Penale

La Consulta: il processo penale dura troppo

La Corte costituzionale salva lo stop alla prescrizione durante il lockdown ma ne afferma il ruolo di garanzia

di Guido Camera

Un approccio pragmatico all’eccezionalità della prima fase della pandemia, non una fatwa contro la prescrizione di cui, al contrario, viene sottolineata la natura di garanzia costituzionale che ne vieta applicazioni retroattive sfavorevoli all’imputato.

E, tra le righe, si può anche leggere un monito per il blocco indifferenziato della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, introdotto dalla legge 3/2019 a far tempo dal 1° gennaio 2020, la cui compatibilità con i principi costituzionali della ragionevole durata del processo e proporzionalità della sanzione è stata al centro di accese polemiche.

È quanto emerge dalla sentenza 278/2020 della Corte costituzionale, che ha salvato la sospensione della prescrizione nei procedimenti penali rimasti fermi dal 9 marzo all’11 maggio 2020, durante la prima fase della pandemia, per arginare i contagi negli uffici giudiziari, in base agli articoli 83 del decreto legge 18/2020 e 36 del decreto legge 23/2020 (si veda Il Sole 24 Ore del 24 dicembre 2o2o).

Norme che sono state portate da più giudici di fronte alla Corte costituzionale proprio perché la sospensione retroattiva della prescrizione appare come una lesione delle garanzie. La Consulta ha ora chiarito che lo stop alla prescrizione, anche se ha riguardato fatti precedenti alla promulgazione della legge, non è incostituzionale perché ha contemporaneamente sospeso le attività giudiziarie con un limite temporale ragionevole e proporzionato alla finalità di tutela della salute collettiva.

Se il blocco avesse riguardato solo la prescrizione, spiega la Corte, si sarebbe leso il principio di legalità della norma penale; un principio che si affianca, nello statuto delle garanzie costituzionali del diritto di difesa, alla presunzione di innocenza e alla ragionevole durata del processo.

Non è tutto. Se è prerogativa del legislatore fissare la durata della prescrizione, la Consulta ricorda di poter intervenire su scelte manifestamente irragionevoli o sproporzionate alla gravità del reato, e che l’imputato, se lo Stato non è stato in grado di processarlo in un tempo ragionevole, può vantare un “diritto all’oblio”.

Sono considerazioni che fanno apparire il congelamento indiscriminato della prescrizione per tutti i reati, a prescindere dalla loro gravità - come prevede la legge 3/2019 - una scelta esposta a censure di irragionevolezza e sproporzione, anche perché incide in larga misura su reati di minore allarme sociale. Infatti, già da prima dell’entrata in vigore della legge, la maggior parte dei reati più gravi - se non tutti - è soggetta a meccanismi di blocco della prescrizione che li rende di fatto imprescrittibili.

Il vero problema, ammonisce la Corte, sono i tempi processuali. Non a caso, nella sentenza è scritto che «non può non notarsi la eccessiva durata di giudizi che già solo in primo grado, ancora in corso, hanno quasi esaurito il tempo massimo di prescrizione».

Si tratta di un problema che può essere risolto solo riducendo i tempi morti in cui non si svolge alcuna attività, che caratterizzano in modo diffuso la giurisdizione penale. Ma per farlo occorre - soprattutto - individuare le risorse.

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