Penale

Nuova frontiera ermeneutica dell'illecito 231, la Cassazione torna sulla colpa dell'organizzazione

Nota a margine della sentenza: Cass. Pen. Sez. V, 02.03.2023 (dep. 19.05.2023), n. 21640

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di Fabrizio Ventimiglia e Chiara Caputo *

Con la sentenza in commento, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha recentemente affermato che "[…] l'addebito di responsabilità all'ente non si fonda su un'estensione, più o meno automatica, della responsabilità individuale al soggetto collettivo, bensì sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di auto-normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilità mediante analisi del modello organizzativo".

Questa, in sintesi, la vicenda processuale.

La pronuncia in esame trae origine da due distinti ricorsi presentati dall'amministratore unico di una S.r.l. e dalla Società stessa avverso il provvedimento della Corte d'Appello di Genova che – in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Massa – condannava il primo in relazione ai reati di contraffazione e commercializzazione di alcuni articoli riproducenti marchi figurativi di brand di lusso e, al contempo, affermava la responsabilità amministrativa dell'Ente ai sensi del D.lgs. n. 231 del 2001.

Con riferimento al ricorso presentato per conto della S.r.l., la Suprema Corte, nell'annullare con rinvio il provvedimento impugnato, sulla base di una carenza motivazionale in ordine sia alla verifica della sussistenza di un modello di compliance ed alla sua adeguatezza e idoneità a prevenire la commissione del reato presupposto, sia alla sussistenza dell'interesse o vantaggio dell'ente, ha affermato il principio di diritto sopra richiamato.

Più nello specifico, i Giudici di legittimità hanno fornito una nuova prospettiva di accertamento della responsabilità amministrativa ex D.lgs. n. 231 del 2001, accogliendo favorevolmente la tesi (sostenuta da diversi autori) che riscostruisce la struttura dell'illecito dell'ente secondo un modello di tipo colposo. Cosicché, in tale prospettiva interpretativa, "ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della c.d. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito è stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale".

Da questo punto di vista, la vera e propria condotta stigmatizzabile dell'Ente viene identificata nella carenza di auto-organizzazione preventiva, a cui deve necessariamente ricollegarsi la commissione del reato presupposto. Sicché, potrà aversi responsabilità amministrativa dell'ente ai sensi del D.lgs. n. 231 del 2001 (esclusivamente) laddove sia dimostrato un deficit organizzativo della struttura stessa, da rinvenirsi nell'assenza di quel complesso di regole e presidi necessari per prevenire il rischio di commissione dei reati.

Si tratta di una pronuncia indubbiamente di grande interesse, che (finalmente, viene da dire) consolida una nuova e più garantista prospettiva di accertamento della responsabilità – definita dalla dottrina come una "nuova frontiera ermeneutica" dell'illecito degli enti – che impone al Giudice di merito di constatare, attraverso una verifica necessariamente in concreto, che il reato commesso dalla persona fisica costituisca la concretizzazione del rischio che la regola organizzativa violata mirava ad evitare, in modo da appurare che, se il modello idoneo fosse stato rispettato, oltre ogni ragionevole dubbio l'evento lesivo non si sarebbe verificato.

*a cura dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Chiara Caputo (dello Studio Legale Ventimiglia)

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