Casi pratici

La sospensione degli atti impugnati nel processo tributario

Il Legislatore ha dotato di provvisoria e immediata esecutività tanto gli atti impositivi quanto le sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie

di Irene Barbieri e Giancarlo Marzo


LA QUESTIONE
È possibile ottenere una sospensione della provvisoria esecutività dell'avviso di accertamento impugnato o delle sentenze tributarie? Quali sono le condizioni a tal fine necessarie e i relativi effetti?


Per comprendere la ratio della tutela cautelare in seno al processo tributario, è necessario partire dal carattere impugnatorio di quest'ultimo. In effetti, il giudizio dinnanzi alle Commissioni Tributarie si atteggia a sindacato di legittimità degli atti impositivi adottati unilateralmente dall'Amministrazione finanziaria che, in quanto espressione del suo potere d'imperio, risultano idonei a incidere nella sfera giuridica del destinatario a prescindere dalla sua volontà. Gli avvisi di accertamento, quindi, una volta superato il vaglio giurisdizionale, assumono carattere di definitività e, per l'effetto, diventano, a pieno, titolo esecutivo per l'avvio della riscossione coattiva del credito vantato nei confronti del contribuente, laddove non spontaneamente soddisfatto.
Tuttavia, se si attendesse la conclusione del processo nei suoi vari gradi prima di consentire il soddisfacimento della pretesa erariale, si finirebbe per mettere a repentaglio il diritto di credito dell'Amministrazione stessa, potendo il soggetto passivo, nelle more del giudizio, sottrarre in maniera fraudolenta i propri beni al Fisco. Senza contare il pregiudizio che deriverebbe alle esigenze di cassa dello Stato, visti i profili di finanza pubblica sottesi al diritto tributario. Non a caso, la funzione primaria dei tributi è ravvisabile nella copertura della spesa pubblica. L'imposizione fiscale, invero, rappresenta il modo principale per acquisire risorse da destinare ai bisogni della collettività, che possono appunto essere soddisfatte soltanto nella misura in cui lo Stato riesca a rintracciare, anche attingendo alle economie private dei consociati, adeguati mezzi finanziari. Dunque, i pubblici servizi posti in essere dallo Stato a favore dell'intera comunità rimangono strettamente legati all'an e al quantum delle risorse di cui il governo dispone per attuare il proprio programma politico, le quali devono necessariamente essere effettive e tempestive. Pertanto, non c'è da stupirsi se l'interesse dello Stato- comunità rimane il recupero quanto più celere possibile delle somme presuntivamente evase dal cittadino. Donde il principio di cui al D.Lgs. n. 156/2015, dell'immediata esecutività dell'atto impositivo e delle sentenze tributarie non ancora passate in giudicato.
Questo significa che già in pendenza di giudizio, il Legislatore riconosce alla P.A. il potere di
riscuotere a titolo provvisorio e in via frazionata la pretesa erariale controversa. Quale logico corollario, la proposizione del ricorso in Commissione tributaria non sospende, di norma, la riscossione, che prosegue con una diversa modulazione a seconda della natura giuridica delle somme dovute. Precisamente, ai sensi dell'art. 68 del D. Lgs. n. 5246/1992, da leggere in combinato disposto con l'art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, il contribuente dovrà pagare:

- entro il termine di 60 giorni dalla ricezione dell'atto, previsto per la proposizione del ricorso, 1/3 delle somme richieste a titolo di tributi e interessi, non essendo invece ammessa alcuna riscossione immediata per le sanzioni;

- dopo la sentenza sfavorevole di primo grado, fino ai 2/3 di tributi e interessi e 1/3 delle sanzioni, per poi procedere con il versamento dell'ammontare residuo all'esito del giudizio sfavorevole di secondo grado.

Insomma, anche laddove decida di impugnare l'atto impositivo, il contribuente rimarrà esposto ad un'anticipazione finanziaria, seppur parziale, già prima della decisione del giudizio avente ad oggetto lo stesso avviso di accertamento.
Onde evitare, dunque, un'inammissibile violazione del principio di tutela giurisdizionale piena e incondizionata statuito dall'art. 113 Cost., nonché di effettività del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., il Codice del processo tributario offre al contribuente, in presenza di tassativi presupposti, la possibilità di chiedere la sospensione provvisoria dell'immediata esecutività degli atti impositivi, nonché delle sentenze tributarie sfavorevoli. Se ne occupano, rispettivamente, l'art 47 e gli artt. 52 comma 2 e 62-bis del D.Lgs. n. 546/1992.
Si cerca, così, di realizzare un necessario bilanciamento degli interessi in gioco: da un lato l'interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile in conseguenza del pagamento di un tributo che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e dall'altro, gli interessi dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze del bilancio (Cass. 2845/2012).


La sospensione dell'esecutività dell'avviso di accertamento impugnato
Come anticipato, il contribuente che impugni un avviso di accertamento per contestarne la legittimità e/o l'infondatezza, allo scopo di scongiurare l'anticipazione finanziaria derivante dal meccanismo di riscossione frazionata, può chiedere in via cautelare la sospensione dell'esecutività dell'atto impugnato, in attesa della decisione di merito, ex art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992. Il tutto al ricorrere di due fondamentali condizioni, vale a dire il fumus boni iuris e il periculum in mora, e nel rispetto di un preciso iter procedimentale.


Le condizioni di operatività: il fumus boni iuris e il periculum in mora
Il fumus boni iuris
Sebbene inizialmente parte della dottrina ritenesse annoverabile il solo periculum tra i presupposti di applicabilità dell'art. 47, in quanto l'unico testualmente esplicitato al comma 1, è ormai pacifico che anche il fumus boni iuris rappresenti una necessaria condizione di operatività della tutela cautelare nel processo tributario. Non a caso, un'analisi sistematica della norma in parola consente di desumere il richiamo espresso al fumus boni iuris nei successivi commi 3 e 4, laddove si parli di delibazione del merito.
Il fumus boni iuris consiste in una prognosi favorevole circa gli esiti del ricorso, che può essere ricavata da un esame preliminare degli atti con particolare riguardo alla fondatezza apparente della domanda (petitum e causa petendi). Com'è intuitivo, quindi, rimane in capo al giudice un ampio margine di apprezzamento del fumus, sebbene la prognosi vada operata in stretta connessione con il requisito del periculum in mora. I due presupposti, infatti, risultano tra loro in un rapporto di compensazione, al punto tale che la sicura sussistenza di una situazione di pericolo per il patrimonio del contribuente vale a giustificare la concessione del provvedimento cautelare, pur in presenza di una piuttosto debole fondatezza apparente della domanda. Un ulteriore elemento che il giudice dovrà necessariamente considerare per decidere rispetto alla sospensione dell'atto impugnato è l'insieme di eccezioni avanzate dalla parte resistente. Con la conseguenza che sarà indispensabile valutare anche le controdeduzioni formulate, sul punto, dall'Ufficio.


Il periculum in mora
Chiaramente richiamato al comma 1 dell'art. 47, il periculum in mora coincide con il danno grave e irreparabile che potrebbe derivare al contribuente dalla provvisoria esecuzione dell'atto impugnato prima che il giudice si pronunci sul ricorso esperito. Contrariamente a quanto potrebbe pensarsi, l'espressione utilizzata dal Legislatore non è certo un'endiadi, atteso che l'art. 47 menziona due profili -diversi tra loro- che devono in egual misura contraddistinguere il danno. Secondo quanto pacificamente ammesso in Giurisprudenza, il danno grave è ciò che eccede il pregiudizio necessariamente subito dal debitore per l'esecuzione della sentenza, ove foriero di un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell'esecutore e i sacrifici dell'esecutato. La gravità, quindi, ne esprime la connotazione quantitativa e soggettiva: il danno va cioè valutato, da un lato, in concreto, alla luce della sfera economica del soggetto passivo e, dall'altro, in relazione alla quantità delle imposte presuntivamente evase.
Diversamente, l'irreparabilità del danno ha natura oggettiva e qualitativa, attinendo ad un'alterazione di tipo irreversibile dello stato di fatto iniziale che prescinde dal soggetto istante. L'impossibilità, cioè, di ripristinare a seguito del soddisfacimento del credito la situazione quo ante, dev'essere indipendente dal livello di ricchezza di colui che chiede tutela cautelare. Danno irreparabile, infatti, è ciò che l'esecuzione causa con la distruzione o con la perdita delle qualità essenziali o delle funzioni economiche del bene, senza la possibilità, nel caso di successivo accoglimento del ricorso, di un suo reintegro in natura o per equivalente. Diverse sono le situazioni in grado di integrare il carattere di irreparabilità del danno. Tra queste non è possibile ovviamente far rientrare l'incapienza del patrimonio del creditore procedente (il Fisco) atta a determinare un concreto pericolo per l'esecutato eventualmente vittorioso di non poter poi recuperare le somme versate. Pertanto, nel processo tributario assumeranno rilievo, ad esempio, l'ipotesi in cui lo smobilizzo immediato e tempestivo di un asset immobiliare per far fronte alla pretesa erariale possa determinare un deprezzamento importante del bene a causa di inadeguate condizioni di vendita. O ancora, i casi di forte esposizione debitoria del contribuente nei confronti del sistema bancario, le sue precarie condizioni reddituali e, infine, per gli imprenditori, gli effetti pregiudizievoli sulla continuità dell'attività imprenditoriale stessa.


L'iter procedimentale
La tutela cautelare nel processo tributario si lega alla presentazione di un'apposita istanza dinnanzi alla Commissione Tributaria territorialmente competente, che può essere alternativamente inserita all'interno del ricorso principale, cui si affida l'impugnazione dell'avviso di accertamento per farne valere i profili di illegittimità e/o infondatezza, o separatamente, una volta instaurato il giudizio principale. In quest'ultima ipotesi, trattandosi di un atto incidentale, dovranno essere seguite le regole procedurali concernenti il ricorso: notifica alla controparte e successivo deposito ex art. 22 del D. Lgs. n. 546/1992.
La scelta dell'uno o dell'altro metodo dipende dalla strategia difensiva: qualora, ad esempio, al momento della presentazione del ricorso principale non sussista documentazione sufficiente idonea a comprovare l'irreparabilità del danno, diventa più opportuno optare per un'istanza cautelare separata e, dunque, successiva alla costituzione in giudizio. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, la tutela cautelare viene richiesta già in sede di ricorso introduttivo, allo scopo di accelerare i tempi del giudizio. A tal proposito, infatti, si tenga presente che, alla stregua del comma 5-bis dell'art. 47, l'istanza di sospensione va decisa entro 180 giorni dalla sua presentazione. Nonostante si tratti di un termine meramente ordinatorio, la suddetta previsione legislativa finisce per dare un certo impulso di carattere sanzionatorio alle lungaggini tipiche del processo.
Ca va sans dire, l'istanza va motivata avendo riguardo, quanto al fumus boni iuris, alle stesse doglianze eccepite in sede di ricorso introduttivo, quanto al periculum in mora, invece, alla situazione economico-patrimoniale del contribuente.
Una volta presentata l'istanza, il Presidente della Commissione fissa con decreto l'udienza di trattazione in camera di consiglio, di cui viene data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. All'esito della discussione delle parti in udienza, il Collegio procede con la delibazione del caso tramite ordinanza collegiale che, ai sensi del comma 4 dell'art. 47, dev'essere immediatamente comunicata alle parti in udienza, dovendo essere decisa teoricamente subito dopo la trattazione.
Sebbene l'ordinanza cautelare non sia suscettibile di impugnazione, il contribuente rimane libero ai sensi del comma 8 dell'art. 47 di chiederne, con una nuova istanza, una modifica o una revoca a fronte di elementi sopravvenuti, per lo più attinenti al periculum, tali da determinare un mutamento delle circostanze sottese alla domanda stessa. Il tutto, prima che venga emanata la sentenza che decide la controversia avente ad oggetto il provvedimento impositivo di cui si è domandata la sospensione.
La Commissione potrebbe decidere sulla richiesta cautelare in senso negativo e, dunque, ritenendo insussistenti i presupposti previsti dal Legislatore, respingere l'istanza o, al contrario, ravvisare gli estremi per la concessione della tutela, con conseguente sospensione integrale o soltanto parziale dell'esecutività dell'avviso di accertamento impugnato. In quest'ultimo caso, il Collegio potrebbe decidere di subordinare la concessione della sospensione alla prestazione di un'idonea garanzia, ex art. 69 del D. Lgs. n. 546/1992, su tutte una fideiussione bancaria.
Il provvedimento di sospensione impone la trattazione della controversia non oltre i successivi 90 giorni dalla sua pronuncia e ha, chiaramente, natura provvisoria. Di talché, la sua efficacia cessa con la pubblicazione della sentenza di primo grado.
La ritualità in parola potrebbe però subire una variazione: parliamo delle ipotesi di eccezionale urgenza di cui al comma 3 dell'art. 47, che giustifichino la concessione della sospensione interinale inaudita altera parte tramite decreto motivato.
Infine, all'art. 15, comma 2- quater del D. Lgs. n. 546/1992 il Legislatore ha previsto la condanna alle spese anche in caso di soccombenza nell'ambito del giudizio cautelare. La decisione conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione nella sentenza di merito.


La sospensione dell'esecutività delle sentenze tributarie impugnate in Commissione Tributaria
Come già anticipato, le sentenze pronunciate dai giudici tributari sono dotate di provvisoria esecutività, ex art. 67-bis del D.Lgs. n. 546/1992. Si tratta di uno dei punti più qualificanti della Legge delega n. 23/2014 relativa alla riforma attuata dal D.Lgs. n. 156/2015 che, per tale via, ha finito per abbracciare la teoria dichiarativa. Com'è noto, la corrente dottrinale in parola, agli antipodi rispetto alla teoria costitutiva, parte dal presupposto che l'obbligazione tributaria sorga direttamente dalla legge, con ciò identificando nell'atto amministrativo un mero veicolo per accedere, in sede giudiziaria, ad una tutela di tipo impugnatorio. Lungo questo solco, quindi, ritiene che qualora il giudizio tributario si concluda con l'annullamento dell'atto impositivo opposto, la sentenza tributaria vada a rimpiazzare completamente la dichiarazione tributaria presentata dal contribuente in sede di autoliquidazione nonché l'avviso di accertamento successivamente emanato dagli Uffici. In quest'ottica, è compito del giudice rideterminare la posizione del contribuente e il quantum eventualmente dovuto, nei limiti del petitum delineato tanto dall'Agenzia delle Entrate con la parte motiva dell'atto, quanto dal contribuente nelle doglianze esposte in sede di ricorso.
In questo senso, si spiega la previsione di cui all'art. 67-bis del D.Lgs. n. 546/1992, a mente del quale le sentenze delle Commissioni Tributarie sono esecutive nei limiti previsti dal capo IV, ossia secondo quanto disposto dai successivi artt. 68 e 69. Questo significa che sono immediatamente esecutive tutte le sentenze che prevedono un rapporto di debito/credito, così come quelle aventi ad oggetto un diniego di rimborso, non anche le pronunce che si limitano ad accertare una situazione meramente soggettiva (ad es. lo status di ONLUS richiesto per l'accesso al relativo regime fiscale).
In particolare, l'art. 68, nell'individuare i gradi di esecutività dell'atto impositivo, finisce per modulare indirettamente anche l'efficacia esecutiva delle sentenze. Come già rilevato, infatti, la pronunciata di rigetto adottata dalla Commissione Tributaria provinciale consente all'Amministrazione finanziaria di riscuotere fino ai 2/3 di tributi e interessi, nonché 1/3 delle sanzioni; mentre quella di secondo grado autorizza al prelievo residuo in caso di esito sfavorevole per il contribuente.
L'art. 69, invece, individua esplicitamente le ipotesi in cui è il contribuente, e non già l'Amministrazione finanziaria, a poter invocare a proprio favore l'immediata esecutività delle sentenze. Parliamo, anzitutto, del caso in cui venga accertata l'illegittimità del diniego di rimborso di somme opposto dall'AE al contribuente, con conseguente condanna degli Uffici al pagamento tempestivo di quanto ingiustamente negato. Viene così finalmente superato il limite, originariamente posto a scapito del soggetto passivo, del necessario passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell'Amministrazione al rimborso stesso prima della sua esecuzione. Del pari immediatamente esecutiva la sentenza emessa a seguito di ricorso proposto avverso atti impositivi relativi alle operazioni catastali concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale.


I presupposti e l'iter procedimentale
L'art. 52, comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992 si occupa della tutela cautelare in sede di appello prevedendo la possibilità che venga avanzata, ad opera dell'appellante- sia esso l'Ufficio o il contribuente- una richiesta di sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado a sé sfavorevole. Peraltro, la statuizione si completa con il riconoscimento, in capo al contribuente, del diritto di chiedere la sospensione dell'atto impugnato (ad esempio, quando la sentenza non sostituisca l'atto impugnato, avendo integralmente rigettato il ricorso proposto, o ancora all'esito di un giudizio di rinvio, in cui essendo annullata la sentenza oggetto di impugnazione, torna chiaramente in auge l'atto impositivo).
L'iter procedimentale da seguire ricalca, più o meno, quello delineato dall'art. 47 e già illustrato in precedenza, fatte salve alcune differenze, anzitutto quanto ai presupposti. L'art. 52, infatti, oltre a riferirsi alla delibazione del merito- intesa come prognosi favorevole circa l'esito del giudizio di appello- menziona i gravi e fondati motivi, che vanno identificati nel grave e irreparabile pericolo economico derivante al contribuente dalla riscossione provvisoria delle somme.
Anche in tal caso, la sospensione cautelare risulta subordinata alla presentazione di apposita istanza, che però va proposta contestualmente all'atto di appello e per la quale non è espressamente prevista la possibilità di modifica o revoca a seguito di un significativo mutamento delle circostanze. Ancora, a differenza dell'art. 47, il 52 non contempla il termine di 180 giorni per la decisione sull'istanza di sospensione della sentenza di I grado, né la lettura immediata, all'esito dell'udienza di trattazione, dell'ordinanza che decide sulla sospensione.
La sospensione dell'esecutività delle sentenze tributarie impugnate in Cassazione
Innovando completamente rispetto al passato- quando gli unici rimedi esperibili nei confronti delle sentenze di II grado erano quelli di carattere civilistico applicabili ai sensi del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 e 373 c.p.c. - il Legislatore tributario del 2015 ha introdotto la possibilità di chiedere e ottenere tutela cautelare anche in favore della parte che abbia proposto ricorso per Cassazione. La competenza per la suddetta inibitoria viene assegnata allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, ossia la Commissione Tributaria Regionale, senza che vi sia alcuna preclusione circa l'assegnazione della causa al medesimo Collegio che si è pronunciato sulla controversia principale. Anche in questo caso, com'è ovvio, la sospensione della sentenza può essere chiesta solo tramite apposita istanza, proposta in via separata rispetto al ricorso in Cassazione, e purché venga esibito il certificato di pendenza del ricorso medesimo, che diventa appunto condizione di procedibilità della domanda. Quanto ai presupposti di operatività della tutela cautelare, considerando che sul fumus boni iuris si è già pienamente e negativamente pronunciata la stessa Commissione di II grado e che sul punto sarà comunque necessario attendere la decisione della Corte di Legittimità (la cui "potestas iudicandi" va garantita nell'effettiva futura efficacia), per avanzare richiesta di sospensione, diventa sufficiente la sola sussistenza di un danno grave e irreparabile. A questo proposito si tenga presente che, come precisato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 217/2010, l'esigenza di bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco porta ad intendere l'irreparabilità del danno di cui all'art. 373 c.p.c. (hic et nunc: art. 62-bis del D.Lgs. n. 546/1992, secondo quanto affermato anche dalla relazione ministeriale al decreto di riforma) quantomeno nel senso di un intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di Cassazione e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per Cassazione.
Infine, giova sottolineare che, alla luce del dictat di cui all'art. 65, comma 3-bis, il rimedio cautelare in parola risulta azionabile, in quanto compatibile, altresì nei confronti di una sentenza tributaria impugnata in Cassazione per revocazione.


Considerazioni conclusive
Grazie ai meccanismi predisposti a seguito della riforma del 2015, anche il processo tributario risulta ormai pienamente attrezzato per offrire adeguata tutela ai contribuenti nei confronti dell'Amministrazione finanziaria in tutti i gradi del giudizio. La possibilità di chiedere e ottenere una sospensione momentanea dell'esecutività di atti impugnati o di sentenze sfavorevoli, ivi incluse quelle di II grado, significa contemperare gli interessi in gioco, ripristinando l'equilibrio tra le parti, troppo spesso congenitamente sbilanciato a vantaggio del Fisco. Ne esce così indubbiamente rafforzato il carattere giurisdizionale del processo tributario.