Il CommentoPenale

Le interdittive antimafia oggi e gli strumenti di dialogo con il Prefetto

Nel corso del 2022 c'è stata una netta diminuzione, rispetto al 2021, del numero di interdittive antimafia emesse dagli Organi prefettizi finalizzate a bloccare i rapporti con la Pubblica amministrazione delle imprese "in odor di mafia": secondo le statistiche del Sole 24 Ore, infatti, sono stati emessi 1.495 provvedimenti di interdizione contro i 2.078 dell'anno precedente

di Michele Bonsegna*

Nel corso del 2022 c'è stata una netta diminuzione, rispetto al 2021, del numero di interdittive antimafia emesse dagli Organi prefettizi finalizzate a bloccare i rapporti con la Pubblica amministrazione delle imprese "in odor di mafia": secondo le statistiche del Sole 24 Ore, infatti, sono stati emessi 1.495 provvedimenti di interdizione contro i 2.078 dell'anno precedente.

Secondo le analisi, a incidere sulla predetta inversione di tendenza sarebbero stati, da un lato, l'incremento delle interdittive registrato in Italia dal 2018 al 2021 (+72%) e, dall'altro, le novità procedurali introdotte nel novembre 2021 dal decreto legge 152, finalizzate a favorire la continuità aziendale, pur senza indebolire l'attività prefettizia di contrasto alle mafie.

Il primo incremento dei provvedimenti interdittivi fu registrato all'indomani della modifica del codice antimafia del novembre 2017 e, a guardare più in fondo, può essere ricondotto ad un utilizzo dello strumento di interdizione, da parte delle Prefetture, non aderente né alla norma né alla prima giurisprudenza amministrativa sviluppatasi in materia.

Infatti, furono emessi a danno delle imprese anche provvedimenti inibitori fondati su accertamenti meramente cartolari, non conseguenti ad un'attività istruttoria che avesse fatto emergere, al contempo, anche il requisito della attualità della pericolosità sociale dei soggetti – apicali e sottoposti – delle realtà imprenditoriali coinvolte. In sostanza, furono ritenute meritevoli di interdizione anche società che registravano, tra gli esponenti della governance e tra i dipendenti, soggetti con carichi pendenti o sentenze penali di condanna per reati "gravi", analiticamente individuati dall'art. 84 del codice antimafia.
Il tutto senza attualizzare i fatti oggetto di approfondimento penale e ricondurre concretamente alla quotidianità la possibile contaminazione mafiosa alla attività d'impresa. Molte decisioni, quindi, furono assunte nella assenza di indizi precisi, univoci e concordanti a carico della condotta delle imprese e delle persone fisiche alle stesse collegate.

Per l'effetto, le imprese erano obbligate ad impugnare il provvedimento innanzi al competente T.a.r., che era quindi chiamato ad esprimersi sul gravame proposto e a valutare la decisione assunta dal Prefetto secondo il principio del "più probabile che non": di conseguenza, è accaduto che la mera presenza dei carichi penali suddetti ha giustificato – e ancora oggi, molto spesso, giustifica – l'emissione del provvedimento interdittivo, secondo una ricostruzione presuntiva e probabilistica dei dati cartolari offerti.
Un vero e proprio regime del sospetto.

Le statistiche, però, indicano che nel recente periodo c'è stata una tangibile inversione di tendenza, che ha condotto alla sensibile diminuzione dei provvedimenti interdittivi antimafia. Gli addetti ai lavori attribuiscono il fenomeno alla rinnovata normativa in tema di partecipazione anticipata delle imprese, ai sensi dell' art. 94 bis del codice antimafia , introdotto nel novembre 2021.

Ad avviso di chi scrive, però, la mole delle interdittive si è ridotta grazie a molteplici fattori. Da un lato, certamente, ha inciso lo svilupparsi della più prudente giurisprudenza amministrativa, secondo la quale le interdittive antimafia vanno emesse sempre secondo il principio del "più probabile che non", ma con riferimenti puntuali ad indizi precisi, univoci e concordanti a carico delle realtà imprenditoriali. Dall'altro, ha avuto un ruolo importante la sensibilità maturata in materia nonché la migliore valutazione dei singoli casi operata da parte delle Prefetture, a posteriori "scosse" dalle numerose pronunce del Giudice penale, al cui controllo - strano ma vero - si è dovuta spontaneamente affidare l'impresa additata di essere in odor di mafia: infatti, l'accertamento penale sui fatti, grazie all'istituto del 34 bis del codice antimafia, nei numeri, ha sistematicamente disatteso i dubbi del Prefetto e stabilito l'assenza della presunta infiltrazione mafiosa.

L'attuale articolo 94 bis individua una via di dialogo fra l'Organo prefettizio e le società attinte da "situazioni di agevolazione occasionale" a mezzo della partecipazione delle società stesse ad un contraddittorio con il Prefetto, anticipato rispetto al momento dell'eventuale emissione di provvedimenti di interdizione.

Secondo la norma, l'Organo prefettizio potrà desumere dal confronto elementi utili a fugare i dubbi sulla infiltrazione mafiosa. Ebbene, tanto sarebbe possibile se l'Ufficio di Prefettura mettesse a disposizione delle imprese l'insieme delle emergenze istruttorie. Ma così non può essere. Infatti, a quel contraddittorio le società partecipano con le armi spuntate: il Prefetto che convoca l'ente conosce evidentemente i fatti meritevoli di approfondimento. Peccato che proprio quei fatti, oggetto di accertamento, non potranno essere messi a conoscenza della società, in modo così puntuale da garantire la completa conoscenza. E questo perché nella lotta alla mafia, com'è giusto che sia, non possono essere disvelati i segreti investigativi.

Insomma, quello di recente introduzione appare uno "strumento partecipativo alla cieca" per le Società, che sono chiamate a giustificarsi nel buio della conoscenza.

A questo punto, però, è necessario che le imprese, pur se all'oscuro delle possibili e future contestazioni, adottino un comportamento trasparente nel corso della audizione prefettizia, illustrando – con riscontri fattuali, concreti e di richiamo anche al proprio modello organizzativo societario ai sensi del D. Lgs. 231/2001 – l'ossatura della propria organizzazione societaria per dimostrare di essere una realtà che, a tutto concedere, può aver commesso occasionalmente un crimine, ma che non è, in definitiva, un'impresa criminale.

In quel caso, il Prefetto – accertata l'occasionalità della condotta – potrà prescrivere all'impresa, con provvedimento motivato, l'osservanza di una serie di stringenti misure di controllo ‘attivo', che consentiranno alla medesima impresa di continuare ad operare sotto la vigilanza dell'autorità statale.

Tra tali stringenti misure, riveste particolare rilievo l'adozione ex novo o il potenziamento delle misure organizzative già esistenti, ai sensi del citato decreto 231, atte a rimuovere e prevenire le cause della agevolazione occasionale.
Ebbene, dette misure cesseranno di dispiegare effetti se, alla scadenza del termine, il Prefetto accerterà il venir meno dell'agevolazione occasionale e l'assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilasciando, in quel caso, un'informazione antimafia liberatoria.

La novella del 2021, quindi, propone un recupero delle garanzie procedimentali in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia e rispetto alle quali l'apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire elementi utili a chiarire, alla stessa Autorità procedente, la natura degli eventuali rapporti tra il soggetto e le dinamiche del mondo criminale.

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*A cura dell'Avv. Michele Bonsegna, Studio Legale Bonsegna, Partner 24 Ore