Comunitario e Internazionale

Liceità delle vendite in fiera collegata al fattore «sorpresa»

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di Marina Castellaneta

Sul diritto di recesso e la tutela dei consumatori che acquistano durante fiere commerciali interviene la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata il 7 agosto nella causa C-485/17.

Al centro della controversia un’associazione di consumatori e una società di distribuzione che commercializza beni. Durante una fiera a Berlino, in uno stand, era stato venduto un attrezzo di pulitura a vapore senza che l’acquirente fosse stato avvisato del diritto di recesso. Secondo l’associazione dei consumatori, poiché il bene era stato venduto al di fuori dei locali commerciali, l’azienda aveva un obbligo di informazione esplicita sul recesso, ma i giudici nazionali avevano respinto la domanda finalizzata a vietare alla società la vendita senza comunicare informazioni sul recesso.

La Corte di cassazione, prima di decidere, si è rivolta agli eurogiudici per un chiarimento sulla direttiva 2011/83 sui diritti dei consumatori (recepita in Italia con Dlgs n. 21/2014). Nodo della questione è l’ambito di applicazione della direttiva che fissa obblighi di informazione al cliente, anche di natura formale, per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali e un ampio diritto di recesso per rafforzare una tutela in luoghi in cui, secondo il legislatore Ue, la pressione sul consumatore è maggiore.

È così necessario chiarire se la vendita sia esercitata al di fuori di un locale commerciale.

In via generale, la direttiva considera che l’attività del professionista va inquadrata tra quelle svolte all’interno se esercitata in un locale commerciale su base permanente o con carattere abituale. È vero – osserva la Corte - che l’atto Ue non ha chiarito le due nozioni ma, in forza «dell’esigenza di applicazione uniforme del diritto dell’Unione», va escluso ogni rinvio al diritto degli Stati membri a vantaggio di una nozione autonoma del diritto dell’Unione. Per la Corte, tenendo conto dello scopo e del contesto della direttiva, le attività esercitate da un professionista in uno stand, collocato in una fiera per un arco temporale limitato a pochi giorni durante un anno non possono essere incluse tra le attività esercitate su base permanente. Sul carattere abituale, invece, chiarito che è necessaria «una certa costanza nel tempo dell’attività», Lussemburgo ritiene che non sia possibile fornire un’interpretazione univoca.

Detto questo, però, la Corte sottolinea la centralità dell’accertamento del fattore «sorpresa». Questo vuol dire che «se il fatto di ricevere sollecitazioni commerciali non costituisce un elemento di sorpresa» e l’esercizio dell’attività è una normale vendita quest’ultima deve essere considerata svolta all’interno di un locale commerciale, anche tenendo conto dell’aspetto concreto che lo stand presenta agli occhi del pubblico. Elementi, per la Corte, da parametrare secondo il consumatore medio che, proprio in forza dell’abitualità, può «ragionevolmente attendersi di essere oggetto di sollecitazioni commerciali».

Accertamento che la Corte lascia al giudice nazionale.

Corte di giustizia dell'Unione europea - Sezione VIII - Sentenza 7 agosto 2018 - Causa C-48517

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