Famiglia

La reversibilità tra prima e seconda moglie non è fifty fifty

La Cassazione ricorda che la ripartizione va effettuata sulla base di diversi elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto

di Marina Crisafi

La reversibilità non è calcolata a metà tra la prima e la seconda moglie. Ai fini della ripartizione, infatti, oltre alla durata del matrimonio, entrano in gioco diversi elementi. Lo ha ricordato la prima sezione civile della Cassazione (ordinanza n. 25369/2022) decidendo sul ricorso dell'ex moglie divorziata e della vedova di un uomo.

La vicenda
In seguito al decesso dello stesso, la pensione di reversibilità veniva attribuita dal giudice di primo grado al 50% tra l'ex moglie divorziata e la vedova in relazione alla durata effettiva quasi equivalente dei matrimoni.
In appello la situazione veniva modificata e alla superstite veniva attribuita una quota del 25% sulla base della durata dei matrimoni, dell'età e delle condizioni economiche del coniuge divorziato e di quello superstite.

Il ricorso
La prima moglie adiva, quindi, il Palazzaccio lamentando la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970 e l'erronea applicazione del calcolo matematico della durata dei matrimoni.
In particolare, la donna deduceva che era errato il calcolo matematico della durata dei rispettivi matrimoni; poichè il periodo di convivenza prematrimoniale con la stessa andava valutato una volta sola e in suo esclusivo favore, sottraendolo dunque al periodo di durata del matrimonio con la vedova, conducendo così a 33 anni il matrimonio con la ricorrente e a 22 quello con la superstite.

La decisione
Per gli Ermellini, tuttavia, il motivo è inammissibile, perchè la censura prospettata, lungi dal prospettare un error in iudicando, si risolve, nella sostanza, in una critica investente l'accertamento e l'apprezzamento del giudice del merito in ordine alla quaestio facti, per di più deviando dal paradigma di cui al vigente articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non avendo la ricorrente dedotto nulla in ordine alla decisività dell'errore denunciato, in cui è incorsa la Corte territoriale, sul computo della durata dei matrimoni del coniuge divorziato e del coniuge superstite, rilevato che, nel caso di specie il giudice d'appello ha determinato la percentuale del 25% della pensione di reversibilità spettante alla superstite, tenendo conto non soltanto del criterio della durata dei matrimoni, ma anche dell'età e delle condizioni economiche dei due coniugi, divorziato e superstite.
Ciò, sostengono da piazza Cavour, in ossequio al principio affermato anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "in caso di decesso dell'ex coniuge, la ripartizione dell'indennità di fine rapporto tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, che abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, deve essere effettuata ai sensi dell'art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le condizioni economiche di entrambi, tenendo inoltre conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il «de cuius»" (cfr., tra le altre, Cass. n. 21247/2021).
Da qui l'inammissibilità del ricorso.

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