Il CommentoCivile

La nullità dei contratti derivati degli enti locali tra normativa di settore e regime di matrice civilistica

l comparto delle Amministrazioni territoriali è stato oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, attesa la prassi, consolidatasi nel corso degli anni, del ricorso agli strumenti di finanza derivata sia nella fase di gestione del debito che nella fase di ristrutturazione dell'indebitamento esistente

di Rossana Mininno

Gli strumenti finanziari derivati nel Testo unico della finanza

Gli strumenti finanziari derivati sono individuati dall'articolo 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 ("Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52" - c.d. T.U.F.) e dalle disposizioni ivi richiamate.

Si tratta di prodotti il cui valore dipende, rectius deriva dall'andamento di un'attività sottostante (underlying asset), che può avere natura - indifferentemente - finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.) o reale (caffè, cacao, petrolio, ecc.).

Una prima distinzione, all'interno della categoria, è quella tra derivati simmetrici e derivati asimmetrici: con la sottoscrizione dei primi entrambi i contraenti (venditore e acquirente) si impegnano a effettuare, alla data di scadenza prestabilita, una determinata prestazione; con la sottoscrizione dei secondi, invece, soltanto il venditore si impegna a effettuare una determinata prestazione a favore del compratore, a carico del quale è previsto il pagamento di un prezzo (c.d. premio), in virtù del quale acquisisce il diritto di decidere, in relazione a una data futura, se procedere o meno all'acquisto del bene sottostante.

Un'ulteriore distinzione, concernente la tipologia del mercato di riferimento, è quella tra derivati negoziati sui mercati regolamentati e derivati over-the-counter (c.d. O.T.C.): i primi sono rappresentati da contratti aventi caratteristiche standardizzate e predefinite dall'Autorità del mercato di riferimento, riguardanti, essenzialmente, l'attività sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione e le modalità di liquidazione; i derivati O.T.C. sono, invece, negoziati direttamente tra le due parti fuori dai mercati regolamentati e i contraenti ne possono liberamente stabilire tutte le caratteristiche.

Nella prima categoria rientrano strumenti quali futures, options, warrants e covered warrants, mentre nella seconda categoria rientrano swap e forward.

Le principali finalità associate alla negoziazione di strumenti finanziari derivati sono:
(i) la copertura (hedging), ovvero la protezione del valore di una posizione da variazioni indesiderate nei prezzi di mercato;
(ii) la speculazione (trading), ovvero la realizzazione di un profitto basato sull'evoluzione attesa del prezzo dell'attività sottostante;
(iii) l'arbitraggio, ovvero lo sfruttamento del momentaneo disallineamento tra l'andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante (destinati a coincidere alla scadenza del contratto).

In particolare, la finalità di copertura ricorre, principalmente, nelle ipotesi in cui un soggetto, avendo in precedenza contratto un debito a tasso variabile, intenda proteggere la propria posizione contro il rischio di aumento del tasso di interesse sul mercato.

Con la comunicazione n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (c.d. Consob) ha precisato i "criteri di qualificazione" in base ai quali classificare le operazioni su strumenti finanziari derivati, nonché indicato le caratteristiche che un'operazione deve possedere per essere considerata ‘di copertura': deve essere stata «esplicitamente posta in essere per ridurre la rischiosità» connessa ad altre posizioni detenute dal medesimo investitore e deve sussistere un'accentuata «correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d'interesse, tipologia etc.) dell'oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine».

Il comma 2-sexies dell'articolo 6 del T.U.F. demanda al Ministro dell'Economia e delle Finanze, sentite la Banca d'Italia e la Consob, l'individuazione dei «clienti professionali pubblici», nonché dei «criteri di identificazione dei soggetti pubblici che su richiesta possono essere trattati come clienti professionali e la relativa procedura di richiesta». La mancata qualifica come cliente professionale pubblico comporta l'equiparazione, ai fini della disciplina finanziaria, al cliente al dettaglio, con la conseguente applicazione delle maggiori tutele informative e comportamentali apprestate dall'ordinamento in favore dei soggetti non professionali, proprio al fine di riequilibrare mediante una tutela giuridica rafforzata il difetto di conoscenze e di abilità che pone il cliente al dettaglio in una condizione di debolezza nei confronti degli operatori professionali.

La disciplina di settore per gli enti locali

Il progressivo riconoscimento in capo agli enti locali dell'autonomia finanziaria ha comportato la necessità per i medesimi di reperire, attingendo a fonti esterne, nuove risorse da destinare al finanziamento delle spese di investimento: tra gli strumenti di raccolta del denaro cui gli enti locali hanno massicciamente fatto ricorso figurano gli strumenti di finanza c.d. innovativa, quali i contratti derivati.

Il progressivo intensificarsi del ricorso agli strumenti di finanza derivata, utilizzati da parte degli enti territoriali sia nella fase di gestione del debito che in quella di ristrutturazione dell'indebitamento esistente, è stato agevolato da un iniziale regime - normativo e regolamentare - di sostanziale deregulation: da un lato, il legislatore, rifacendosi alla prassi internazionale, ha promosso l'utilizzo dei derivati da parte delle Pubbliche Amministrazioni, in quanto ritenuti utile strumento da impiegare per la ristrutturazione del debito e la copertura dei rischi finanziari; dall'altro, il ricorso agli strumenti di finanza derivata è divenuto per gli enti locali una sorta di ‘prassi', consolidatasi per effetto della ridotta liquidità a loro disposizione a seguito della diminuzione dei trasferimenti erariali, avvenuta in un contesto correlato alla loro maggiore autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

In particolare, con l'articolo 35 ("Emissione di titoli obbligazionari da parte di enti territoriali") della legge 23 dicembre 1994, n. 724 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica") il legislatore ha stabilito che gli enti territoriali (id est, province, comuni, unioni di comuni, città metropolitane, comunità montane, consorzi tra enti locali territoriali e regioni) «possono deliberare l'emissione di prestiti obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti » con espresso «divieto di emettere prestiti obbligazionari per finanziare spese di parte corrente» (comma 1).

In attuazione di tale norma il Ministro del Tesoro ha adottato - mediante il decreto n. 420 del 5 luglio 1996 - il "Regolamento recante norme per l'emissione di titoli obbligazionari da parte degli enti locali", costituente la prima disposizione intervenuta a disciplinare l'utilizzo e la sottoscrizione, da parte degli enti locali, degli strumenti finanziari derivati: il decreto ha introdotto la facoltà, rectius l'obbligo, valevole per il caso di previa effettuazione di un'operazione di prestito in valuta estera, di utilizzare gli strumenti finanziari derivati per la trasformazione della sottostante operazione «in un'obbligazione in lire», circoscrivendo, tuttavia, detta facoltà, dal punto di vista tipologico, allo strumento denominato currency swap (ovvero swap su valuta) e, dal punto di vista finalistico, allo scopo di «copertura del rischio» con espressa esclusione dell'introduzione di ulteriori elementi di rischio.

Successivamente, il legislatore statale è intervenuto con l'articolo 41 ("Finanza degli enti territoriali") della legge 28 dicembre 2001, n. 448 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)"), mediante il quale - al precipuo fine di «contenere il costo dell'indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica» (comma 1) - ha demandato al Ministero dell'Economia e delle Finanze di coordinare «l'accesso al mercato dei capitali» da parte degli enti territoriali (cfr. comma 1).

Con il decreto n. 389 del 1 dicembre 2003 ("Regolamento concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448") il Ministro dell'Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dell'Interno, ha imposto l'obbligo di «prevedere la copertura del rischio di cambio mediante «swap di tasso di cambio»» (articolo 3, comma 1).

In una logica di raggiunta autonomia finanziaria il decreto ministeriale de quo ha, altresì, riconosciuto agli enti territoriali la possibilità di effettuare operazioni in strumenti derivati (quali, a titolo esemplificativo, swap di tasso di interesse e forward rate agreement), circoscrivendo, nel contempo, detta possibilità «esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute» (articolo 3, comma 3).

La conclusione di contratti è, tuttavia, stata improntata a criteri di affidabilità, essendo stato all'ente territoriale consentito di trattare «soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale» (articolo 3, comma 4).

Con la successiva circolare esplicativa del 27 maggio 2004 il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha chiarito che le tipologie di operazioni derivate ammesse sono da intendersi nella forma detta plain vanilla, cioè secondo la struttura più elementare, con esclusione di qualsiasi forma di opzionalità, al fine precipuo di garantire «il contenimento dell'esposizione dell'ente ai rischi finanziari conseguenti al rialzo dei tassi di interesse […] con l'obiettivo del contenimento del costo dell'indebitamento».

A partire dall'anno 2006, a causa dell'intensificarsi del ricorso, da parte degli enti territoriali, agli strumenti finanziari derivati e dell'emergere di situazioni potenzialmente rischiose per gli equilibri finanziari degli enti interessati, si sono registrati i primi interventi di stampo marcatamente regolatorio dell 'autonomia negoziale degli enti territoriali: il legislatore è intervenuto dettando una disciplina progressivamente più restrittiva, culminata nell'attuale regime normativo, il quale è contraddistinto dal divieto assoluto di stipulazione, anche in sede di rinegoziazione, di contratti relativi a strumenti finanziari derivati ovvero di contratti di finanziamento con componenti derivate.

Il primo intervento di questa ‘nuova' tendenza normativa si è avuto con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)"), mediante la quale il legislatore ha in primis ribadito il condizionamento della facoltà di concludere operazioni in strumenti derivati al perseguimento di finalità di mera copertura, essendo da escludere a priori la perseguibilità di un intento speculativo (cfr. art. 1, co. 736).

Con la successiva legge 24 dicembre 2007, n. 244 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)") il legislatore, a seguito dell'aumentata consapevolezza circa i potenziali rischi che le operazioni di finanza c.d. innovativa possono comportare, è intervenuto mediante l'imposizione di ulteriori prescrizioni, stabilendo, in particolare, che per ogni contratto in derivati l'ente sottoscrittore «deve attestare di aver preso piena conoscenza dei rischi e delle caratteristiche dei medesimi, evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli impegni finanziari derivanti da tali attività » (art. 1, co. 383).
Il rispetto delle prescrizioni imposte è stato reso «elemento costitutivo dell'efficacia dei contratti» (art. 1, co. 384).

Nell'anno 2008 è stata introdotta, mediante decretazione d'urgenza, una disciplina particolarmente stringente, recata dall'articolo 62 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 ("Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria"), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, disposizione dedicata precipuamente alla materia dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali.

Nella primigenia versione, l'articolo 62 - dopo l'incipit costituito da una clausola di mera qualificazione, come tale priva di reale forza precettiva - ha approntato una disciplina di duplice natura: l'una transitoria, consistente nel divieto espresso, seppur temporaneo, per gli enti territoriali di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati; l'altra a regime, consistente in una normativa regolamentare attuativa, demandata al Ministro dell'Economia e delle Finanze, il quale avrebbe dovuto adottare, dopo aver sentito la Banca d'Italia e la Consob, un regolamento mediante il quale individuare la tipologia di strumenti finanziari derivati sottoscrivibili da parte degli enti territoriali, nonché fissare i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni.
Il detto divieto è stato temporalmente circoscritto fino alla data di entrata in vigore di tale regolamento ministeriale.

La disposizione in esame è stata oggetto di svariati interventi legislativi di modifica.
In particolare, l'articolo 3 della legge 22 dicembre 2008, n. 203 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009)") ha completamente riscritto l'articolo 62, introducendo un regime disciplinatorio caratterizzato, in senso innovativo, dalla previsione della sanzione della nullità - di natura relativa (potendo essere fatta valere «solo dall'ente») - per i contratti aventi a oggetto strumenti finanziari derivati e per i contratti di finanziamento aventi una componente derivata stipulati in violazione delle (emanande) norme regolamentari ovvero privi dell'attestazione scritta, da parte del soggetto competente alla sottoscrizione del contratto per l'ente pubblico, «di avere preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche» del contratto medesimo (cfr. co. 5 novellato), nonché dall'introduzione dell'obbligo di allegazione al bilancio di previsione e al bilancio consuntivo di una «nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratto di finanziamento che includono una componente derivata» (co. 8 novellato).

Quanto alla delimitazione temporale del divieto è stato stabilito che sarebbe durato fino alla data di entrata in vigore del regolamento e «comunque per il periodo minimo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore ».

L'articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008 è stato oggetto, in seguito, di una parziale riformulazione da parte della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)"), la quale ha eliminato il rinvio al regolamento del Ministro dell'Economia e delle Finanze per l'individuazione della tipologia di strumenti finanziari derivati sottoscrivibili da parte degli enti territoriali, attribuendo de facto natura permanente al divieto di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati (cfr. co. 3 novellato).

L'invalidità dei contratti derivati stipulati dagli enti locali secondo gli ultimi approdi della giurisprudenza

• La giurisprudenza di legittimità
Con la sentenza n. 21830 del 29 luglio 2021 i Giudici della Prima Sezione della Corte di cassazione, chiamati a pronunciarsi con riferimento alla declaratoria di nullità di un contratto di Interest Rate Swap, hanno aderito - dando continuità al medesimo - all'orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020, la quale, pur riguardante un rapporto contrattuale tra una banca e un ente pubblico, ha fissato principi aventi «portata generale») che ha valorizzato, in sede di sindacato della determinabilità dell'oggetto negoziale, «l'indicazione del mark to market, ovvero dei suoi criteri di calcolo, la esplicitazione dei costi impliciti e la prospettazione dei cd. "scenari probabilistici", quali elementi essenziali del contratto derivato, rilevanti ai fini della sua validità ».

Alteris verbis, si tratta di elementi che «finiscono con il rappresentare il contenuto di un'obbligazione che sorge con la stipula del contratto concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto».

Secondo la Suprema Corte, gli elementi de quibus devono essere non soltanto resi espliciti in sede di stipulazione del contratto, ma anche «condivisi con l'investitore» al precipuo scopo di rendere noto al medesimo «ogni aspetto di aleatorietà del rapporto» onde consentirgli di prestare, in maniera consapevole e opportunamente ponderata, il proprio consenso negoziale.

L'omessa esplicitazione e la conseguente mancata condivisione comportano non una mera reticenza informativa antidoverosa, suscettibile di viziare il consenso, ma la «inconfigurabilità di una precisa misurabilità/determinazione dell'oggetto contrattuale» con inevitabili ripercussioni sul processo di formazione del consenso necessario per il configurarsi dell'accordo.

L'indeterminabilità dell'oggetto del contratto si traduce in un «vizio genetico del contratto», il quale, sulla base delle regole generali di matrice civilistica, ne comporta la nullità.

• La giurisprudenza di merito
I principi sanciti dai Supremi Giudici di legittimità, sia con la sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020 che con la successiva sentenza n. 21830 del 29 luglio 2021, sono stati ripresi e applicati dal Tribunale di Venezia con la recente sentenza n. 696 del 13 aprile 2022 , il quale, adito in sede di verifica giudiziale della validità di due contratti derivati stipulati da un'Amministrazione comunale negli anni 2005 (Cash Flow Swap) e 2006 (Basis Swap & Collar), ha proceduto alla declaratoria della relativa nullità.

•L'istituto della nullità
La nullità è tradizionalmente considerata la forma più grave di invalidità negoziale.
Il legislatore codicistico ha enucleato, dal punto di vista tipologico, distinguendole in ragione delle relative «cause», tre diverse forme: virtuale (cfr. art. 1418, co. 1), strutturale (cfr. art. 1418, co. 2) e testuale (cfr. art. 1418, co. 3).

La prima tipologia è configurabile nelle ipotesi di contrarietà dell'atto di autonomia privata a «norme imperative»; la seconda tipologia è causata da difetti strutturali del contratto quali «la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346»; infine, la terza tipologia è ravvisabile nelle ipotesi in cui sia la stessa legge a sancirla expressis verbis.

•La nullità per violazione del D.M.E.F. n. 389 del 2003
Il Tribunale di Venezia ha accolto la «domanda principale di nullità dei contratti», ritenendoli non conformi alla «normativa che, nei soli casi espressamente contemplati e sulla base di una interpretazione restrittiva delle disposizioni dettate in materia, consentiva, all'epoca, la conclusione da parte degli enti locali di determinati derivati unicamente con finalità di copertura».
I referenti normativi sono stati individuati nell'articolo 3 del D.M.E.F. n. 389 del 2003 e nella successiva circolare del medesimo Ministero del 27 maggio 2004.

Con riferimento a entrambi i contratti il Tribunale ne ha ritenuto la nullità in quanto non rientranti «tra le operazioni consentite ai sensi dell'Articolo 3 del DM 38972003».

La tipologia di nullità dichiarata è riconducibile, stante l'assenza di specifiche indicazioni all'interno della motivazione della sentenza in esame, all'ipotesi prevista dal primo comma dell'articolo 1418 del codice civile: l'imperatività della normativa di cui al D.M.E.F. n. 389 del 2003 è desumibile dalla qualificabilità del decreto de quo quale strumento di garanzia di interessi generali della collettività, quali il regolare svolgimento dell'attività amministrativa e il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, in attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione ex articolo 97 della Costituzione, interessi e valori che trascendono quelli del singolo ente locale.

Il richiamo alla circolare ministeriale del 2004, invece, è da intendersi ad colorandum: invero, le circolari ministeriali, essendo «atti di indirizzo interpretativo» (Cons. Stato, Sez. IV, 28 maggio 2013, n. 2916), «non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all'amministrazione» (Cons. Stato n. 2916/2013 cit.), ma sono «dotate di efficacia esclusivamente interna nell'ambito dell'amministrazione all'interno della quale sono emesse» (Cass. civ., Sez. Un., 2 novembre 2007, n. 23031).

Secondo gli insegnamenti dei Supremi Giudici di legittimità (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26257), l'individuazione del carattere imperativo di una norma non può prescindere dall'indagine circa il fondamento della stessa e, segnatamente, circa la funzionalità della stessa all'affermazione di valori di interesse pubblico e di principi fondamentali dell'ordinamento: la norma, ove preordinata alla tutela di un interesse pubblico, è qualificabile come imperativa; ove, all'opposto, preordinata alla tutela di un interesse individuale, assume carattere dispositivo.

Nel caso de quo la finalizzazione della disciplina di cui al D.M.E.F. n. 389 del 2003 alla tutela di un interesse pubblico, come tale legittimante il ricorso, per il caso di sua violazione, alla sanzione più grave (id est, la nullità), benché non esplicitata dal Giudice veneziano nel suo iter logico-argomentativo, è ricavabile dal contesto normativo dell'epoca, volto, essenzialmente, a contenere l'esposizione degli enti locali ai rischi connessi alla stipulazione dei derivati («il riconoscimento della legittimazione dell'Amministrazione a concludere tali contratti era limitato ai derivati di copertura, con esclusione di quelli speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi» - in termini Cass. n. 8770/2020 cit., rv. 657963-04).

La nullità per difetto strutturale
Il Tribunale veneziano ha, altresì, proceduto al sindacato della determinabilità dell'oggetto negoziale, secondo le coordinate ermeneutiche fissate dai Giudici di legittimità con la sentenza n. 21830 del 2021.

A tale proposito, analizzando la struttura dei contratti, il Tribunale ha rilevato che l'istituto di credito «non ha comunicato il clean price né il MtM alla stipula del contratto», con conseguente mancata esplicitazione delle commissioni: invero, «dichiarare i flussi certi del contratto non è sufficiente come informazione per poter affermare di aver esplicitato anche le relative commissioni».

Quanto, in particolare, al mark to market (MtM), dopo aver affermato che «alla stipula generalmente non è nullo ma negativo, in quanto bisogna prevedere delle commissioni per l'intermediario (relative ai costi di gestione, hedging, intermediazione etc.)», ha precisato che «l'accordo sul mark to market deve investire, in modo specifico, completo e dettagliato, l'indicazione del criterio (matematico) con il quale si addiviene al calcolo del menzionato valore», con conseguente inidoneità di criteri di calcolo formulati in maniera generica o che «rimandano alle "quotazioni di mercato"».

In estrema sintesi, secondo il Tribunale veneziano, l'oggetto negoziale deve essere determinato in maniera tale da evitare che la valutazione del mark to market «possa essere rimessa alla discrezionalità ed all'arbitrio della parte contrattuale più forte».

• La nullità per difetto della delibera consiliare
Un ultimo profilo di nullità è stato rilevato con riferimento al difetto della delibera consiliare. Il Tribunale veneziano ha fatto applicazione dei principi sanciti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8770 del 2020 : l'autorizzazione alla conclusione di un contratto derivato «deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale, ai sensi dell'art. 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell'indebitamento dell'ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, di competenza della giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, dello stesso testo unico» (rv. 657963-06).

Considerazioni conclusive

Il comparto delle Amministrazioni territoriali è stato oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, attesa la prassi, consolidatasi nel corso degli anni, del ricorso agli strumenti di finanza derivata sia nella fase di gestione del debito che nella fase di ristrutturazione dell'indebitamento esistente.
Il legislatore, dopo un iniziale periodo di sostanziale deregulation, è intervenuto a disciplinare, in maniera progressivamente più stringente, l'accesso degli enti locali al mercato dei capitali, nonché i criteri per l'ammortamento del debito e le operazioni in derivati.In questo scenario si inseriscono i recenti approdi della giurisprudenza sia di legittimità che di merito.
In particolare, il pronunciamento del Tribunale di Venezia - a prescindere da ogni considerazione sull'ultroneità della declaratoria multipla di nullità e sull'alternanza ontologica tra atto morfologicamente valido di cui si discute soltanto quoad effecta e atto strutturalmente deficitario - si apprezza per il rilievo attribuito, in sede di sindacato della validità dei contratti derivati, al D.M.E.F. n. 389 del 2003, valorizzazione operata in un'ottica ancipite, tesa alla tutela sia degli interessi generali della collettività (quali il regolare svolgimento dell'attività amministrativa e il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, in attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione) che degli interessi settoriali del singolo ente locale coinvolto.