Casi pratici

La tutela giuridica della vita prenatale

La posizione del concepito nell'ordinamento giuridico italiano

di Giulia Sapi

la QUESTIONE
Che rilevanza ha il concepito nell'ordinamento giuridico? È configurabile un diritto alla nascita? E un diritto a non nascere? È risarcibile il danno arrecato all'embrione durante la vita prenatale? Con particolare riferimento all'operato del ginecologo, che natura ha la responsabilità del sanitario nei confronti della gestante e del nascituro? Quali danni sono risarcibili e nei confronti di chi?

Ai sensi dell'art. 1 comma 2, c.c. «I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita».
La funzione della norma citata consiste nel conciliare - nell'ottica squisitamente patrimonialistica propria del Codice civile del 1942 - la disposizione di cui al precedente comma 1, che ricollega a chiare lettere l'acquisto della capacità giuridica al momento della nascita, con le molteplici previsioni del Codice medesimo, che, ciò nondimeno, prendono in espressa considerazione il nascituro concepito e non concepito, ora in relazione ad atti di natura personale (è il caso dell'art. 254 c.c., disciplinante il riconoscimento del figlio naturale, e dell'art. 320 c.c., in tema di po-testà dei genitori), ora quale destinatario di attribuzioni patrimoniali (cfr. artt. 462, 687 e 715 c.c., in tema di successione, e 784 c.c. sulla donazione).
La norma intende quindi chiarire che, sebbene la legge riconosca dei diritti in favore del concepito, l'acquisto degli stessi è subordinato all'evento della nascita, senza che, pertanto, ciò equivalga all'attribuzione al predetto soggetto della capacità giuridica.
A riprova della correttezza di siffatta conclusione, basti pensare che - per quanto concerne la capacità di succedere del concepito - qualora la nascita non avvenga, non si verifica alcuna trasmissione di diritti e obblighi nei suoi confronti, devolvendosi l'eredità nei confronti di coloro cui sarebbe spettata ove il concepito non fosse mai esistito neppure come tale.
Più che di diritti, potrebbe dunque parlarsi, rispetto al concepito, di una aspettativa di diritto, tutelata dall'ordinamento in funzione della continuità dei rapporti giuridici patrimoniali.
A riprova della correttezza di siffatta conclusione, basti pensare che - per quanto concerne la capacità di succedere del concepito - qualora la nascita non avvenga, non si verifica alcuna trasmissione di diritti e obblighi nei suoi confronti, devolvendosi l'eredità nei confronti di coloro cui sarebbe spettata ove il concepito non fosse mai esistito neppure come tale.
Più che di diritti, potrebbe dunque parlarsi, rispetto al concepito, di una aspettativa di diritto, tutelata dall'ordinamento in funzione della continuità dei rapporti giuridici patrimoniali.

Situazioni soggettive facenti capo al nascituro
La disciplina normativa degli interessi patrimoniali del concepito

Le disposizioni del Codice civile che prendono in considerazione il nascituro - fatta eccezione per l'art. 254, che consente il riconoscimento del figlio naturale, tra l'altro, con atto posteriore al concepimento, e all'art. 320, che riferisce i contenuti della potestà genitoriale, espressamente, ai figli nati e nascituri - attengono prettamente ad attribuzioni patrimoniali in favore del predetto soggetto, a titolo di successione o di donazione.
In particolare, l' art. 462 c.c. riconosce la capacità di succedere per legge e per testamento ai nascituri concepiti, per i quali opera la presunzione di concepimento di cui al comma secondo, nonché, limitatamente alla successione testamentaria, ai nascituri non concepiti, purché figli di persona vivente al momento della morte del testatore.
Si suole affermare che, in relazione all'ipotesi di successione in favore di soggetti concepiti o concepturi, si verifica una frattura tra vocazione ereditaria e delazione ereditaria, che, nella specie, è rimandata a un momento successivo (la nascita), ferma restando la efficacia retroattiva della accettazione, i cui effetti retroagiscono per legge al momento della morte del testa-tore. L'accettazione potrà validamente essere effettuata (non dal diretto interessato, bensì, in rappresentanza del medesimo) dai genitori o dal tutore, peraltro, obbligatoriamente, col beneficio dell'inventario (cfr. art. 471 c.c.).
Giova ricordare, a tale proposito, la disposizione di cui all'art. 643 c.c., norma che individua i soggetti cui spetta l'amministrazione dei beni ereditari devoluti in favore dei nascituri, finché non avviene, per effetto dell'accettazione, l'attribuzione definitiva in loro favore.
Dal combinato disposto degli artt. 1, comma 2, 462 e 643 c.c. sembra, dunque, potersi desumere la natura condizionata della delazione in favore dei nascituri, in relazione alla quale è solo prevista l'amministrazione dei beni ereditari da parte dei soggetti indicati dalla legge, mentre non sarebbe possibile compiere validamente un atto di accettazione dell'eredità prima della nascita, evento dal quale, piuttosto, decorre il termine decennale di cui all'art. 480 c.c.
Una diversa interpretazione delle citate norme, traendo argomentazione dall'art. 320 c.c. (che, come più sopra ricordato, in tema di potestà genitoriale, espressamente riferisce la rappresentanza anche ai nascituri), perviene ad ammettere l'accettazione da parte dei genitori o del legale rappresentante del nascituro a far tempo dall'apertura della successione.
Tornando alla disamina delle previsioni codicistiche in favore dei nascituri, va, ancora, menzionato l' art. 715 c.c., che configura un impedimento alla divisione ereditaria qualora tra i chiamati vi siano nascituri concepiti e non. La ratio della disposizione deve rinvenirsi nella incertezza circa i soggetti effettivamente coinvolti nella vicenda successoria, allorquando tra i potenziali eredi siano compresi soggetti non ancora venuti a esistenza.
Infine, l' art. 784 c.c., parallelamente all'art. 462 c.c., sopra citato, prevede la capacità di ricevere per donazione dei soggetti nascituri, concepiti e non.
Al di fuori del Codice civile, benefici di carattere economico in favore del concepito sono contemplati dal Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965, che, all'art. 85, ai fini del diritto alla rendita per i superstiti, nel caso di morte per infortunio sul lavoro, prende in considerazione anche «i figli concepiti alla data dell'infortunio», nonché dalla legge in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, n. 990 del 24 dicembre 1969, art. 21, oggi trasfusa nel Codice delle assicurazioni private ( D.Lgs. n. 209/2005).

La tutela degli interessi personali del concepito
Accanto alle citate disposizioni codicistiche ed extracodicistiche, esistono nell'ordinamento giuridico molte altre norme le quali, a vario titolo, prendono in considerazione il nascituro, segnatamente, sotto il profilo della tutela della salute.
Il riferimento è, anzitutto, alla Costituzione che, oltre a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost.), tra cui va senz'altro annoverata la salute (art. 32 Cost.), individua esplicitamente tra i compiti etico-sociali della Repubblica la protezione della maternità (cfr. art. 31, comma 2, Cost.); e ancora: alla legislazione assistenziale degli Anni '70 (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri, e relativo regolamento, approvato con D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026; legge 29 luglio 1975, n. 405, che ha istituito i consultori familiari; legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), e in particolare alla legge 22 maggio 1978, n. 194, sull'interruzione volontaria della gravidanza, che, espressamente, proclama, all'art. 1, il riconoscimento del valore sociale della maternità, annoverando tra i propri fini la tutela della vita umana dal suo inizio.
Si tratta, a ben vedere, di norme preordinate alla tutela della maternità, dirette ad accordare alla gestante assistenza morale e materiale attraverso il riconoscimento, tra l'altro, dei necessari congedi dal lavoro, non solo per il benessere della donna stessa, ma anche in funzione di salva-guardia dello sviluppo e della salute del nascituro.
Da ultimo, la legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita, nel consentire il ricorso alla predetta pratica al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
Nel delineato quadro normativo si innesta la problematica concernente la configurabilità, in capo al concepito, di un vero e proprio diritto alla nascita, da intendersi in chiave positiva e/o negativa, come diritto a non nascere, e, più in generale, di un diritto del nascituro al risarcimento del danno arrecatogli durante la vita prenatale, con particolare riferimento all'operato del ginecologo che abbia in cura la gestante.

Negazione della capacità giuridica del concepito
La giurisprudenza nega da sempre il riconoscimento di qualsivoglia capacità giuridica del nascituro, concepito e non.
Invero, dalla esegesi dell'art. 1 comma 2, c.c., si traggono due regole indiscutibili, individuate, rispettivamente, nella eccezionalità delle previsioni di legge che riconoscono diritti in favore del nascituro, e, in ogni caso, nella subordinazione di tali diritti all'evento della nascita.
Le posizioni soggettive riconosciute o, meglio, riservate al concepito sorgono effettivamente solo con la nascita, prima della quale, mancando materialmente il titolare, ed essendovi incertezza circa la venuta a esistenza della persona (giuridicamente intesa), nessuna situazione è concretamente configurabile (né azionabile da parte dei genitori del nascituro), onde non può predicarsi in capo al medesimo alcuna capacità giuridica.
Le previsioni cui implicitamente opera rinvio il citato art. 1 comma 2, c.c., rispondono, d'altro canto, a una logica di sistema, consistente nell'assicurare la continuità dei rapporti giuridici patrimoniali, ovvero - è il caso delle disposizioni speciali successive al Codice civile - nel preservare la vita umana con riferimento a eventi che possano comprometterne la venuta a esistenza.
Quanto alla legislazione extracodicistica più sopra menzionata, la Suprema Corte ha chiarito che, sebbene le forme di assistenza assegnate alla gestante siano indirizzate al precipuo fine di garantire, oltre che la salute della donna, anche «il migliore sviluppo e la salute stessa del nascituro», attraverso tali norme non si è inteso attribuire al concepito la personalità giuridica - ciò che si porrebbe in aperto contrasto con il disposto di cui all'art. 1 comma 2, c.c. - pur volendosi garantire «se non un vero e proprio diritto alla nascita, che sia fatto il possibile per favorire la nascita e la salute».

Risarcibilità del danno arrecato al concepito successivamente nato
Interrogata sul problema della risarcibilità del danno derivante da responsabilità extracontrattuale, patito dal nascituro, già concepito, successivamente nato, la giurisprudenza più risalente risolveva il quesito in termini negativi, in considerazione della eccezionalità delle norme che riconoscono diritti in favore del concepito (tra cui non è contemplato il risarcimento del danno in questione), e della ritenuta necessità, ai fini dell'agognato risarcimento, che alla violazione della norma giuridica si accompagni il pregiudizio a un diritto soggettivo di un individuo attualmente esistente. Siffatte argomentazioni sono state gradualmente superate, invocando, per un verso, la rilevanza anche costituzionale accordata alla vita prenatale, attraverso disposizioni positive che, se non consentono di riconoscere al concepito una vera e propria capacità giuridica, pacificamente assicurano il diritto alla salute del medesimo, sia pure, come detto, in funzione del parto e, quindi, di tutela della successiva vita; per altro verso, l'interpretazione evolutiva dell'art. 2043 c.c., scandita da ben noti arresti succedutisi a partire dagli Anni '70 e culminati nella sentenza della Cassazione civile a Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999, consente ormai di prescindere dalla titolarità in capo al danneggiato di un diritto soggettivo assoluto, essendo necessaria e sufficiente, affinché si configuri la responsabilità aquiliana, la lesione di una posizione soggettiva riconosciuta dall'ordinamento. In tali termini è certamente configurabile la situazione del concepito, cui l' art. 1 comma 2, c.c., accorda una tutela in funzione conservativa di diritti destinati a venire a esistenza e a essere esercitati in conseguenza della nascita e dal momento della stessa, sicché non paiono sussistere ostacoli al riconoscimento della risarcibilità del danno sofferto dal concepito nel corso della vita intrauterina. Detto risarcimento resta condizionato al verificarsi dell'evento della nascita, da cui decorre il termine di prescrizione della relativa azione, mentre se la nascita non si verifica, nei confronti del nascituro non sorge alcun pregiudizio risarcibile (salva la configurabilità di un danno ingiusto patito iure proprio dai genitori, qualora la nascita sia impedita dal fatto colposo del terzo).

Tanto chiarito in generale, occorre ulteriormente discernere il danno patrimoniale da quello non patrimoniale.
Non è questa la sede per ripercorrere le vicende giurisprudenziali inerenti la sistemazione del danno morale, di quello biologico e di quello esistenziale, rispettivamente ricondotti, in origine, il primo all'art. 2059 c.c. e gli altri all'art. 2043 c.c., e, da ultimo, ascritti indistintamente al paradigma del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., residuando l' art. 2043 c.c. quale fonte del risarcimento del danno patrimoniale; basti solo ricordare che un certo filone interpretativo discute della ammissibilità del risarcimento del danno non patrimoniale in favore del nascituro, in considerazione della pretesa incapacità di soffrire del medesimo. Tale obiezione è stata, tuttavia, superata, sostenendo che sia invece risarcibile il danno morale, a decorrere dal momento in cui, una volta nato, il soggetto percepisca la sofferenza conseguente al fatto lesivo della propria sfera soggettiva.
La responsabilità del ginecologo. Contratto con effetti protettivi a favore del terzo
Allorquando i danni subiti dall'embrione o dal feto siano la conseguenza dell'operato negligente, imprudente o imperito del medico, si configura in capo a quest'ultimo una responsabilità cui la giurisprudenza, ormai pacificamente, attribuisce natura contrattuale, ricostruendo la fattispecie negoziale intervenuta tra il sanitario e la partoriente in termini di «contratto con effetti protettivi a favore del terzo» (nascituro concepito).

La prospettazione de qua costituisce un corollario della teoria c.d. del contatto sociale - fonte di obbligazioni ex art. 1173 c.c. - che, nella specie, si instaura tra il ginecologo e il nascituro in conseguenza del rapporto già in essere con la madre, da quale scaturiscono, invero, non soltanto obblighi di cura della gestante, ma anche prestazioni accessorie inerenti il benessere del concepito. Ne consegue che quest'ultimo, acquistata con la nascita la capacità giuridica, potrà agire nei confronti del medico per il risarcimento dei pregiudizi sofferti in conseguenza del suo colpevole operato, beneficiando, in punto di prescrizione, onere probatorio, danno risarcibile, dello statuto della responsabilità contrattuale di cui agli artt. 1218 ss. c.c.

Il diritto a una nascita sana
La delineata responsabilità del sanitario per i danni arrecati al feto quali conseguenza diretta del suo operato, non può, tuttavia, spingersi fino al riconoscimento, in capo al nascituro di un diritto al risarcimento del danno consistente nella vita ingiusta vissuta a seguito della mancata interruzione della gravidanza, da farsi valere, in ipotesi, oltre che nei confronti del medico, anche della madre stessa. Chiamata a decidere in un caso di disinformazione, da parte del ginecologo, circa una malformazione fetale, la consapevolezza della quale avrebbe consentito alla gestante di optare, ricorren-done i presupposti di legge, per l'aborto, la Suprema Corte ha chiarito il contenuto positivo, e non anche negativo, del diritto alla nascita.
«Il diritto a nascere sani - afferma la Cassazione civile con la citata sentenza n. 14488 del 29 luglio 2004 - significa solo che, sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale, extracontrattuale, e da contatto sociale (cfr. Cass. n. 589/1999), nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo colposo o doloso), e, sotto il profilo - in senso lato - pubblicistico, che siano predisposti quegli istituti normativi o quelle strutture di tutela, di cura ed assistenza della maternità, idonei a garantire, nell'ambito delle umane possibilità, la nascita sana».

Diritto a non nascere se non sani?
Viceversa, la Corte esclude la configurabilità di un diritto del concepito a non nascere se non sano in base a un triplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, non esiste, nel nostro ordinamento, un diritto all'aborto, atteggiandosi quest'ultimo quale strumento di tutela della salute della donna, esperibile nelle limitate ipotesi e alle condizioni di cui alla legge n. 194/1978 che, in pendenza di un pericolo alla salute o alla vita della gestante, consente alla stessa di avvalersi della esimente costituita dalla necessità di interruzione della gravidanza. Al di fuori del ristretto ambito di operatività della summenzionata esimente, la predetta pratica integra gli estremi dell'illecito penale, non residuando alcuna forma di aborto eugenetico.
In secondo luogo, il preteso diritto a non nascere se non sano si presenta adespota, in quanto, prima della nascita, non esiste il soggetto capace di farlo valere, mentre con la nascita il diritto medesimo sarebbe definitivamente scomparso. Infine, definito il danno come la menomazione subita in conseguenza dell'altrui illecito, è evidente come, nel caso di specie, non sussiste un pregiudizio risarcibile, non potendo compararsi la vita malformata con la vita sana che, comunque, non ci sarebbe stata.
La negazione di un diritto del nascituro, una volta venuto a esistenza, al risarcimento del danno da vita malformata non impedisce, peraltro, ai genitori cui l'omessa informazione da parte del medico abbia inibito la scelta di interrompere la gravidanza di pretendere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (morale, biologico ed esistenziale) dei quali si dimostri l'esistenza. Le conclusioni cui la Cassazione è pervenuta nell'importante arresto del 2004, sono state recentemente confermate nella sentenza n. 16123 del 22 giugno-14 luglio 2006, in cui la terza Sezione civile ha ribadito che la tutela dell'individuo che, con la nascita acquista la personalità giuridica, è limitata, nella fase prenatale, alle lesioni imputabili ai comportamenti colposi dei medici, ma non si estende all'ipotesi in cui a carico del sanitario siano accertati non già errori diagnostici e/o terapeutici, bensì la mancata informazione ai genitori e l'omessa indicazione nella cartella clinica di malformazioni a lui non imputabili.

Considerazioni conclusive

Alla stregua delle sovraesposte considerazioni giuridiche può concludersi nel senso della insussistenza, in capo al nascituro, della capacità giuridica.

Tale affermazione non è smentita dalle molteplici disposizioni codicistiche ed extracodicistiche che accordano al concepito una certa rilevanza, ora in funzione della continuità dei rapporti giuridici patrimoniali, ora in prospettiva di tutela della nascita e, quindi, della vita del futuro individuo.

Il diritto alla nascita, inteso come diritto al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, conseguente al fatto del terzo che abbia pregiudicato la salubrità della vita post-natale, sorge, pertanto, per effetto della nascita ed è esercitabile solo a condizione che la stessa avvenga.

Ove il pregiudizio derivi dalla colpa professionale del medico che abbia in cura la partoriente, si configura in capo al medesimo, anche nei confronti del nascituro, una responsabilità di natura contrattuale, atteggiandosi il predetto rapporto quale contratto con effetti protettivi a favore del terzo.

Il diritto alla nascita non è, peraltro, configurabile in chiave negativa, come diritto a non nascere se non sano, non esistendo nel nostro ordinamento giuridico l'aborto eugenetico. Ne consegue che la omessa informazione, da parte del sanitario, circa la patologia che avrebbe giustificato il ricorso all'aborto terapeutico da parte della donna, legittima quest'ultima e il padre all'azione risarcitoria, ma non anche il bambino che nasca malformato.

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