La rigenerazione urbana. Dalla legge alla programmazione negoziata
Relazione di Luca Sartorio al convegno del 21 ottobre 2023 “Luino, 350 anni di storia turistica” .
Il recupero e la riqualificazione delle aree industriali dismesse rappresenta una sfida che il Legislatore, sia nazionale sia regionale, non è ancora riuscito a vincere.
Il nuovo disegno di legge presentato dal Senatore Maurizio Gasparri sottolinea l’importanza di una questione non più procrastinabile per il nostro Paese impegnato nella strategia europea volta a centrare l’obiettivo del contenimento assoluto del consumo di suolo entro il 2050. Nella sola Lombardia le aree industriale dismesse e censite sono oltre 800.
La maggior parte di esse sono abbandonate da decenni, alcune anche dalla metà del secolo scorso. Molte di esse sono periferiche anche rispetto ai centri minori e quindi scarsamente attraenti per il mercato immobiliare. E si può altresì ragionevolmente escludere che potranno diventare oggetto di future solitarie politiche urbanistiche di espansione economica a causa della rigidità della finanza locale.
Di fronte a questa situazione di stallo, l’intervento pubblico non può che consistere nel riconoscere agli investitori privati un ruolo sussidiario e strategico fondamentale, nell’ambito di un programma speciale per la rigenerazione urbana in grado di innescare un processo economico virtuoso e funzionale al contenimento del consumo di suolo e del bilancio ecosistemico a livello regionale.
L’esperienza ci insegna che le criticità che tale tipo di operazioni incontrano non dipendono tanto dal tipo di incentivazione (volumetrica, fiscale, etc.), quanto dalla sostenibilità economica della valorizzazione immobiliare delle aree industriali dismesse in relazione alle previsioni della pianificazione urbanistica comunale.
La realtà delle cose, il degrado che turba i nostri occhi, è lì a dimostrare plasticamente che serve un cambio di paradigma in favore di un processo consensuale e partecipato con gli interessi privati per l’effettiva (ed economicamente sostenibile) soluzione del caso concreto da risolvere, spesso ben noto alla pubblica amministrazione per risalenti problemi di ordine pubblico, decoro, non salubrità dei luoghi.
Poiché questi interessi pubblici sono costituzionalmente rilevanti, numerosi ed estranei alla materia urbanistica, e “la dismissione di aree non residenziali costituisce grave pregiudizio territoriale, sociale ed economico-occupazionale” (come recitava una vecchia ed abrogata legge regionale lombarda nr. 1 del 2007), come deve essere valutato e poi perseguito dalla pubblica amministrazione l’interesse pubblico in materia di rigenerazione urbana?
Che è un interesse pubblico complesso, cioè pubblico in senso tradizionale e allo stesso tempo proprio degli attori della rigenerazione.
Il tema del rapporto fra interesse privato (quello della proprietà, del cd. sviluppatore e/o gestore finale) e sostenibilità economica delle operazioni di rigenerazione è quindi cruciale .
La domanda è questa: i soggetti pubblici locali, in maniera solitaria, sono in grado di fare una prevalutazione economica, tecnica e strategica, delle operazioni di trasformazione di ogni singola area dismessa?
L’Italia come sappiamo è costituita da una miriade di piccoli e piccolissimi comuni, e sarebbe sproporzionato pretendere da essi che abbiano internamente le risorse, le competenze, l’organizzazione necessari per gestire interventi così complessi in partenariato pubblico privato.
Dunque, che fare? Una soluzione ci sarebbe
E’ prevista nel nostro ordinamento da tempo (a livello nazionale dal 1997, a livello regionale poco dopo, l.r. Lombardia 2/2003). Ma è una strada da perseguire con maggior coraggio e convinzione, in coerenza con il principio di sussidiarietà (anche in attrazione verso l’alto quando serve a portare assistenza ai sindaci dei piccoli comuni da parte degli apparati regionali, notoriamente più strutturati).
Un pò come avviene in Francia con le cd. mission d‘appui, organismo tecnico che fornisce alle persone pubbliche che lo richiedono assistenza nel quadro dell’elaborazione di progetti di partenariato. Si tratta di una strada che predilige il ricorso al confronto contrattuale basato sulla fiducia (e non sulla sfiducia) tra soggetti pubblici e soggetti privati, in cui la pubblica amministrazione sceglie di governare per accordi e il meno possibile con atti autoritativi (art. 1 comma 1 bis della legge sul procedimento amministrativo).
Si ratta di una modalità di azione amministrativa orientata al risultato (new public management), in cui le regole procedurali e di garanzia per l’attuazione di interventi diversi riferiti ad un’unica finalità (nel nostro caso, l’interesse pubblico alla rigenerazione urbana di una porzione di territorio già costruito) vengono concordate tra i soggetti interessati.
Si chiama “ programmazione economica negoziata ”: è una disciplina giuridica (quella regionale lombarda è contenuta nella l.r. 19/2019), ma anche una strategia, uno strumento di semplificazione amministrativa e di coordinamento istituzionale.
E un luogo di concertazione, pubblico e trasparente, nel quale anche l’individuazione, la valutazione e la misurazione dell’interesse pubblico perseguito (inteso come somma di rilevanti interessi pubblici diversi, tra cui anche quello urbanistico) risulta più ponderata e, soprattutto, meno generica, del tipo “l’ordinato assetto del territorio” (art. 1 della legge urbanistica).
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di Giulio M. Salerno - Professore ordinario di diritto costituzionale e pubblico presso l'Università di Macerata