Famiglia

La condanna per reati sessuali non è ostativa al riconoscimento della paternità

In via primaria deve essere preso in considerazione il diritto al benessere psico-fisico del fanciullo

di Giampaolo Piagnerelli

Non è sufficiente la condanna penale (peraltro già espiata) per non concedere il riconoscimento della paternità. Lo afferma la Cassazione con l'ordinanza n. 24718/21.

Giudizio di merito. Nel caso concreto i giudici di appello avevano rigettato la domanda di riconoscimento della paternità nei confronti del minore già riconosciuto dalla madre. Nella fase di merito erano stati posti in risalto i numerosi precedenti penali dell'attore tra i quali una condanna definitiva per violenza sessuale con pena già espiata. Il padre appellante aveva replicato con l'impugnazione rilevando che il riconoscimento non avrebbe determinato nel minore un concreto pericolo di danno per il suo sviluppo psico-fisico dal momento che egli si era sempre interessato del figlio nel corso dell'espiazione della pena. Aveva attuato, inoltre, condotte di ravvedimento e di reinserimento sociale, lavorando alle dipendenze di una Coop di Modena, partecipando ad attività teatrali e lavori socialmente utili tanto da ottenere la liberazione anticipata.
Precisa la Cassazione che il diritto soggettivo del genitore al riconoscimento del figlio deriva dall'articolo 30 della Costituzione. Il diritto, come quello alla vita familiare, può essere sacrificato solo all'esito di un giudizio di bilanciamento con il concreto interesse del minore a non subire per effetto del riconoscimento un grave pregiudizio per il proprio sviluppo psico-fisico. Prosegue la sentenza puntualizzando che l'accertamento da svolgersi deve essere rigoroso perché non qualsiasi turbamento può incidere sull'indicato diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto, ma quello che mette in discussione il primario diritto al benessere psico-fisico del fanciullo. Quindi il mancato riconoscimento in definitiva sussiste solo in presenza di motivi gravi e irreversibili, tali da far ravvisare la possibilità di una forte compromissione dello sviluppo psico fisico del minore (articoli 3 e 7 della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989). Conclude la Cassazione che non sono sufficienti mere pendenze penali per mettere in discussione il riconoscimento della paternità.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©