Casi pratici

Limiti di impugnazione all'estratto di ruolo: la posizione delle Sezioni Unite sulla novella normativa

di Gianarlo Marzo e Liliana Peruzzu

la QUESTIONE
Quali sono i limiti di impugnabilità dell'estratto di ruolo? A quali fattispecie si applicano i limiti di impugnabilità introdotti dall'art. 3-bis del D.L. n. 146 del 2021?

Limiti all'impugnazione del ruolo
Recentemente, con l'art. 3-bis del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146 (convertito in legge 17 dicembre 2021, n. 215), il legislatore fiscale è intervenuto in modifica dell'art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (rubricato "Formazione e contenuto dei ruoli"), inserendo il nuovo comma 4-bis che ha sancito, espressamente, la non impugnabilità dell'estratto di ruolo.
Ai sensi della disposizione richiamata, il ruolo e la cartella di pagamento, che si assumano invalidamente notificati, non sono, quindi, più suscettibili di impugnazione "diretta".
La norma fa salvi esclusivamente i casi in cui il debitore (che agisce in giudizio) dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli (alternativamente) un pregiudizio:
- per la partecipazione ad una procedura di appalto;
- per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), del regolamento di cui al decreto del MEF 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all'art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973;
- per la perdita di un beneficio nei rapporti con una Pubblica Amministrazione.
In sintesi, la norma in parola ha segnato un importante cambio di rotta rispetto al passato, sancendo, incontrovertibilmente, l'impossibilità di impugnare atti di cui il contribuente sia venuto a conoscenza a seguito dell'estratto di ruolo. Al fine di ottenere tutela giurisdizionale (salvo i casi di tutela "anticipata" espressamente previsti dalla norma), occorre, quindi, attendere l'atto impositivo immediatamente successivo non essendo più consentita una tutela giurisdizionale "preventiva" atta a bloccare o impedire eventuali azioni esecutive.
La novella - che ha destato non poche perplessità tra gli operatori di settore - è stata, ancor più recentemente, sottoposta alla valutazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza del 6 settembre 2022, n. 26283, hanno ritenuto insussistente qualsivoglia questione di illegittimità costituzionale, affermandone, vieppiù, l'applicazione anche ai processi incardinati in data antecedente alla relativa entrata in vigore (i.e., prima del 21 dicembre 2021).

Gli orientamenti pregressi
Come noto, antecedentemente alle modifiche normative introdotte dal sopra menzionato art. 3-bis del D.L. 146 del 2021, la giurisprudenza di legittimità si era più volte pronunciata, in senso favorevole, sull'impugnabilità dell'estratto di ruolo.
Ciò, specie a seguito della nota sentenza 2 ottobre 2015, n. 19704, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (in soluzione dei contrasti giurisprudenziali sorti sul punto) avevano affermato l'ammissibilità dell'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) non (validamente) notificata e della quale il contribuente fosse venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo (rilasciato su sua richiesta dal concessionario).
Tale soluzione, secondo la Corte, non si poneva in contrasto con le disposizioni recate dall'art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale "la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo".
Invero, optando per una lettura costituzionalmente orientata della norma richiamata, si era ritenuto che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato, unitamente all'atto successivo notificato (ex art. 19, comma 3, cit.), non potesse costituire l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario fosse, comunque, legittimamente venuto a conoscenza, prima dell'emissione dell'atto successivo.
Le Sezioni Unite, quindi, prendendo le mosse dall'"indiscutibile recettizietà" dell'atto tributario, in virtù della quale "il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento", avevano fondato l'ammissibilità dell'impugnazione sul bisogno di tutela dato dall'interesse a contrastare l'avanzamento della sequenza procedimentale in corso. Si era osservato, infatti, che l'invalidità della notificazione (e, a maggior ragione, l'omissione della stessa) assumeva rilievo nella misura in cui, impedendo la conoscenza dell'atto (e, per l'effetto, la relativa impugnazione) poteva produrre l'avanzamento del procedimento sino alla conclusione dell'esecuzione.
Era stato, così, riconosciuto (apparentemente, in via definitiva) l'interesse del contribuente a proporre l'impugnazione al fine di contrastare, il più tempestivamente possibile, l'avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, specie nell'ipotesi in cui il danno risultasse idoneo a divenire, in certa misura, non più reversibile se non in termini risarcitori.
La Corte aveva, inoltre, sottilizzato che l'ammissibilità di tutela "anticipata" non comportava alcun onere ma solo la facoltà dell'impugnazione, il cui mancato esercizio non poteva determinare alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto "tipico", la pretesa della quale il contribuente fosse venuto a conoscenza, eventualmente, attraverso un atto "atipico".
Anche la giurisprudenza di legittimità successiva, come detto, si era posta nel solco interpretativo tracciato dalla pronuncia n. 19704 cit., sostenendo costantemente (salvo sporadiche occasioni; cfr. Cass., 22 settembre 2017, n. 22184) la possibilità per il contribuente di proporre impugnazione avverso la cartella non notificata e conosciuta tramite l'estratto di ruolo (cfr. ex multis, Cass., 21 gennaio 2022, n. 1971; Cass., 24 dicembre 2021, n. 41508; Cass., 5 ottobre 2020, n. 21289).

La rinnovata posizione della Corte di Cassazione
Successivamente all'entrata in vigore dell'art. 3-bis del D.L. n. 146 del 2021, con ordinanza interlocutoria 11 febbraio 2022, n. 4526, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state nuovamente interpellate sul tema dell'impugnabilità dell'estratto di ruolo e, in particolare, sono state chiamate a valutare: i) sia la legittimità costituzionale delle nuove disposizioni di legge; ii) che la possibile applicazione ai giudizi pendenti (vista l'assenza di una disciplina transitoria).
Le Sezioni Unite si sono, così, recentemente pronunciate con sentenza 6 settembre 2022, n. 26283, decretando, di fatto, il definitivo superamento degli orientamenti giurisprudenziali pregressi.
In primo luogo, la Corte ha ritenuto non più attuale il bisogno di tutela immediata sancito nella sopra citata pronuncia n. 19704, visto, peraltro, l'ampliamento delle tutele esperibili a fronte dell'ingiusta prosecuzione della sequenza procedimentale, pur in assenza di una valida notificazione dell'atto presupposto.
Al riguardo, la Corte ha osservato che, illo tempore, era esclusa l'impugnazione di atti esecutivi, quali il pignoramento, innanzi al giudice tributario, così come la possibilità di proporre opposizione ex art. 615 c.p.c., limitata, ex art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973, alla deduzione dell'impignorabilità dei beni.
Tali limitazioni erano venute meno: le stesse Sezioni Unite, con le pronunce n. 13913 e n. 13916 del 2017, avevano, infatti, stabilito la possibilità di impugnare innanzi alla giurisdizione tributaria il pignoramento (costituente il primo atto di riscossione), in mancanza di precedenti atti ritualmente notificati, vista la sussistenza, in tali ipotesi, dell'interesse ad agire. Inoltre, la Corte costituzionale (vd. sentenza n. 114 del 2018) aveva posto rimedio anche alla carenza di tutela che si profilava dinanzi al giudice ordinario, affermando l'illegittimità costituzionale del suddetto art. 57 nella parte in cui non prevedeva (rispetto alle controversie relative agli atti dell'esecuzione forzata tributaria, successivi alla notificazione della cartella o all'intimazione di pagamento) l'accesso alle opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c.
Ciò premesso, la Corte ha, poi, inteso precisare che in caso di contestazione del ruolo e/o la cartella o l'intimazione di pagamento non notificate (o invalidamente notificate), conosciute perché risultati dall'estratto di ruolo, l'azione sarebbe da qualificare come "accertamento negativo" (posto che l'esercizio della pretesa tributaria non emergerebbe da alcun atto giuridicamente efficace) e, in quanto tale, improponibile, vista la struttura impugnatoria del giudizio tributario.

Le conclusioni delle Sezioni Unite
Nell'ambito della pronuncia in commento, il Supremo Consesso ha, poi, affrontato il tema della possibile applicazione retroattiva dello ius superveniens suindicato.
Al riguardo, le Sezioni Unite, pur riconoscendo che la norma non possa intendersi "interpretazione autentica", si sono espresse per l'estensione della stessa anche ai giudizi tributari in corso.
Più nel dettaglio, la Corte ha osservato che il neo-introdotto comma 4-bis dell'art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 – specie nella parte in cui subordina l'esercizio dell'azione "diretta" alla ricorrenza di casi specifici – si presenta idoneo ad incidere sulla pronuncia della sentenza (o dell'ordinanza) che è ancora da compiere e non su uno degli effetti dell'impugnazione. Pertanto, l'"interesse ad agire" (ricorrente nei casi specifici declinati dalla novella) dovrebbe essere dimostrato anche nell'ambito dei procedimenti già incardinati.
In particolare, secondo la Suprema Corte, quanto alle fasi di merito, l'eventuale pregiudizio (già insorto al momento della proposizione del ricorso o in un momento successivo) potrebbe essere agevolmente provato tramite il ricorso all'istituto della rimessione in termini, applicabile anche al processo tributario, "posto che l'assolutezza dell'impedimento a rappresentare quel pregiudizio è determinata dalla novità della norma che l'ha previsto". Inoltre, sempre secondo la Corte l'interesse in questione ben potrebbe essere allegato anche in pendenza del giudizio di legittimità mediante deposito di documentazione ex art. 372 c.p.c. o anche fino all'udienza di discussione, prima dell'inizio della relazione, o fino all'adunanza camerale (se insorto dopo); qualora occorrano accertamenti di fatto, vi provvederà il giudice del rinvio.
Esaurito l'esame sulla possibile applicazione retroattiva della norma, le Sezioni Unite sono, poi, passate alla valutazione della novella sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Su questo punto, la Corte si è espressa sulla conformità del dettato normativo rispetto agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 della Costituzione (quest'ultimo con riguardo all'art. 6 della CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione"), valutando, di conseguenza, manifestatamente infondate le questioni poste dalla Procura generale nell'ordinanza di rinvio.
Ad opinione della Corte, la norma, non essendo idonea a mutare gli esiti dei processi in corso, non violerebbe i principi di ragionevolezza, di tutela, legittimo affidamento e di coerenza e certezza dell'ordinamento. Secondo la stessa, inoltre, la norma non si profilerebbe, come paventato, sproporzionata (vista, tra l'altro, la necessità di ridurre la mole del contenzioso), né lascerebbe il contribuente sprovvisto di tutela, stante la riconosciuta possibilità, pure a fronte dell'invalida o omessa notificazione della cartella, di impugnare l'atto immediatamente successivo, anche se esecutivo o alternativo all'esecuzione. Da ultimo, risulterebbero infondati gli ulteriori dubbi di costituzionalità concernenti gli adombrati profili di discriminazione, asimmetria della norma, e in riferimento al diritto ad un processo equo.

Considerazioni conclusive
La sentenza n. 26283 del 2022, recentemente depositata dalla Sezioni Unite, ha, dunque, avallato in toto, le modifiche normative introdotte dal più volte citato art. 3-bis del D.L. n. 146 del 2021.
La norma, tuttavia, così come la soluzione ermeneutica adotta dalla Suprema Corte, non ha raccolto particolari consensi tra gli operatori di settore.
È stato da più parti osservato che la scelta di circoscrivere le ipotesi di impugnazione dell'atto non notificato – per quanto possa apparire giustificata (come anche riconosciuto nella sentenza n. 26283 cit.) anche alla luce della proliferazione di contestazioni pretestuose innanzi alla giurisdizione tributaria – è idonea a determinare una sproporzionata compressione dei diritti di difesa del contribuente.
Nella pratica può, infatti, avvenire che primo atto impugnabile (susseguente ad una cartella non notificata) si concreti in un provvedimento (quale un fermo o un'iscrizione di ipoteca) potenzialmente lesivo della posizione del contribuente che, nelle more del giudizio e della concessione di una eventuale misura cautelare, potrebbe vedere irrimediabilmente pregiudicati i propri interessi economici.
La Corte pare, inoltre, trascurare, quanto ai procedimenti tributari in corso (incardinati prima del 21 dicembre 2021), che l'applicazione delle nuove regole e, dunque, la dimostrazione della ricorrenza di una delle ipotesi di cui al neo-introdotto comma 4-bis, potrebbe risultare particolarmente difficoltosa a "posteriori" per il contribuente che, ponendo legittimo affidamento nella precedente (e, ormai consolidata) impostazione, potrebbe non aver raccolto o conservato la documentazione richiesta.
Visti, dunque, i dubbi e le questioni sollevate in dottrina, ciò che si auspica è che la questione possa essere, quanto prima, rimessa in discussione innanzi alla Corte costituzionale e, si spera, riesaminata in un'ottica di maggiore tutela della posizione del contribuente.

Correlati

Laura Biarella

Riviste

Silvano Imbriaci

Riviste

Sezioni Unite