Penale

La mancata nomina del responsabile antincendio non è reato perché manca la sanzione

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di Luigi Caiazza

Le disposizioni sanzionatorie previste dal Dlgs n. 81/2008 (TU sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) sono sorrette dal principio di specialità proprio del diritto penale, per cui il datore di lavoro che sia stato denunciato per la violazione ad un obbligo non accompagnato dalla conseguente specifica sanzione, non può essere condannato. E' tale il principio riproposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28577/15 depositata ieri.
I fatti di causa si riferiscono alla sentenza emessa dal Tribunale di Pisa il quale aveva condannato un datore di lavoro per l'omessa nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 17, comma 1, lett. b, del TU) e del medico competente (art. 18, comma 1, lett. a, del TU), nonché all'obbligo di formazione del soggetto incaricato della prevenzione incendi e della prestazione del primo soccorso (art. 18, comma 1, lett. l, del TU).
Soffermando l'attenzione sul terzo capo di imputazione (omessa formazione), la Corte con la sentenza in esame pronunziava sentenza pienamente assolutoria stante l'insussistenza del fatto sotto la specie penale. Veniva rilevato infatti che la norma di cui all'art. 18, comma 1, lett. l. del TU – che obbliga il datore di lavoro di adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37 dello stesso decreto – non rientra in alcuna delle disposizioni precettive la cui violazione, ai sensi del successivo art. 55, è presidiata da sanzione penale. Del resto, la Corte ha osservato in proposito che la struttura del TU in questione è chiarissima nel distinguere, al proprio interno, un complesso di norme precettive che, poi, alla fine, per la parte generale, trovano specifiche e ben individuate sanzioni negli articoli dal 55 al 60. Proprio nell'art. 55, che si riferisce specificamente alle sanzioni (penali ed amministrative) previste a carico del datore di lavoro e dello stesso datore di lavoro o del dirigente, non è richiamata la disposizione che si è assunto violata, e cioè la lettera l, del comma 1, dell'art. 18.
Con ciò è evidente che La sentenza del Tribunale, avverso la quale è stato posto ricorso, nel condannare il ricorrente per violazione della detta disposizione, ha violato il principio di legalità, dovendosi invece affermare che, non essendo sancita per la violazione del precetto in questione alcuna sanzione penale, esso non è previsto dalla legge come reato, dovendosi per tali solo quei comportamenti per i quali l'ordinamento prevede, seppure in via meramente astratta e in taluni casi condizionata, la irrogazione della sanzione penale.
Non va sottaciuto che mentre quella contestata al ricorrente ha un contenuto generico che prevede a carico del datore di lavoro un “generale obbligo di informazione sui rischi connessi alla prestazione lavorativa indicati negli artt. 36 e 37 del TU”, l'accertamento e la relativa denuncia avrebbe avuto senz'altro ben diversa sorte se le contestazioni fossero state imputate direttamente per le violazioni agli obblighi previsti da questi ultimi articoli (adeguata informazione e formazione sufficiente ed adeguata) sorretti da gravi sanzioni che vanno con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da € 1.315,20 a 5.699,20.
Per i primi due capi di imputazione il ricorrente è stato prosciolto per intervenuta prescrizione.

Corte di Cassazione - III sezione penale - Sentenza del 6 luglio 2015, n. 28577

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