Licenziamento disciplinare, tutela reale anche oltre la tipizzazione del Ccnl
La Corte di cassazione, sentenza n. 12745 depositata oggi, chiarisce che il giudice può applicare la sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche
Più potere al giudice nel decidere il reintegro del lavoratore illegittimamente licenziato per una violazione disciplinare. Con una correzione di rotta rispetto alla giurisprudenza dominante, la Cassazione chiarisce infatti che la tipizzazione delle ipotesi di tutela reale contenuta nei contratti collettivi non è di per sé esaustiva, non essendo possibile tener conto di ogni possibile evenienza, ragion per cui quando i contratti ricorrono a "clausole generali", spetta al giudice riempirle stabilendo se la fattispecie concreta rientri o meno tra quelle per cui è prevista la sanzione conservativa.
La Sezione lavoro, sentenza n. 12745 depositata oggi, ha così respinto il ricorso di una ditta di allevamento di pesci che aveva licenziato un proprio dipendente perché aveva dato un "errato quantitativo di cibo" agli animali ed aveva risposto male ad un superiore. Nel ricorso la ditta aveva sostenuto che la Corte di appello applicando una sanzione conservativa aveva proceduto "ad una inammissibile interpretazione estensiva ed analogica della fattispecie individuata dalla norma collettiva", mentre il ricorso all'analogia "resta limitato all'interpretazione delle norme di legge e non si applica all'interpretazione del contratto collettivo".
Secondo l'indirizzo dominante in Cassazione, ricostruisce la decisione, il licenziamento illegittimo è meritevole della tutela reintegratoria accanto a quella indennitaria "solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa". "Tanto premesso, prosegue la Corte, ritiene il Collegio che sia necessaria una chiarificazione dell'orientamento che si è venuto fin qui consolidando attraverso la precisazione di alcune delle affermazioni contenute nelle sentenze che vi hanno dato origine".
La tipizzazione delle condotte punite con misure conservative da parte delle parti sociali, spiega la Corte, non è un dato assoluto ed omogeneo. Vi sono infatti contratti che contengono solo clausole generali. Del resto, prosegue, la "classificazione e catalogazione delle condotte è evenienza legata a fattori non prevedibili tanto che il dato oggettivo e razionalizzante che emerge è quello della previsione di clausole di chiusura generali che ovviano all'impossibilità o comunque estrema difficoltà di procedere ad una catalogazione dettagliata ed esaustiva". In tale prospettiva la tipizzazione operata dalla disciplina collettiva "non può essere di per sé decisiva e utilizzabile come elemento dirimente per tracciare i contorni ed i limiti delle diverse tutele da applicare qualora si accerti l'illegittimità del recesso".
Nel caso in cui nel contratto collettivo siano presenti formule generali, norme elastiche, norme di chiusura, la mancata tipizzazione di alcune condotte tra quelle suscettibili di essere punite con una sanzione conservativa "non è di per sé significativa della volontà delle parti sociali di escluderle da quelle meritevoli di una sanzione più lieve rispetto al licenziamento".
Né la proposta interpretazione dell'articolo 18, commi 4 e 5, si pone in contrasto con l'esigenza di porre il datore di lavoro nella condizione di avere una "chiara e preventiva rappresentazione dell'illegittimità del provvedimento espulsivo che si accinge ad irrogare, così prefigurandosi la sanzione applicabile, ma costituisce piuttosto un equilibrato bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti".
Ne consegue che il discrimine tra la tutela reintegratoria e indennitaria collocato nella tipizzazione degli illeciti ad opera dei contratti collettivi o dei codici disciplinari "non può escludere la possibilità di interpretazione ed applicazione giudiziale delle clausole generali o elastiche finendo per comprimere lo spazio di una interpretazione estensiva al di là della volontà dello stesso legislatore del 2012 che ha indicato, quale presupposto per l'applicazione del comma 4 dell'articolo 18, la circostanza che il fatto rientri "tra le condotte punibili con una sanzione conservativa" ma non ha privato il giudice di tutti gli strumenti che la legge gli accorda per procedere alla sussunzione del fatto in concreto accertato nella fattispecie astratta prevista dalla norma collettiva che ben può presentare elementi costitutivi che necessitano di essere inverati attraverso la concretizzazione del valore enucleato dalla norma elastica". "Si tratta del compito proprio del giudice che non gli è sottratto da una esigenza di certezza e di previa conoscenza da parte del datore di lavoro delle conseguenze di un uso non corretto del potere disciplinare".
In conclusione, la Sezione ha affermato il seguente principio: "In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall'art. 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione dei contratto collettivo."