La rinuncia alla quota di comproprietà configura una donazione indiretta
La rinuncia alla quota di comproprietà effettuata al fine di favorire in via riflessa gli altri comproprietari costituisce una donazione indiretta che non necessita dell'atto pubblico. E se, contestualmente, il negozio contenente tale rinuncia comprende anche una patto successorio nullo ai sensi dell'articolo 458 del codice civile, la nullità della clausola travolge l'intera pattuizione solo se il negozio non sarebbe stato stipulato in assenza del patto nullo. Questi principi sono stati ribaditi dalla Cassazione con la sentenza 3819/2015.
L'antefatto - L'opportunità di chiarire questi concetti è stata fornita alla Corte da una vicenda successoria che ha origine addirittura nel 1968, quando in seguito alla morte del de cuius, la moglie di costui e i suoi cinque figli stipulavano una scrittura privata con cui: a) la madre, comproprietaria per la metà di un fabbricato situato in una località montana, rinunciava alla sua quota in favore dei figli; b) quattro dei cinque figli rinunciavano alla loro quota di comproprietà di un fondo rustico situato in altra località in favore dell'altro fratello; c) quest'ultimo rinunciava alla sua quota di comproprietà del fabbricato (anche derivante dalla rinuncia della madre) in favore degli altri fratelli; d) il fratello che aveva avuto la proprietà del fondo rustico si impegnava a rinunciare, per sé e per i suoi aventi diritto, in favore degli altri fratelli, ai diritti di proprietà che gli sarebbero potuti derivare in via successoria sul fabbricato, previo equo corrispettivo. Successivamente, con altra scrittura privata i quattro fratelli comproprietari della casa procedevano alla divisione della stessa.
La controversia - Nel 1993 gli aventi causa di uno dei fratelli che avevano partecipato alla divisione ottenevano ai sensi della Legge 346/1976 (Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale) il riconoscimento dell'avvenuto acquisto della proprietà del fabbricato sulla base della invalidità della scrittura privata. Di qui la controversia giudiziaria con i fratelli del loro dante causa che sostenevano, invece, la validità delle attribuzioni patrimoniali disposte con tale atto, trovando accoglimento delle loro ragioni da parte del Tribunale prima e della Corte d'appello poi. In particolare, le questioni affrontate dai giudici erano due: la pretesa nullità della rinuncia fatta dalla madre, in quanto donazione diretta che avrebbe richiesto la forma dell'atto pubblico; e la pretesa nullità della clausola limitativa degli eventuali diritti successori, in quanto configurante un patto successorio vietato dall'articolo 458 c.c., con conseguente estensione della nullità a tutta la scrittura privata.
La rinuncia non richiede l'atto pubblico - Per quanto riguarda la rinuncia della madre alla propria quota di comproprietà, la Cassazione conferma l'interpretazione dei giudici di merito secondo cui la rinuncia di uno dei comproprietari effettuata in favore di tutti gli altri comproprietari costituisce una donazione indiretta e perciò non richiede l'atto pubblico ma solo la forma scritta. Per i giudici, «in tal caso si è infatti di fronte ad una rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, perché l'acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo in modo indiretto attraverso l'eliminazione dello stato di compressione in cui l'interesse degli altri contitolari si trovava a causa dell'appartenenza del diritto in comunione anche ad un altro soggetto; e poiché per la realizzazione del fine di liberalità viene utilizzato un negozio, la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell'atto pubblico richiesta per quest'ultimo».
La nullità del patto successorio - Per quanto riguarda il patto successorio inserito nella scrittura privata, la Cassazione ritiene che la nullità della clausola limitativa degli eventuali diritti successori non si estende all'intera scrittura privata. Per i giudici, infatti «l'indagine diretta a stabilire, ai fini della conservazione del negozio, se la pattuizione nulla debba ritenersi essenziale, va condotta con criterio oggettivo, in funzione del permanere o meno dell'utilità del contratto in relazione agli interessi che si intendono attraverso di esso perseguire, quali risultano individuati attraverso l'interpretazione del negozio». E di conseguenza, «l'applicabilità del principio di conservazione (utile per inutile non vitiatur) deve escludersi solo quando la clausola o il patto nullo si riferiscano ad un elemento essenziale del negozio, oppure si trovino con le altre pattuizioni in tale rapporto di interdipendenza che queste non possono sussistere in modo autonomo». E tale indagine non può essere censurata in sede di legittimità se la motivazione del giudice di merito è immune da vizi, come avvenuto nel caso di specie, laddove la clausola è stata sì considerata nulla in quanto integrante un patto successorio vietato dall'articolo 458 c.c., ma marginale rispetto all'operazione economico-sociale posta in essere con la scrittura privata.
Corte di cassazione – Sezione II – Sentenza 25 febbraio 2015 n. 3819