Lavoro

La perimetrazione del concetto di “luogo di lavoro” si deve fondare su criteri di tipo funzionale e relazionale

Innanzi alla fluidità e velocità con cui si muove il mondo del lavoro e alle varie forme che esso può assumere, risulta sempre più complesso assicurare la tenuta delle definizioni legislative “tradizionali”

Image of working place with mobile phone, ipad and tablet PC

di Alice Lambicchi*

Negli ultimi anni la dottrina e la giurisprudenza sono a più riprese tornate sulla nozione di luogo di lavoro e, talvolta con soluzioni diverse, hanno tentato di definire e – forse – ri-definire i requisiti e le caratteristiche necessarie perché un luogo possa, appunto, individuarsi quale luogo di lavoro. Normativamente, del resto, la definizione di cui all’art. 62 D. Lgs. 81/2008 è molto ampia e non si limita a richiamare il solo contesto aziendale.

Va precisato che dall’identificazione di un ambiente quale luogo di lavoro discendono una serie di evidenti conseguenze. Basti pensare che in caso di infortunio (o morte) verificatosi sul luogo di lavoro è prevista la circostanza aggravante di cui al terzo comma dell’art. 590 c.p., che prevede che se le lesioni sono commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, le pene per le lesioni gravi e gravissime sono aumentate.

Anche nella nota tragica vicenda del ponte Morandi ci si sta domandando se sia possibile o meno individuare il ponte – e le autostrade in generale – come luogo di lavoro per coloro che non erano impegnati nel cantiere stradale, ma si trovavano sul ponte per motivi di lavoro (es. si stavano recando al lavoro, c.d. infortunio in itinere ) – punto, in effetti, trattato anche nel caso dell’incidente ferroviario di Pioltello, di cui si aspetta una sentenza nei prossimi mesi. Analogo dibattito si era sviluppato a seguito del disastro ferroviario di Viareggio dove, come noto, la Cassazione aveva poi escluso la circostanza aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro relativamente ai soggetti coinvolti nell’incidente.

Anche recentemente, la Suprema Corte è tornata a dover delineare la nozione di luogo di lavoro tenendo, tra l’altro, in precisa considerazione la presenza di soggetti estranei al rapporto di lavoro. In particolare, il procedimento traeva la propria origine dalle lesioni personali subite - durante le riprese - da un concorrente di un programma televisivo, qualificato dalla Procura della Repubblica quale “lavoratore occasionale dello spettacolo”. Per tale motivo, veniva contestata l’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 590 c.p.

Prima di analizzare tale ultima sentenza, la n. 17679/24, si ritiene necessario tentare di definire cosa si debba intendere, in via generale, per “luogo di lavoro”. A tal fine, è necessario partire dall’assunto, pacifico in giurisprudenza, che esso sia “quello che circonda il lavoratore in tutta la fase in cui si svolge l’attività lavorativa, compresi i luoghi in cui i lavoratori devono recarsi per incombenze di qualsiasi natura” (Cass. Pen., Sez. feriale, 07/11/2019, n. 45316/2019) e che, pertanto, nella ratio della normativa antinfortunistica, il riferimento ai “luoghi di lavoro” ed ai “posti di lavoro” non può che riguardare qualsiasi posto nel quale concretamente si svolga l’attività lavorativa o dove il lavoratore deve o può recarsi per provvedere a compiti di qualsiasi natura in relazione alla propria attività (Cass. Pen., Sez. IV, 03/10/2018, n. 43840).

Irrilevanti risultano la tipologia di attività che viene svolta nel luogo di lavoro, la finalità della stessa, la struttura in cui si svolge e l’eventuale accesso che terzi soggetti – estranei alla prestazione lavorativa – hanno alla struttura (Cass. Pen., Sez. IV, 24/11/2022, n. 44654/2022). Si tratta, quindi, della sfera nell’ambito della quale viene svolta attività lavorativa, qualunque essa sia e a prescindere dei soggetti coinvolti. La portata dell’ampiezza della nozione la si può rinvenire, ad esempio, nella vicenda del processo Bonatti in cui, a prescindere dall’effettivo esito, obiter dictum in ogni grado di giudizio i lavoratori sono sempre stati considerati come presenti sul luogo di lavoro nonostante fossero stati sequestrati e uccisi mentre si recavano al cantiere, dunque lungo il tragitto (per una trattazione approfondita dell’intera vicenda, Cass. Pen., Sez. IV, Sent., 02/08/2024, n. 31665).

Secondo la Corte di Cassazione sopra richiamata, la n. 17679/24, la perimetrazione del concetto di luogo di lavoro si deve fondare su un criterio di tipo funzionale e relazionale in base al quale va individuato come lavorativo un ambiente in cui viene svolta attività lavorativa e, per l’effetto, ove si concretizza il rischio connesso all’esercizio dell’attività d’impresa (Cass. Pen., Sez. IV, 06/05/2024, n. 17679/2024). È in questi casi, infatti, che sorge in capo al datore di lavoro l’obbligo di garantire la sicurezza del luogo nei confronti di tutti i soggetti che ivi si trovino a essere presenti, anche occasionalmente (tuttavia, nel caso di specie la Corte di Cassazione concordava con il Tribunale, laddove quest’ultimo aveva ritenuto che non si fosse in presenza di alcuna attività lavorativa: il concorrente della trasmissione, infatti, si stava cimentando in una prova fisica in una struttura realizzata a scopo ludico e deputata alle sole prove dei concorrenti, che non può “considerarsi come luogo di espletamento di una prestazione di lavoro”).

Di più: in continuità con l’interpretazione estensiva del concetto di luogo di lavoro, la giurisprudenza ritiene altresì che le disposizioni prevenzionali debbano considerarsi emanate nell’interesse di chiunque, compresi i terzi estranei al rapporto di lavoro che si trovino occasionalmente nello stesso luogo lavorativo. Da qui il corollario per il quale, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 590 co. 3 c.p., occorre la violazione di una regola cautelare volta alla eliminazione o riduzione del rischio specifico, derivante dall’attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o dei terzi estranei ma esposti alla medesima situazione di rischio e che l’evento lesivo sia la concretizzazione di tale rischio “lavorativo.

Da questa sintesi e, più in generale, dagli esiti cui giungono giurisprudenza e dottrina nell’ambito della materia della sicurezza sui luoghi di lavoro, può certamente rinvenirsi una tendenza più o meno diffusa ad espandere le maglie dei concetti giuridicamente rilevanti, così da garantire una maggior copertura normativa laddove il Legislatore non è riuscito – o non ha voluto – arrivare.

Infatti, innanzi alla fluidità e velocità con cui si muove il mondo del lavoro e alle varie forme che esso può assumere (basti pensare, ad esempio allo smart working e al remote working), risulta sempre più complesso assicurare la tenuta delle definizioni legislative “tradizionali” e necessario diventa il tentativo degli operatori – più o meno riuscito, a seconda dei casi – di colmare quelle lacune.

_______

*A cura di Alice Lambicchi, Associate - BSVA - Studio Legale Associato e membro dell’Osservatorio Penalisti Studi Multipractice

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©