Società

Le Linee Guida dell’ESMA sulla nomenclatura dei fondi comuni

La scelta di una determinata terminologia condiziona le strategie di investimento dei gestori in termini “sostanziali”, arrivando a determinare l’esclusione di alcune tipologie di società in portafoglio

Businessman touching screen virtual icon ESG Environmental social and governance eco energy sustainable digital investment Organizational growth technology concept.

di Pietro Massimo Marangio*

Il 14 maggio scorso l’ESMA ha pubblicato le Linee Guida “on funds’ names using ESG or sustainability-related terms” (le “Linee Guida”), che si collocano in linea di continuità con il Paper di consultazione già pubblicato dalla stessa Autorità di vigilanza europea il 18 novembre 2022 e, successivamente, con la recente Direttiva UE 2024/825 (c.d. Direttiva Greenwashing”) cui avevo fatto cenno nel mio ultimo contributo in questa stessa rubrica.

Le Linee Guida sono indirizzate a tutti i gestori di fondi (società di gestione armonizzate di OICVM, GEFIA, EuVECA, ELTIF e gestori di fondi europei per l’imprenditoria sociale - EuSEF), ivi inclusi quei fondi il cui periodo di sottoscrizione si sia già concluso, e stabiliscono a quali condizioni l’impiego della nomenclatura che richiama o evoca i concetti legati alla sostenibilità sia lecito e quando sia decettivo, integrando in tal caso il fenomeno del greenwashing.

È noto, del resto, come l’impiego di questa terminologia nella documentazione contrattuale e precontrattuale che accompagna la commercializzazione degli OICR sia attrattivo e abbia costituito negli ultimi tempi, e costituisce sempre più, un grande volano per il collocamento di tali strumenti finanziari.

Secondo un report dell’EFAMA, tra il 2016 e il 2021 il totale degli assets under management (“ AuM ”) in investimenti sostenibili nel mondo è aumentato del 19% all’anno, di molto superiore al tasso di crescita del complessivo comparto della gestione collettiva. Alla fine del 2020, 35,3 trilioni di dollari (pari a circa un terzo di tutti gli AuM nel mondo) erano investiti in fondi (asseritamente) “ESG compliant ”; alla fine del 2021, anno della pandemia, il totale degli attivi impiegati in gestioni sostenibili raggiungeva la somma record di 2,1 trilioni di dollari.

Se dunque la terminologia dei prodotti finanziari contenente richiami alle tematiche ambientali, sociali e di governance costituisce un sempre più efficace strumento di marketing, diventa fondamentale che in effetti tali prodotti finanziari veicolino i flussi di investimento verso società e attività che siano genuinamente rispettose delle predette tematiche.

Le Linee Guida riguardano, in particolare, quei fondi comuni d’investimento che utilizzano nella loro denominazione i seguenti termini:

  • (i) “ Transizione ” e termini correlati come “transitorio”, “migliorare”, “progredire”, “evoluzione”, “trasformazione” o “net zero”;
  • (ii) “ Ambientale ” e termini correlati come “verde”, “green”, “climatico”, “ESG”, “SRI” (Social Responsible Investing);
  • (iii) “ Sociale ” e termini correlati come “ uguaglianza
  • (iv) “ Governance ” e termini correlati come “ controversia ”;
  • (v) “ Impact ” e termini correlati come “d’impatto”, “impacting” o “impactful” o
  • (vi) “ Sostenibilità ” e termini correlati come “ sostenibile ”.

In linea con il Consultation Paper del novembre 2022, le Linee Guida stabiliscono che i gestori dei fondi comuni, che nel nome del fondo gestito impieghino riferimenti all’acronimo ESG, devono assicurare che almeno l’80% dei loro investimenti sia allineato alla strategia di investimento in materia di sostenibilità così come rappresentata, per i fondi ex articoli 8 e 9 del Regolamento n. 2019/2088 (cd. SFDR), negli schemi e modelli di cui, rispettivamente, agli Allegati II e III del Regolamento Delegato (UE) n. 2022/1288 recante i Regulatory Technical Standards ( RTS ) di recepimento dello stesso SFDR (per alcuni riferimenti al Regolamento Delegato 2022/1288 rinvio a due precedenti articoli sempre in questa rubrica).

Non solo: oltre a rispettare la predetta soglia, i gestori dei fondi che impieghino i termini “transizione”, “sociale” o “governance” e loro derivazioni dovranno anche assicurarsi che tali fondi non siano investiti (o escludano dal loro portafoglio) determinate categorie di società (vale a dire: a) quelle coinvolte in attività relative ad armi controverse; b) attive nella produzione di tabacco, e c) quelle per cui i soggetti amministratori dei Paris-Aligned Benchmark ( PAB ) abbiano constatato violazioni dei principi del patto mondiale delle Nazioni Unite o delle linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali) elencate all’articolo 12, paragrafo 1, lettere da a) a c) del Regolamento Delegato (UE) n. 2020/1818 , disposizione recante il catalogo di esclusioni per la costruzione dei benchmark comunitari allineati con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici del 2015.

Se invece gli OICR impiegano nella propria denominazione termini quali “ambientale” o “impact” , oltre al rispetto della suindicata soglia dell’80%, sarà loro precluso l’investimento nella più estesa categoria di società di cui alle lettere da a) a g) del citato articolo 12, paragrafo 1, del Regolamento Delegato (UE) n. 2020/1818, elenco comprendente (anche) le imprese che ottengono determinate soglie di ricavi dalle attività di prospezione, estrazione, distribuzione o raffinazione, a seconda dei casi, di carbon fossile e lignite ( l’1% o più), oli combustibili (il 10% o più) o gas combustibili (il 50% o più), ovvero quelle che ottengono il 50% o più dei ricavi dalla produzione di energia elettrica con un’intensità dei gas a effetto serra superiore al rapporto di 100 g CO2e/kWh.

Infine, se gli OICR utilizzano nel nome il termine “ sostenibilità ”, devono:

• rispettare la predetta soglia dell’80% di allineamento alla strategia d’investimento in materia di sostenibilità;

escludere dal portafoglio le società elencate nelle lettere da a) a g) del citato articolo 12, paragrafo 1, del Regolamento Delegato (UE) n. 2020/1818 e, ulteriormente,

• impegnarsi ad effettuare significativamente “investimenti sostenibili, così come definiti dall’articolo 2, numero 17, dell’SFDR.

In conclusione, le Linee Guida sulla nomenclatura dei fondi contengono disposizioni ben più incisive, in termini di impatto sull’economia reale, di quanto potrebbe far ritenere il loro titolo, dal momento che, attraverso l’espresso rinvio alla normativa eurounitaria in materia di trasparenza sulla sostenibilità (SFDR, Regolamento Delegato UE n. 2022/1288 recante gli RTS e Regolamento Delegato (UE) n. 2020/1818), in realtà tale provvedimento impone ai gestori determinate condotte di investimento e di esclusione di alcune tipologie di società in portafoglio.

E’ dimostrato che, al fine di contrastare il fenomeno del greenwashing (che costituisce una tipica condotta di concorrenza sleale) l’impianto normativo in materia di trasparenza sulla sostenibilità finanziaria, com’era agevole prevedere, travalica l’ambito applicativo di mera disclosure e finisce con l’impattare su, e condizionare in maniera deterministica, le attività d’investimento degli intermediari finanziari comunitari. Nonostante che la normativa in materia ESG (alluvionale, farraginosa e talvolta incoerente) abbia prodotto in origine meri obblighi formali di trasparenza, oggi le Linee Guida evidenziano chiaramente che l’indicazione di una determinata terminologia nel nome dei fondi comuni condiziona le strategie di investimento dei relativi gestori anche in termini sostanziali: nomina sunt consequentia rerum.

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*A cura di Pietro Massimo Marangio, Counsel Lexia Avvocati

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