La definizione agevolata per danno erariale non esclude l’azione di ripetizione dell’ente
Il dirigente che ha percepito indebitamente delle somme oltre la sua indennità personale è tenuto a restituirle in toto all'ente di appartenenza. La circostanza che costui abbia optato per la definizione agevolata in sede di giudizio per responsabilità erariale non esclude la legittimità dell'azione civile dell'ente diretta al recupero di quanto percepito in eccesso. Questo è quanto si desume dalla sentenza della Sezione lavoro della Cassazione n. 28436, depositata ieri, secondo la quale la definizione agevolata non può costituire una ragione per consolidare i benefici creati in modo illegittimo.
I fatti - Protagonista della vicenda è un dirigente di un comune marchigiano al quale veniva attribuita con decreto sindacale la direzione generale dell'ente, con la previsione in tale sede dell'erogazione della "medesima indennità" in suo favore. Di fatto, però, il dirigente aveva indebitamente incassato per tale nuovo ruolo apicale delle somme, pari a poco più di 30 mila euro, che andavano oltre la sua indennità personale. Nei suoi confronti, pertanto, si apriva sia un procedimento contabile che un giudizio civile volto al recupero dell'indebito percepito. Il primo si concludeva con una definizione agevolata e il pagamento del 20% del danno erariale stimato, ex articolo 1 comma 231 della legge 266/2005 (legge finanziaria 2006); il secondo andava avanti nei diversi gradi di giudizio con la condanna del dirigente alla ripetizione nelle casse del comune di quanto percepito in eccesso.
Il rapporto tra giudizio per danno erariale e giudizio civile - Il versante civilistico della vicenda giunge, infine, in Cassazione, dove il dirigente lamenta l'errata applicazione della disciplina sui rapporti tra il giudizio civile e il giudizio per danno erariale. Per il dirigente, infatti, i giudici di merito avevano disconosciuto l'efficacia nel giudizio civile della definizione agevolata in sede contabile, comportando ciò di fatto uno «svuotamento dell'istituto premiale».
La Cassazione, tuttavia, non concorda con questo assunto e spiega il perché della correttezza sul punto della decisione di merito. Ebbene, afferma la Suprema corte, la responsabilità per danno erariale «si fonda sulla colpa rispetto al pregiudizio cagionato e prescinde dal fatto che il funzionario nei cui confronti essa sia perseguita risulti anche occasionalmente» averne beneficiato. Nel caso di specie, dunque, non si verifica alcuno svuotamento dell'istituto premiale della definizione agevolata. Difatti, sottolinea il Collegio, la piena efficacia della definizione agevolata può aversi rispetto al lavoratore «che sia coinvolto nella vicenda solo quale funzionario che ha causato o contribuito a causare il danno erariale». La stessa efficacia definitiva, invece, non può esservi se «il funzionario sia anche il soggetto che si è avvantaggiato in relazione proprio alla vicenda per la quale fu instaurato il giudizio amministrativo di responsabilità». In sostanza, chiosano i giudici di legittimità, la definizione agevolata del giudizio per danno erariale non può essere «ragione di consolidamento di benefici illegittimamente determinatisi», rispetto ai quali è valida l'azione ordinaria diretta al recupero delle somme indebitamente percepite.
Corte di cassazione – Sezione lavoro – Sentenza 5 novembre 2019 n. 28436