La sentenza di patteggiamento è «indizio» nel licenziamento
La Cassazione ha respinto il ricorso del dipendente pubblico che aveva contestato la legittimità del licenziamento disciplinare in quanto fondato su una sentenza cosiddetta di “patteggiamento”. Per la Cassazione la sentenza di patteggiamento è “indizio” di giusta causa per il licenziamento disciplinare che può essere contestata dal lavoratore fornendo elementi di prova.
I giudici hanno confermato - tra orientamenti giurisprudenziali non proprio omogenei - che quanto acclarato nel patteggiamento può essere posto a base della sussistenza della giusta causa nel procedimento disciplinare.
Il ragionamento dei giudici - Si tratta quindi di un giudicato rilevante - equiparato dalla legge alla sentenza penale irrevocabile - nel giudizio sulla responsabilità disciplinare del dipendente. E, ovviamente, anche a quello del settore pubblico dopo l'intervento della legge 97/2001 che regola il rapporto tra processo penale e procedimento disciplinare per questo settore. Quindi, continuano i giudici, la disciplina risultante anche dalle modifiche al Codice di procedura penale (articoli 653 e 445 ) reca una nuova regolamentazione che è applicabile legittimamente ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
In generale, compreso il comparto pubblico, la Corte non rileva alcun dubbio sulla piena equiparazione del patteggiamento alla sentenza penale di condanna ormai passata in giudicato.
La decisione - Con la sentenza n. 1024/15 depositata ieri, i giudici di legittimità hanno puntato sull'ammissione di responsabilità sottesa nell'applicazione della pena su richiesta delle parti (cosiddetto patteggiamento) e sul fatto che le risultanze di questo procedimento, diciamo, ad accertamento ridotto sono rilevanti solo rispetto ad alcuni elementi e che non ci sono preclusioni per il dipendente pubblico di svolgere, nel giudizio civile vertente sulla responsabilità disciplinare quelle difese che amplino il contraddittorio e tendenti all'accertamento di elementi di fatto che non contrastino però con il giudicato penale.
Corte di Cassazione – Sezione lavoro – Sentenza 21 gennaio 2015 n. 1024