La divisione delle liste elettorali per genere non lede il diritto di voto
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 9428 depositata oggi, respingendo il ricorso di due persone “non binarie” che avevano chiesto di non essere iscritte in base al sesso
La divisione delle liste elettorali in due elenchi separati - maschi e femmine - non lede il diritto di voto di chi si senta estraneo ad entrambi i generi, in quanto non incide in alcun modo sull’esercizio del suffragio universale che resta del tutto disancorato dal sesso di appartenenza. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 9428 depositata oggi, respingendo il ricorso di due persone contro l’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna che, a sua volta, aveva respinto il loro ricorso avverso le decisioni della Commissione Elettorale.
In un inciso, la Corte aggiunge però che l’organizzazione ben potrebbe essere diversa. Ed in effetti non si capiscono le ragioni di sopravvivenza di una disposizione nata nel ’45 quando, a seguito dell’ammissione per la prima volta delle donne al voto, un decreto luogotenenziale (all’articolo 2) affermava: “È ordinata la compilazione delle liste elettorali femminili in tutti i Comuni”.
I ricorrenti avevano chiesto di essere iscritti nelle liste elettorali comunali senza attribuzione né nella lista degli uomini né nella lista delle donne, e ciò “a tutela del pieno e libero esercizio del proprio diritto-dovere di voto in qualità di persone non binarie e non inquadrate nella rigida classificazione del rispettivo genere biologico”. Avevano inoltre lamentato “il mancato riconoscimento istituzionale della propria identità ed il disagio a dover attendere la chiamata alle urne nella fila corrispondente al genere assegnato dalla nascita, dagli stessi non riconosciuto come proprio”.
La Commissione aveva rilevato di non avere competenza in ordine alla modifica delle liste elettorali. E la Corte di appello a cui era stata posta la questione di costituzionalità degli articoli 5, 8, 16 e 37 del Dpr n. 223/1967 nella parte in cui prevedono la suddivisione delle liste, degli elenchi e degli schedari degli elettori per uomini e donne, ha respinto il ricorso ritenendo che mancasse il requisito di incidentalità.
Una lettura confermata dalla Suprema corte. Per i giudici di legittimità le norme dedotte e la lamentata distinzione per appartenenza di genere “concernono esclusivamente l’esecuzione e lo svolgimento delle attività di carattere amministrativo propedeutiche all’esercizio del diritto di voto, realizzate mediante la predisposizione e l’aggiornamento delle liste elettorali, ma non incidono sull’esercizio del diritto di voto che è oggetto della tutela richiesta”.
Il diritto di voto, infatti, è “autonomamente regolato, senza alcun vincolo o condizione, dall’articolo 57 del Dpr 361/1957 (che al primo comma stabilisce che «Dichiarata aperta la votazione, gli elettori sono ammessi a votare nell’ordine di presentazione. Essi devono esibire la carta d’identità o altro documento d’identificazione […]»), in modo che la prospettazione circa la prassi dell’incolonnamento in fila per genere, in attesa dell’accesso alle urne, di cui i ricorrenti si dolgono, appare riconducibile ad una impropria evenienza fattuale peraltro, atta ad incidere sul principio dell’esercizio del diritto di voto secondo l’ordine di presentazione, stabilito dalla norma in esame - e non già ad una disposizione normativa della cui legittimità costituzionale si possa dubitare”.
In definitiva, prosegue la Corte, “non è chiaro in quale modo la suddivisione cartolare degli elettori a seconda del genere potrebbe conculcare tale diritto in capo ai soggetti che non si riconoscano né nel genere maschile, né in quello femminile, posto che nessun pregiudizio sul diritto di voto può ipotizzarsi o è previsto da una qualche norma quale conseguenza della suddetta mancata immedesimazione di genere”.
“Parimenti, il senso di disagio e di imbarazzo lamentato dai ricorrenti nel corso delle operazioni elettorali non si vede a quale previsione normativa sia ricollegabile, visto che lo svolgimento di tali operazioni, che ben potrebbe essere diversamente organizzato, non prevede in alcun modo una ostensione o distinzione, fisica o visibile, degli elettori in base al genere risultante dalle liste elettorali”.
Nel 2022 una proposta di legge della deputate Pini e Schirò, finita poi su un binario morto, proponeva la soppressione della distinzione per sesso nella compilazione delle liste elettorali, l’indicazione del codice fiscale dell’elettore (per evitare omonimie) e l’omissione del cognome del coniuge per le donne coniugate o vedove. A riprova che la questione esiste.