Amministrativo

La "questione infinita" dei limiti quantitativi al subappalto alla luce della sentenza del Tar Lazio, sez. terza quater, n. 11304 del 3 novembre 2020

Con la sentenza in oggetto il Tar Lazio ha enunciato il seguente principio: "non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l'attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall'art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019"

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di Alessia Perla


Tale ultima disposizione, come introdotta dal D.L. n. 32 del 2019 (c.d. Sblocca Cantieri) (convertito con modificazioni dalla Legge n. 55 del 2019) ha stabilito, nello specifico, che: "Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all'articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Fino alla medesima data di cui al periodo precedente, sono altresì sospese l'applicazione del comma 6 dell'art. 105 e del terzo periodo del comma 2 dell'articolo 174, nonché le verifiche in sede di gara, di cui all'art. 80 del medesimo codice, riferite al subappaltatore".


Come noto, l'intervento normativo da ultimo citato è stato sollecitato dalla procedura di infrazione n. 2273 del 2018 avviata dalla Commissione Europea a seguito del riscontro, all'interno del D.lgs. n. 50 del 2016 (d'ora in avanti codice dei contratti pubblici), di diverse disposizioni non conformi al diritto dell'Unione Europea in materia.

In particolare, la lettera A) del punto 1.3 ("Violazione di norme riguardanti il subappalto e l'affidamento sulle capacità di altri soggetti") della lettera di costituzione in mora ha individuato, con riguardo al limite obbligatorio del 30 % previsto dalla normativa nazionale all'importo dei contratti pubblici subappaltabile, la violazione da parte del diritto nazionale degli artt. 63, par. 1, secondo comma, 63, par. 2 e 71 della direttiva 2014/24/UE.

Già in quell'occasione, peraltro, la Commissione Europea ha precisato come nelle direttive eurounitarie in materia non vi siano disposizioni che consentano l'obbligatorietà di limite siffatto alla quota dei contratti pubblici che può essere subappaltata. Ciò soprattutto alla luce del principio del favor partecipationis e della concorrenza in relazione alla previsione di una maggiore possibilità di partecipazione delle piccole e medie imprese che proprio l'istituto del subappalto è volto a favorire.

In quella stessa sede la Commissione, pur affermando l'esistenza di diverse disposizioni delle direttive che riconoscono alle amministrazioni aggiudicatrici il diritto di limitare il ricorso al subappalto in ragione della particolare natura della prestazione da svolgere, ha stigmatizzato al contrario il ricorso a limiti quantitativi alla quota subappaltabile in assenza di qualsivoglia ragione giustificatrice e in via del tutto astratta.

Le conclusioni della Commissione, già avallate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea con riferimento alle direttive del 2004, sono state più di recente ribadite e, per alcuni versi, specificate dalla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione del 26 settembre 2019 (C- 63/18) che, pronunciandosi in sede di rinvio pregiudiziale sulla compatibilità della normativa nazionale sui limiti del subappalto con la direttiva 2014/24/UE, ha stabilito che tale direttiva deve essere interpretata nel senso che "osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi".

Peraltro, una limitazione quantitativa predeterminata in via astratta dal Legislatore nazionale non può farsi discendere sic et simpliciter né dall'art. 71 della direttiva 2014/24/UE, laddove ammette che l'amministrazione aggiudicatrice possa o debba, ove obbligata dallo Stato membro, chiedere all'offerente di indicare nella sua offerta le eventuali parti dell'appalto che intende subappaltare a terzi o/e i subappaltatori proposti, né dal considerando n. 6 che fa salva la normativa degli Stati membri in materia di sicurezza sociale e né dal considerando n. 41 della medesima direttiva che legittima gli ordinamenti nazionali a imporre o applicare misure necessarie, tra l'altro, alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblici.

Risulta evidente che né dalla disposizione citata né dagli obiettivi enucleati dalla direttiva sono ricavabili la possibilità o l'obbligo per alcuno degli Stati membri di adottare disposizioni che, in assenza di concrete ragioni giustificatrici, impongano in maniera aprioristica limiti quantitativi al subappalto.

A ben vedere, proprio i generali principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza, nonché l'obiettivo dichiarato di facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, declamati in sede sovranazionale e accolti dall'ordinamento interno con il recepimento delle direttive nel codice dei contratti pubblici, depongono in senso favorevole all'astratta previsione dei suddetti limiti.

Ciononostante, il principio enunciato dalla sentenza del Tar Lazio richiamata in premessa sembra essersi discostato dall'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea in materia di limiti quantitativi al subappalto e, rappresentando un punto di riferimento per le stazioni appaltanti, ha attribuito piena legittimazione a quanto stabilito sul punto dal Decreto Sblocca Cantieri che, vale la pena ricordarlo, in materia di subappalto non sembra aver superato le censure mosse dalla Commissione nella procedura di infrazione.

Nell'enunciare il principio sopra enucleato la sentenza del Tar Lazio del 3 novembre 2020 ha fatto espresso richiamo a quanto precisato dalla sezione prima del medesimo Tar con sentenza n. 4183 del 24 aprile 2020 sul medesimo punto.

Tale ultima pronuncia - nell'inquadrare il ricorso a lavoratori autonomi da parte dell'appaltatore all'interno dell'istituto giuridico del subappalto definito, ai fini delle norme sui contratti pubblici e dalla giurisprudenza amministrativa, quale "qualunque tipo di contratto che intercorra tra l'appaltatore e un terzo in virtù del quale talune delle prestazioni appaltate non siano eseguite dall'appaltatore con la propria organizzazione, bensì mediante la manodopera prestata da soggetti giuridici distinti, in relazione ai quali si pone l'esigenza che siano qualificati e in regola con i requisiti di ordine generale; non sussiste sub-appalto soltanto laddove le prestazioni siano eseguite dall'appaltatore in proprio, tramite la propria organizzazione imprenditoriale" (C.d.S., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2073) – ha affermato la corretta applicazione dell'art. 105 del codice dei contratti pubblici, nel testo previgente alla modifica del limite quantitativo operata dal Decreto Sblocca Cantieri, da parte della stazione appaltante.

Con specifico riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia UE , invero, il Collegio, pur non disattendendo apertamente l'interpretazione raggiunta in tale sede con riguardo alle norme in materia di limitazioni quantitative al subappalto, si è limitato a ribadire la riconosciuta possibilità al Legislatore nazionale da parte della normativa eurounitaria di introdurre limitazioni quantitative superiori ove ciò sia giustificato da particolari esigenze.

Nello specifico, il Tar ha sottolineato come la Corte di Giustizia, abbia avuto modo di chiarire come tali particolari esigenze possano essere inverate dal "contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici" (in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C-425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28).

Conseguentemente, il Tar, recependo l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia circa il contrasto del limite fissato al subappalto con le direttive europee, ha riconosciuto che il Legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo.

Benché ciò non possa essere revocato in dubbio, tuttavia, il Collegio sembra non aver colto nel segno oltre a non aver correttamente interpretato in un'ottica sistematica e comunitariamente orientata quanto, in una sentenza di poco successiva a quella del settembre del 2019 pur richiamata nella pronuncia, la stessa Corte di Giustizia ha avuto a chiarire.

Infatti, nella sentenza del 27 novembre 2019 (C-402/18), la Corte di Giustizia ha affermato che "anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo".

Ciò comporta, a parere di chi scrive, che sia necessaria una puntuale verifica del possesso dei requisiti richiesti dalla normativa nazionale e dalla lex specialis agli operatori economici partecipanti al fine di evitare illecite ingerenze all'interno delle commesse pubbliche e che tale puntuale verifica, onere delle stazioni appaltanti, non sia del tutto pertinente, salvo esigenze ulteriori e specificamente indicate, alle limitazioni quantitative al subappalto.

Del resto, come innanzi si è evidenziato, tanto gli obiettivi dichiarati delle direttive europee quanto le disposizioni citate tengono conto di tali esigenze temperando la previsione illimitata della soglia subappaltabile attraverso valutazioni della stazione appaltante o dello Stato membro che siano, in concreto, proporzionate agli scopi perseguiti.

Le decisioni del Tar, pertanto, alla luce delle considerazioni svolte non solo non appaiono essere risolutive, alla luce dell'orientamento sovranazionale, ma appaiono ben lontane dal favorire la formazione di un orientamento consolidato in materia.

Tale ultimo aspetto, peraltro, è ancor più preoccupante se si considera l'incidenza e il valore che delle sentenze pregiudiziali della Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Queste ultime, infatti, spiegando effetti tanto endoprocessuali che extraprocessuali, costituiscono "autorità di cosa interpretata" e si applicano ex tunc in quanto "chiariscono e precisano, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata al momento della sua entrata in vigore. Ne risulta che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa"(CGUE, sentenza Denkavit italiana, 27 marzo 1980, causa 61/79).

Conseguentemente, Il rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza pregiudiziale può comportare l'apertura di una procedura di infrazione, e sfociare nel ricorso di inadempimento di cui all'art. 258 TFUE.

Alla luce delle considerazioni svolte, non può dirsi ancora esistente una totale convergenza tra l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia circa le limitazioni quantitative al subappalto e quella adottata dalla giurisprudenza e dal Legislatore nazionale.
Ai posteri l'ardua sentenza.

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