Penale

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul reato di autoriciclaggio

Nota a sentenza: Cass. pen., Sez. VI, 16 aprile 2021, n. 14402

di Fabrizio Ventimiglia e Giorgia Conconi *

Con la sentenza in commento la sesta sezione della Cassazione fornisce importanti chiarimenti in merito alla prospettiva entro cui il Giudicante deve valutare la rilevanza di una condotta rispetto alla quale sia stato contestato il reato di autoriciclaggio, affermando che "il Giudice deve collocarsi al momento del compimento della condotta e verificare, sulla base degli elementi di fatto di cui dispone, se in quel momento l'attività posta in essere avesse un'idoneità dissimulatoria, ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita, atteso che il disvelamento non è rivelatore della non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva".

Questa in sintesi la vicenda processuale.

La Corte d'appello di Venezia confermava la sentenza di condanna per i reati di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio e bancarotta impropria in relazione all'art. 2621 c.c. nei confronti dell'amministratore unico di una società pubblica partecipata.

Più nello specifico, l'imputato era stato tratto in giudizio e condannato in primo e secondo grado in relazione a determinate condotte spoliative di beni della società, nonché per il successivo reimpiego degli stessi.

L'imputato proponeva, pertanto, ricorso per cassazione, deducendo anzitutto la violazione del principio del ne bis in idem fra i reati di peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione, assumendo che da un punto di vista oggettivo le condotte sanzionate dall'uno e dall'altro reato fossero le medesime. L'imputato, con specifico motivo, censurava, altresì, l'errata qualificazione del reato di autoriciclaggio rispetto alle condotte contestate che, secondo l'assunto difensivo, non potevano avere una valenza illecita, dal momento che non sarebbero state idonee a dissimulare o occultare il denaro illecitamente ottenuto, non avendo natura strettamente finanziaria.

Ebbene, con riferimento al primo motivo di ricorso, che viene dichiarato infondato, i Giudici, in ossequio al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, affermano che nella vicenda oggetto di giudizio sia configurabile un concorso formale tra i reati di peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione, essendo le due fattispecie differenti per struttura e offensività e non sussistendo tra le due un rapporto di specialità.

La Suprema Corte accoglie, invece, la doglianza relativa all'insussistenza del reato di autoriciclaggio, in quanto, secondo la Giurisprudenza di legittimità, la capacità dissimulatoria della condotta penalmente rilevante deve essere valutata ex ante.

Ai fini dell'integrazione del reato, affermano i Giudici, è, infatti, necessario che vengano rimessi nel circuito economico i beni di provenienza delittuosa per mezzo di attività che si sottraggano a un controllo esterno e tale condotta deve essere, dunque, idonea a dissimulare l'origine illecita del denaro nel momento stesso in cui viene posta in essere, a prescindere dagli accertamenti successivi.

Ebbene, secondo la Corte l'azione compiuta dall'imputato non aveva, al momento della commissione del fatto, capacità decettiva, non essendo stato attuato da quest'ultimo alcun meccanismo finalizzato a rendere difficoltosa l'identificazione della provenienza illecita del bene.

*a cura dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Giorgia Conconi (dello Studio Legale Ventimiglia)

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