La (non) compromettibilità in arbitri dell'accertamento del credito verso il fallito
Il regime disciplinatorio intertemporale
la QUESTIONE
In sede arbitrale possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso un soggetto dichiarato fallito? L'effetto attributivo della cognizione agli arbitri, proprio della clausola compromissoria inserita in un contratto, è paralizzato da quello, riconducibile alla declaratoria del fallimento, dell'avocazione davanti al tribunale funzionalmente competente ai sensi dell'art. 24 l.f. di tutti i giudizi aventi a oggetto l'accertamento di un credito? La clausola arbitrale consente di derogare al procedimento di verifica del passivo?
Con il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155" (in seguito "Codice della crisi" o "c.c.i.") il legislatore ha riformato l'intera materia delle procedure concorsuali.
Una prima novità, relativa al piano nomenclatorio, attiene all'epurazione dei testi normativi, mediante la sostituzione dei termini «fallimento», «procedura fallimentare» e «fallito» con le espressioni «liquidazione giudiziale», «procedura di liquidazione giudiziale» e «debitore assoggettato a liquidazione giudiziale» (cfr. art. 349 c.c.i.).
Una seconda novità, di stampo processuale, consiste nell'affermazione del principio della unitarietà del procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell'insolvenza, strutturato come un contenitore all'interno del quale confluiscono tutte le iniziative di carattere giudiziale inerenti la crisi o l'insolvenza del medesimo soggetto debitore (cfr. art. 7 c.c.i.).
Con il recente decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l'attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune" (c.d. decreto PNRR 3), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 aprile 2023, n. 41, il legislatore ha introdotto ulteriori disposizioni in materia di crisi di impresa, riguardanti, segnatamente, l'istituto della composizione negoziata della crisi (cfr. art. 38, co. 1, 2 e 3), nonché disposto il rinvio - «di diciotto mesi a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (art. 38, co. 4) - dell'assegnazione, da parte della cancelleria, del domicilio digitale in concomitanza con la pubblicazione della sentenza di liquidazione giudiziale (cfr. art. 199, co. 1, c.i.i.).
L'articolo 390 c.c.i., rubricato "Disciplina transitoria", ha sancito l'ultrattività del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante la "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa" (in seguito "Legge fallimentare" o "l.f."), le cui disposizioni continuano a essere applicabili ai ricorsi per la dichiarazione di fallimento «depositati prima dell'entrata in vigore» del Codice della crisi (cfr. art. 390, co. 1, c.c.i.), alle procedure fallimentari «pendenti alla data di entrata in vigore» del Codice della crisi (cfr. art. 390, co. 2, c.c.i.) e a quelle «aperte a seguito della definizione dei ricorsi» proposti in data antecedente all'entrata in vigore del Codice della crisi (cfr. art. 390, co. 2, c.c.i.).
La verificazione del passivo fallimentare e il relativo scrutinio giudiziale
La Legge fallimentare è informata ai principi della par condicio creditorum, della concorsualità, dell'esclusività del procedimento di verificazione dello stato passivo, nonché della cristallizzazione della massa passiva.
L'accertamento dei crediti esistenti nei confronti del soggetto fallito è regolamentato dalle norme del Capo V ("Dell'accertamento del passivo e dei diritti reali mobiliari dei terzi" - artt. 92-103) del Titolo II ("Del fallimento"), oggetto dell'intervento riformatore di cui al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 ("Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80"), nonché di ulteriori interventi modificativi ad opera del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 ("Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80"), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 ("Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese"), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 e della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)").
Le modifiche apportate al Capo V della Legge fallimentare hanno riguardato l'intera fase di accertamento del passivo: le operazioni di formazione e di verificazione dello stato passivo devono essere compiute dinanzi al giudice delegato nell'ambito di un procedimento sommario ad hoc, avente «carattere giurisdizionale e decisorio» (Cass. civ., Sez. I, 20 luglio 2016, n. 14936), congegnato in modo da garantire la partecipazione di tutti i soggetti titolari di pretese creditorie nei confronti del fallito, nonché la pienezza del contraddittorio processuale, l'esercizio del diritto di difesa in relazione al credito vantato, anche attraverso l'appendice oppositiva prevista dall'art. 98 l.f., nonché il rispetto della concorsualità (cfr. Cass. civ., Sez. VI-1, 23 novembre 2022, n. 34474).
Il tribunale che ha dichiarato il fallimento «è investito dell'intera procedura fallimentare» (art. 23, co. 1, l.f.), mentre il giudice delegato ha la competenza c.d. funzionale «all'accertamento dei crediti» (art. 25, co. 1, n. 8, l.f.).
Il procedimento di accertamento del passivo è diretto alla cristallizzazione del patrimonio del fallito, nonché all'individuazione, alla quantificazione e alla graduazione dei crediti esistenti nei suoi confronti: la Legge fallimentare e, in particolare, il suo art. 42 tende allo «scopo di porre detto patrimonio al riparo dalle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento, e quindi impedire che siano fatti valere, nel concorso fallimentare, pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del fallito alla data della sentenza di fallimento» (Cass. civ., Sez. I, 8 agosto 2013, n. 19025).
L'istruttoria pre-fallimentare, in virtù del principio «regolatore dell'interesse pubblicistico all'ordinata gestione dell'insolvenza dell'impresa secondo le regole della concorsualità» (Cass. civ., Sez. VI, 6 novembre 2017, n. 26276), è «idonea a dar luogo (nel caso di accoglimento della domanda) ad un accertamento costitutivo valevole "erga omnes"» (Cass. civ., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 24968).
Tutte le azioni di accertamento dei crediti esistenti nei confronti del fallito devono convergere nella procedura fallimentare, a prescindere dalla tipologia di credito vantato (id est, chirografario, privilegiato o prededucibile), in ossequio al principio della cristallizzazione degli effetti del fallimento alla data della sua declaratoria.
Il creditore del fallito, ove intenda soddisfarsi sulle somme di denaro ricavate dalla liquidazione dei beni facenti parte della massa fallimentare, è tenuto a partecipare al procedimento di verificazione dello stato passivo, partecipazione che si configura come un adempimento funzionale al soddisfacimento della pretesa vantata e non surrogabile da altre iniziative: soltanto in virtù dell'ammissione al passivo fallimentare il creditore da ‘concorsuale' diventa ‘concorrente', acquisendo, nel contempo, il diritto a concorrere alla ripartizione dell'attivo fallimentare.
Contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo può essere proposta opposizione, impugnazione dei crediti ammessi e revocazione (cfr. art. 98 l.f.).
L'opposizione può essere proposta, nell'ipotesi in cui il curatore abbia omesso la comunicazione prescritta dall'art. 97 l.f., «entro sei mesi dal deposito del decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo» (Cass. civ., Sez. I, 28 marzo 2022, n. 9850).
In particolare, decorsi i termini per la proposizione dell'opposizione o dell'impugnazione, avverso il provvedimento di accoglimento o di rigetto è azionabile il mezzo della revocazione nell'ipotesi in cui il provvedimento sia stato determinato dalla «mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile» (art. 98, co. 4, l.f.): la fattispecie de qua «non presuppone che l'omessa tempestiva produzione dei documenti in parola debba essere dipesa da causa di forza maggiore o fatto dell'avversario, postulando come sufficiente l'ignoranza di essi, sempre che si sia rivelata idonea ad impedirne la produzione tempestiva per causa non imputabile» (Cass. civ., Sez. I, 9 marzo 2023, n. 7103).
L'accertamento del credito verso il fallito e il rapporto tra giudizio arbitrale e procedura concorsuale
Una questione che ha interessato - e continua a interessare - la giurisprudenza di legittimità attiene alle conseguenze della sopravvenuta declaratoria del fallimento (o, alternativamente, della sopravvenuta apertura della procedura di amministrazione straordinaria) di una delle parti sul procedimento arbitrale instaurato anteriormente al verificarsi del detto evento al fine dell'accertamento dei crediti vantati verso l'imprenditore in bonis, medio tempore dichiarato fallito o sottoposto ad amministrazione straordinaria.
Il punctum dolens verte sul quesito se l'accertamento de quo sia da assoggettare o meno al procedimento speciale di formazione del passivo.
Sulla questione del rapporto tra giudizio arbitrale e procedura concorsuale (indifferentemente, fallimento o amministrazione straordinaria) si sono pronunciate, in occasione di un intervento nomofilattico risalente all'anno 2003, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, chiamate a verificare «se la prosecuzione del giudizio arbitrale dopo la dichiarazione d'insolvenza o l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria di una delle parti determini la nullità del lodo, quando oggetto del giudizio introdotto con l'atto di accesso siano […] pretese creditorie verso il debitore insolvente» (sentenza n. 9070 del 6 giugno 2003).
Il Supremo Consesso ha richiamato - riaffermandone la cogenza - il principio, formulato dai medesimi Giudici di legittimità con una pronuncia risalente all'anno 1969 (cfr. Cass. civ., Sez. III, 11 giugno 1969, n. 2064), in virtù del quale «l'effetto attributivo della cognizione agli arbitri, che è proprio della clausola compromissoria, è in ogni caso (si tratti cioè di arbitrato rituale o di arbitrato irrituale) paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento, dell'avocazione dei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento di un credito verso l'impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale procedimento di verificazione dello stato passivo, inderogabilmente demandato all'ufficio fallimentare» (Cass., Sez. Un., n. 9070/2003 cit.).
Le Sezioni Unite hanno dedotto, a sostegno dell'affermata perdurante validità del principio de quo, che il sistema della Legge fallimentare, per come congegnato, «risponde all'esigenza di concentrare davanti ad un unico organo, individuato attraverso il procedimento stabilito dalla legge speciale, tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del debitore insolvente, per assicurare, anche nella successiva fase di cognizione, il concorso necessario dei creditori (e dei titolari di diritti reali mobiliari), con il contraddittorio potenzialmente esteso a tutti i creditori concorrenti, e realizzare così, nel simultaneus processus, il principio della par condicio creditorum» (Cass., Sez. Un., n. 9070/2003 cit.).
In ragione delle «finalità pubblicistiche sottese al procedimento di accertamento», secondo il Supremo Collegio, «non c'è spazio per riservare alla cognizione arbitrale – cioè ad un giudizio privato il cui dictum anche nell'arbitrato rituale si configura quale atto di autonomia privata (cfr., tra le altre, Cass. S.U. 3 agosto 2000, n. 527 e Cass. 25 giugno 2002, n. 9289) – pretese per le quali è stabilito un rito inderogabile e che ha carattere di esclusività» (Cass., Sez. Un., n. 9070/2003 cit.).
Invero, «tutti i giudizi pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, con cui si tende ad accertare un credito da far valere nei confronti della massa passiva, devono essere dichiarati improcedibili in quanto svolgentesi con un rito, sia esso ordinario od arbitrale, diverso da quello dell'accertamento del passivo» (Cass. civ., Sez. I, 4 settembre 2004, n. 17891), con la conseguenza che «qualora il curatore non abbia eccepito, nel processo in cui il fallito sia parte, la sopravvenuta incapacità di questi, al fine di attivare la "vis attractiva" della procedura fallimentare relativamente al rapporto in contestazione, la pronunzia della sentenza conclusiva di tale processo, ancorché posteriore alla dichiarazione di fallimento, comporta, per l'eventualità che il curatore stesso intenda ottenerne la rimozione, la necessaria prosecuzione del giudizio nell'originaria sede ordinaria, attraverso la proposizione del mezzo di impugnazione stabilito dalla legge, non diversamente dal caso di sentenza pronunziata prima della dichiarazione di fallimento» (Cass. n. 17891/2004 cit.).
Il recente intervento nomofilattico delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione: sentenza n. 5694 del 23 febbraio 2023
A distanza di vent'anni dall'intervento nomofilattico dell'anno 2003 le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono nuovamente pronunciate sulla questione del rapporto tra giudizio arbitrale e procedura concorsuale, intervento - quest'ultimo - in occasione del quale hanno ribadito - ponendosi in sostanziale continuità con il precedente nomofilattico - l'assolutezza e l'inderogabilità del principio di esclusività del concorso formale dei creditori sul patrimonio del fallito sancito dall'art. 52 l.f., in virtù del quale «ciascun credito va appurato secondo le disposizioni della legge fallimentare e nel contraddittorio simultaneo fra chi lo vanta e gli altri creditori insinuati».
Nell'ambito della distinzione tra crediti sorti in epoca antecedente o successiva all'apertura del concorso soltanto ai primi «spetta la qualità di concorsuali, suscettibili di ricevere soddisfazione dentro il concorso e secondo regole di priorità di allocazione e distributiva che sono in realtà anticipate, sul piano strumentale, dalle declinazioni che proteggono la nozione di anteriorità, coniugata in parallelo a quella della opponibilità».
Peraltro, «un'eventuale eccezione al principio di esclusività dell'accertamento dello stato passivo […] potrebbe ammettersi innanzitutto solo in via diretta, come per lo più prevedono norme incidenti su an e quantum (ad es. gli artt. 111 bis, 56, 87 bis l.f.) o di giurisdizione (come l'art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 per i crediti tributari e nemmeno in termini di assoluto deferimento esterno, come precisato in generale da Cass. 25897/2020 per l'IVA); ad omologo risultato di deroga si potrebbe pervenire, in astratto, per via esterna rispetto alla sedes materiae, come frutto di una lettura di specialità del modo d'insorgenza del titolo che, nonostante il suo perfezionamento postconcorsuale, sia in grado di giustapporsi in rango chiaramente equiordinato rispetto all'art. 52 l.f.».
Con specifico riferimento all'interrogativo - oggetto dell'ordinanza di rimessione - circa la possibilità di prosecuzione del giudizio arbitrale nonostante l'intervenuta declaratoria del fallimento di una delle parti le Sezioni Unite hanno dato risposta negativa, «al pari di ogni indagine sul perimetro dei giudizi che, con l'organo concorsuale ed in prosecuzione della previa posizione del fallito, dirimano tuttavia controversie sui diritti di credito verso l'insolvente».
Come chiarito dal Supremo Consesso, «la corrente regola di attuazione del concorso impone infatti un'unica sede ricognitiva tanto dei beni del debitore come dei suoi crediti ed in via di simultaneità coordinata, conseguendone che né giudici esterni né arbitri possono surrogarsi alla verifica del passivo, cui sono funzionalmente preposti gli organi concorsuali gestionali e giudiziali».
Si tratta di un «principio fermo», nonché di una «regola organizzatoria ordinamentale interna», dotata di «rilievo pubblicistico» e conforme alla «doppia universalità propria della procedura fallimentare, oggettiva (con riguardo alla caduta in concorso di tutti i beni del fallito) e soggettiva (per la confluenza dell'accertamento dei crediti nella verifica unitaria dell'accertamento del passivo)».
Il «congegno prescelto» dalla Legge fallimentare, il quale verte sulla «competenza funzionale del giudice delegato che vi attende» ed è caratterizzato dall'esclusività della verifica del passivo, «riposa sull'esigenza che ciascun creditore sia posto nella condizione di partecipare dialetticamente all'accertamento di ogni situazione soggettiva fatta valere in funzione dell'inserimento di un credito, proprio o altrui, nel passivo dell'unico insolvente, cioè a confronto di un attivo analogamente riunito».
Della regola de qua, come osservato dalle Sezioni Unite, «va però rimarcata, quanto meno, la coerenza costituzionale con i principi del giusto processo ex art. 111 Cost.»: si tratta, nello specifico, di un «sistema che, concentrando la tutela giurisdizionale, come chiarito in dottrina e ripreso nella stessa giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 778/1998), realizza con l'art. 52 l.f. (e tutti i suoi strumenti, come l'art. 24 l.f., per Corte cost. n. 139/1981) l'obiettivo di assoggettare al procedimento per l'accertamento del passivo tutte le pretese suscettibili di riversarsi sul patrimonio fallimentare, dirette a partecipare alla distribuzione dello stesso o finalizzate a sottrarvi alcuni beni, mobili ed immobili».
Con la conseguenza che «le domande di accertamento del credito, risarcimento del danno, compensazione di crediti con debiti e, in linea generale, tutte quelle volte a sentir dichiarare che un soggetto poi fallito è tenuto al pagamento di somme, vanno dichiarate improcedibili ai sensi dell'art. 52 l.f., senza che vengano neppure in rilievo altre norme della legge fallimentare o del codice di procedura civile (tra cui le forme di acquisizione della dichiarazione di fallimento quale evento interruttivo ex art. 300 c.p.c.)».
In estrema sintesi, come chiarito dal Supremo Collegio, «sul piano della giustificazione in tema di diritti, la esclusività dell'accertamento del passivo riunisce pertanto l'aspirazione al concorso sostanziale (con la soddisfazione per i propri crediti sul ricavato delle liquidazioni) con gli oneri procedimentali del concorso formale (sottoponendosi ciascuno al vaglio unitario dei propri titoli), così realizzandosi la par condicio creditorum e, in essa, il controllo reciproco e avanti allo stesso giudice (in processo simultaneo) sulle disuguaglianze di trattamento, priorità e specialità di statuto legalmente previste, combinandosi accertamento del credito e attitudine concorsuale di ogni pretesa insinuata».
Il favor per «soluzioni organizzative concorsuali» trova, peraltro, conferma anche nel Codice della crisi, atteso il rilevato «incremento di istituti regolatori di tipo anticipatorio, preventivo o alternativo alla liquidazione giudiziale».
Fallimento aziendale e beneficio dell’esdebitazione
di Donato Silvano Lorusso e Giuseppe Laddaga