, ed equilibrata, di valenza olistica che consideri cioè ogni possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriale della ricorrente, nell'ambito di un equilibrato rapporto con l'ex-partner, e che soprattutto valorizzi il positivo rapporto di accudimento intrattenuto con la minore, sebbene il riferimento della Corte di merito all'apparenza di tale rapporto costituisca una chiara conferma del fatto che il suo giudizio sia stato incentrato esclusivamente sul disvalore attribuito all'asserita PAS".

"Dagli atti emerge, invece – continua l'ordinanza -, che le asprezze caratteriali della ricorrente sono state valutate in senso fortemente stigmatizzante, come espressione di un'ineluttabile cd irrecuperabile incapacità di esprimere le capacità genitoriali nei confronti della figlia, pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria verso quest'ultima". Invece, proprio il riferimento della Corte veneziana "al buon rapporto di accudimento della minore da parte della ricorrente dimostra plasticamente il travisamento in cui lo stesso giudice d'appello è incorso ne ritenere che la donna fosse stata protagonista di un comportamento concretizzante l'invocata cd. PAS desunto dalle predette condotte, attraverso, come esposto, un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato".

E allora, spiega la decisione, "da tale impostazione discende anche la censurabilità del riferimento al padre quale unico genitore in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina, affermazione che è il diretto precipitato di quanto argomentato sulla PAS". "La pronuncia impugnata appare, dunque, essere espressione di una inammissibile valutazione di tatertyp, ovvero configurando, a carico della ricorrente, nei rapporti con la figlia minore, una sorta di "colpa d'autore" connessa alla postulata sindrome".

In conclusione scrive la Cassazione: "Il collegio non intende (e non può) entrare ne merito della fondatezza scientifica della suddetta PAS, ma deve invece conclusivamente rilevare che i fatti ascritti dalla Corte territoriale alla ricorrente non presentano la gravità legittimante la pronuncia impugnata, in mancanza di accertate, irrecuperabili carenze d'espressione delle capacità genitoriali, considerando altresì il profilo, palesemente trascurato dalla stessa Corte di merito, afferente alle conseguenze sulla minore del c.d. "super-affido" della minore al padre in ordine alla conseguente rilevante attenuazione dei rapporti con la madre in un periodo così delicato per lo sviluppo fisio-psichico della bambina".

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