Casi pratici

Liquidazione e recupero dei compensi professionali nel gratuito patrocinio e nelle difese d'ufficio: gli ultimi trend

La Circolare 10 gennaio 2018

di Laura Biarella

Il Ministero della Giustizia, con una Circolare del 10 gennaio 2018, ha fornito lumi sull'interpretazione e l'applicazione dell'art. 83 del d.P.R. n. 115/2002, evidenziando che tale norma è finalizzata a rendere maggiormente celere la liquidazione dei compensi che spettano all'avvocato quale corrispettivo per l'attività difensiva prestata in favore della parte ammessa al patrocinio dello Stato. Al contempo il Ministero ha precisato che il provvedimento di liquidazione dei compensi professionali, tecnicamente denominato "decreto di pagamento", deve essere emanato per il tramite di un atto distinto e separato rispetto al provvedimento che definisce il giudizio. Il Ministero nel documento in esame dichiara esplicitamente di non condividere la prassi invalsa in taluni uffici giudiziari, ove, in replica alla domanda di liquidazione del compenso professionale per l'opera compiuta dal legale, richiedono accertamenti all'ufficio finanziario in merito all'effettiva situazione reddituale della parte assistita, in tal modo rinviando, alla conclusione dei medesimi accertamenti, l'adozione del decreto di pagamento.

La Circolare 8 giugno 2018 sui compensi maturati in ambito penale
Sono ammessi alla compensazione dei debiti fiscali con i crediti per spese e onorari, spettanti agli avvocati del patrocinio a spese dello Stato, pure i crediti liquidati per le attività poste in essere nell'ambito del processo penale, quali difensori d'ufficio, nelle ipotesi in cui il difensore dia prova di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali, ovvero quando l'assistito è persona irreperibile. Tale tipologia di crediti, insorti ai sensi degli articoli 82 e seguenti del Testo Unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. n. 115/2002), devono pertanto essere ammessi alla procedura di compensazione succitata. La precisazione è intercorsa attraverso la Circolare 8 giugno 2018, con cui il Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, sollecitata da alcune segnalazioni inoltrate da alcuni Uffici giudiziari presso cui i riferiti crediti non venivano ammessi alla procedura di compensazione. In tal modo si è dato fine al dubbio che investiva la materia, così ammettendo alla procedura di compensazione dei debiti fiscali di cui al d.m. 15 luglio 2016, finanche i crediti che vengono liquidati in favore degli avvocati difensori d'ufficio per le opere professionale svolte nell'ambito del processo penale, qualora questi non riescano a incassarli a causa dell'irreperibilità dell'assistito, ovvero in seguito all'esperimento, con esito negativo, delle procedure per il recupero dei crediti professionali.

Il recupero del credito da parte del difensore d'ufficio
Ulteriore problematica che investe l'attività professionale di molti avvocati, concerne il recupero del credito derivante dallo svolgimento delle difese d'ufficio nelle corti penali. Nell'Ordinanza depositata il 7 febbraio 2019, n. 3673, la VI Sezione Civile della Cassazione ha condiviso la tesi difensiva prospettata da un avvocato d'ufficio, accogliendone il relativo ricorso. In dettaglio, per recuperare il credito, verso lo Stato, dovuto per aver espletato un mandato professionale penale, l'avvocato non doveva, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, portare a termine, e in sequenza, la globalità delle attività previste per il recupero medesimo. Infatti, lo stesso, non è tenuto a comprovare né la non abbienza né la completa impossidenza dell'assistito, poiché per richiedere il compenso allo Stato risultando sufficienti decreto ingiuntivo e precetto. Il Tribunale, infatti, aveva rigettato la liquidazione del compenso relativo all'attività penale espletata dal legale nell'ambito di una difesa d'ufficio, mentre secondo i giudici di legittimità, una volta che il difensore d'ufficio abbia esperito la procedura esecutiva finalizzata a riscuotere l'onorario, scatta il diritto al rimborso dei compensi previa liquidazione dei medesimi da parte del giudice, al contempo precisando che i costi della procedura monitoria non possono restare a carico dello stesso difensore. La Cassazione conclude, pertanto, che il congegno procedimentale scandito all'art. 116 DPR 115/2002 non richiede la non abbienza dell'imputato né presume che lo stesso sia insolvibile, al fine di provvedere al pagamento del difensore, bensì esso consiste in un'anticipazione che lo Stato versa al difensore d'ufficio sulla somma che verrà liquidata dal giudice, e che a sua volta lo Stato dovrà recuperare dall'assistito.

L'indirizzo giurisprudenziale in tema di gratuito patrocinio
La Corte di Piazza Cavour ha dovuto esaminare, in plurime occasioni, vicende afferenti ai compensi professionali degli avvocati quando i propri assistiti siano stati ammessi al patrocinio a carico dello Stato. Nell'Ordinanza n. 14485/2018 ha affermato che il giudice chiamato a liquidare gli onorari ai legali che hanno operato, nella propria attività professionale, in beneficio di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non può limitarsi a un generico richiamo, quale criterio di liquidazione, alla tariffa professionale vigente. Al contrario, questi dovrà pure esternare la necessaria valutazione in merito alle effettive attività professionali indicate, oltre a valutare l'impegno professionale analiticamente richiesto dalla specifica questione giuridica trattata.

L'attività di mediazione rientra tra quelle liquidabili col gratuito patrocinio?
Il patrocinio a spese dello Stato copre gli esborsi per ogni tipologia di azione, inclusa, secondo un recente indirizzo giurisprudenziale, pure l'opera afferente alla mediazione obbligatoria rispetto alla quale risulti necessaria la presenza e, per l'effetto, l'attività legale, dell'avvocato. Quindi, secondo la prospettata interpretazione, il patrocinio a spese dello Stato ricomprende la mediazione obbligatoria, nelle fattispecie ove le parti raggiungono ad una conciliazione. Si consideri che l'avvocato della parte ammessa al patrocinio gratuito, che all'esito del procedimento ha composto la controversia per il tramite di un accordo, vanterebbe il diritto alla liquidazione del compenso a carico dello Stato. Uno dei primi uffici giudiziari a prospettare tale lettura fu quello di Firenze (decreto 13 dicembre 2016) che, confermando l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, aveva liquidato all'avvocato la parcella professionale per l'attività stragiudiziale prestata per l'assistenza nel procedimento di mediazione. Si osserva che la controversia verteva in ordine allo scioglimento di una comunione, materia rispetto alla quale la mediazione rappresenta condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'articolo 75 del Dpr 115/2012, secondo il giudice toscano, consente di ritenere che l'ammissione al patrocinio sia valida per ogni grado e per ogni fase del processo come pure per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, compresa la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale, anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. Anche la Cassazione, nella Sentenza n. 9529 del 2013, aveva posto in rilievo il legame teleologico che sussiste fra l'attività stragiudiziale e la successiva azione giudiziaria, considerando sufficiente una "valutazione sostanziale di strumentalità dell'attività stragiudiziale volta a comporre un conflitto in vista della futura ed eventuale domanda giudiziale". Consegue che, per i soggetti in possesso dei requisiti per l'ammissione del gratuito patrocinio, la liquidazione dei compensi dovuti all'avvocato per l'espletamento dell'opera di assistenza posta in essere nella fase di mediazione stragiudiziale obbligatoria, possa essere posta a carico dello Stato, in tal modo sollevando l'assistito non abbiente dall'onere di sostenerne i relativi costi.

Mediazione obbligatoria e gratuito patrocinio: l'intervento della Consulta
La Corte Costituzionale con la sentenza del 20 gennaio 2022, n. 10, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevede che il patrocinio a spese dello stato sia applicabile anche all'attività difensiva svolta nella mediazione obbligatoria, quando è stato raggiunto un accordo e che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l'autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia. I giudici della Consulta hanno spiegato che l'art. 24, terzo comma, della Costituzione, mira a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo l'effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma dello stesso art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile. Detti diritti, i quali rientrano tra i diritti civili, inviolabili e caratterizzanti lo Stato di diritto, richiamano il compito assegnato alla Repubblica, dall'art. 3, secondo comma, Cost., affinché siano predisposti i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste chances di successo nelle liti, rimediando a un problema di asimmetrie, derivante dagli ostacoli di ordine economico che impediscono di fatto di compensare il difensore, che non può trovare soluzione nell'ambito dell'eguaglianza solo formale. In tema di patrocinio a spese dello Stato si è posta la questione dell'individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia. Quando una determinata scelta legislativa giunga a impedire a chi versa in una condizione di non abbienza l'effettività dell'accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale, è naturalmente ridotto il margine di discrezionalità del legislatore, in quanto si tratta comunque di spese costituzionalmente necessarie, anch'esse inerenti, in senso lato, all'erogazione di prestazioni sociali incomprimibili. In siffatte ipotesi l'argomento dell'equilibrio di bilancio recede, essendo la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione. Nel caso di specie, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, e 24, terzo comma, Cost., gli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all'attività difensiva svolta nell'ambito dei procedimenti di mediazione obbligatoria, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché l'art. 83, comma 2, del medesimo t.u., nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l'autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia. È risultato evidente il radicale vulnus arrecato al diritto di difendersi dei non abbienti: il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive rendono distonica e priva di ragionevole giustificazione la detta esclusione. Rimane ferma la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, l'opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie.

L'orientamento del CNF
La sentenza n. 76 del 21 giugno 2018, resa dal Consiglio Nazionale Forense (CNF), ha statuito che l'avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non è legittimato a richiedere la distrazione delle spese in quanto anticipate dall'Erario. Secondo il pronunciamento in questione, l'istanza formulata in tal sensi risulta incompatibile con l'ammissione al beneficio, e pure a prescindere dall'anteriorità, o meno, del relativo decreto rispetto alla domanda ex art. 93 del codice di rito civile. Ne è conseguito il principio secondo il quale il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non può richiedere la distrazione delle spese poiché anticipate dall'Erario, sicché tale richiesta risulta incompatibile con l'ammissione al beneficio, ed anche a prescindere dall'anteriorità o meno del relativo decreto rispetto alla domanda ex art. 93 codice di rito.

La valutazione dell'impegno professionale profuso dal legale
Il giudice non può limitarsi a liquidare il compenso dell'avvocato d'ufficio utilizzando un modulo predisposto che richiama la tariffa professionale vigente, senza valutare l'effettiva attività svolta e l'impegno professionale. Il principio, espresso dalla Cassazione, è ricavabile dall'ordinanza n. 14485 del 2018, dove veniva accolto l'appello proposto da un legale che, appunto, aveva svolto la professione prestando gratuito patrocinio. Lo stesso proponeva quindi appello avverso la liquidazione effettuata dal giudice di pace ritenendola riduttiva rispetto all'impegno professionale profuso e dove non erano state riconosciute le spese borsuali effettuate in favore del cliente. In particolare, il levale aveva adito il tribunale che si era pronunciato a favore della richiesta di maggiorazione del compenso professionale e, in sede di legittimità, ha eccepito la sussistenza di una palese violazione delle norme a disciplina delle spese di lite nel procedimento di opposizione al decreto di liquidazione del compenso spettante al difensore in dipendenza dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in quanto il Tribunale, pur accogliendo la sua opposizione e senza alcuna motivazione, non aveva provveduto anche a disciplinare le spese di lite afferenti al procedimento di opposizione. La Cassazione ha condiviso la tesi del legale evidenziando come il collegio di merito si fosse limitato a nuova liquidazione del compenso dovuto mediante utilizzo di modulo a tal proposito predisposto contenente generico richiamo, quale criterio di liquidazione, alla tariffa professionale vigente, senza anche esternare la necessaria valutazione circa l'effettuazione delle attività professionali indicate e la valutazione dell'impegno professionale richiesto dalla questione giuridica trattata e l'indicazione della ragione fondante la modifica della statuizione adottata dal primo giudice.

L'eccesso di zelo dell'avvocato può incidere sulla liquidazione dei compensi?
Appare doveroso, quanto utile, richiamare un'Ordinanza della VI Sezione Civile della Cassazione, la n. 3926 depositata l'11 febbraio 2019, dove è stata esaminata una vicenda che ha visto coinvolto un avvocato accusato di "eccesso di zelo". Questi aveva notificato un atto, solo per conoscenza, al Ministero degli Interni, e relativo all'opposizione alle spese liquidate per un giudizio. La Cassazione aveva infatti riconosciuto la legittimità del compenso per l'attività difensiva svolta nel giudizio di ottemperanza davanti al Tar nell'interesse del proprio cliente, ammesso al patrocinio dello Stato. Tuttavia, col medesimo provvedimento, il Tribunale ordinario aveva condannato il Ministero della Giustizia, quale parte soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di quello instaurato a seguito di riassunzione. I giudici di primo grado, al contempo, avevano condannato l'avvocato al pagamento delle spese di lite in favore del ministero dell'Interno. La condanna al rimborso delle spese in favore dell'Interno veniva giustificata sulla base della regola della soccombenza, rilevandosi che tale ultimo Ministero, del quale era stata esclusa la legittimazione, non avrebbe dovuto esser convenuto e pertanto non avrebbe dovuto partecipare, quindi non si sarebbe avuta nessuna liquidazione del compenso. I giudici della Cassazione hanno dato ragione all'avvocato che si è lamentato della condanna alle spese in favore del Ministero dell'Interno, a cui il ricorso in opposizione era stato notificato unicamente con finalità di conoscenza, in quanto parte del giudizio presupposto.

Novità in tema di spese dalla "nuova" legittima difesa
La Legge n. 36 del 2019 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), all'art. 8 (Disposizioni in materia di spese di giustizia), introduce, al DPR 30 maggio 2002, n. 115, un nuovo articolo 115-bis (L), titolato "Liquidazione dell'onorario e delle spese per la difesa di persona nei cui confronti è emesso provvedimento di archiviazione o sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento nel caso di legittima difesa".
Viene infatti statuito che l'onorario e le spese spettanti:
• al difensore,
• all'ausiliario del magistrato,
• al consulente tecnico di parte,
di persona nei cui confronti è emesso:
• provvedimento di archiviazione motivato dalla sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 52, commi II, III e IV, del c.p.,
• o sentenza di non luogo a procedere
• di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato in quanto commesso in presenza delle condizioni di cui all'articolo 52, commi II, III e IV, c.p., nonché all'articolo  55, II comma, c.p.,
sono liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità previste dagli articoli 82 e 83, ed è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 84.
Qualora il difensore sia iscritto nell'albo degli avvocati di un distretto di corte d'appello differente da quello dell'autorità giudiziaria procedente, in deroga all'articolo 82, comma II, sono sempre dovute le spese documentate, come pure le indennità di trasferta, nella misura minima consentita.
Infine, qualora dopo:
• la riapertura delle indagini,
• la revoca o l'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere,
• l'impugnazione della sentenza di proscioglimento,
sia pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, lo Stato ha diritto di ripetere le somme anticipate nei confronti della persona condannata.
Con "Liquidazioni spese di Giustizia" si fa riferimento ai compensi e alle indennità spettanti a soggetti terzi quali i consulenti tecnici, i testimoni o i gestori di servizi telefonici o di noleggio apparati, liquidati dal Giudice presso il quale si svolge il procedimento e messi in pagamento dall'ufficio competente del Funzionario delegato alla spesa.
Completata l'attività, l'interessato presenta un'istanza di liquidazione o, per i servizi di intercettazione, la fattura presso la Cancelleria del giudice che ha conferito l'incarico.

Quando l'avvocato impugna in Cassazione revoca dei compensi
Quando il difensore è parte contro l'amministrazione finanziaria, deve nominare un legale dell'albo speciale, pure se egli stesso è iscritto. In particolare, avverso il provvedimento giudiziale di revoca del decreto di liquidazione dei compensi professionali per gratuito patrocinio è possibile procedere all'impugnazione in Cassazione, tuttavia l'avvocato deve farsi patrocinare da un difensore iscritto all'albo speciale, pena l'inammissibilità del ricorso. La Cassazione (Sentenza n. 1117/2021) ha esaminato una vicenda dove l'atto impugnato era stato adottato dal Tribunale insieme alla revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio per l'imputato che è risultato privo dei requisiti, su istanza dell'Agenzia delle entrate. Avvocato e assistito hanno quindi presentato ricorso unitamente contro la revoca del provvedimento di ammissione al beneficio e del decreto di liquidazione dei compensi professionali per l'assistenza legale già prestata nella fase processuale preliminare. I giudici di legittimità hanno dichiarato l'inammissibilità del ricorso del legale che pretendeva di autodifendersi. Il rigetto del ricorso dell'imputato assistito dallo stesso legale in Cassazione è stato invece fondato sulla sua mancanza di interesse all'eventuale accoglimento. Secondo i giudici ermellini, la revoca del gratuito patrocinio produce, in ogni caso, effetti retroattivi aprendo la via all'azione di recupero da parte dell'amministrazione finanziaria.

Nessuna compensazione spese in caso di contumacia
Nessuna compensazione delle spese nel gratuito patrocinio fondata sul presupposto della contumacia della controparte, secondo i giudici della Cassazione (Sez. VI Civ., Ordinanza n. 5445/2022). Nella specie, un avvocato aveva impugnato l'ordinanza della Corte territoriale che aveva accolto l'opposizione interposta avverso il provvedimento di liquidazione del compenso che gli spettava per l'attività dallo stesso prestata in favore di un soggetto ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, tuttavia compensando le spese del giudizio. Il legale si è doluto della violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in quanto la Corte di Appello, nonostante avesse accolto l'opposizione, aveva provveduto a compensare le spese del relativo giudizio sull'unico presupposto della mancata opposizione del Ministero, restato contumace. I giudici di legittimità hanno richiamato il principio secondo il quale "In tema di spese giudiziali, in forza dell'art. 92, comma 2, c.p.c. (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis) può essere disposta la compensazione in assenza di reciproca soccombenza soltanto ove ricorrano "gravi ed eccezionali ragioni", che devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza, senza che possa darsi meramente rilievo alla "natura dell'impugnazione", o alla "riduzione della domanda in sede decisoria", ovvero alla "contumacia della controparte", permanendo in tali casi la sostanziale soccombenza di quest'ultima, che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese" (Cass. n. 7292/2018)". Per l'effetto, il ricorso è stato accolto e l'ordinanza cassata, quindi il giudice del rinvio dovrà pronunciarsi anche sulle spese del giudizio di legittimità.

La piattaforma SIAMM
Presso gli uffici giudiziari che utilizzano la piattaforma SIAMM - Spese di Giustizia è possibile presentare l'istanza online impiegando il Sistema Liquidazioni Spese di Giustizia.
Per accedervi, l'utente deve cliccare su Sistema Liquidazioni Spese di Giustizia e autenticarsi tramite SPID o CNS. Al primo accesso viene richiesto all'utente di completare la registrazione coi propri dati anagrafici e fiscali, che rappresentano informazioni necessarie per consentire all'ufficio giudiziario di procedere correttamente alla lavorazione dell'istanza di liquidazione. I dati inseriti tramite la prima registrazione saranno utilizzabili per le successive richieste. Detta funzionalità sarà accessibile in qualsiasi momento anche successivo alla registrazione. L'utente che deve inviare richieste di liquidazione, al termine della registrazione, accede al sistema e ha la possibilità di usufruire di tre funzionalità:
• monitoraggio dello stato delle istanze già presentate agli uffici giudiziari
• inserimento di un'istanza di liquidazione di spese di giustizia
• inserimento di un'istanza di liquidazione dei decreti indicati nel decreto dirigenziale di cui all'articolo 5 sexies, comma 3 bis della legge n. 89/2001 (legge Pinto)
Nella richiesta di pagamento delle spese di giustizia l'utente deve indicare:
• l'ufficio destinatario
• il procedimento per il quale ha prestato la propria attività
• gli importi richiesti comprensivi di spese sostenute
• indennità spettanti e onorario
• e allegare i documenti richiesti.
Nell'istanza di pagamento di decreti Pinto l'utente deve indicare:
• l'ufficio destinatario
• il procedimento relativo al decreto Pinto da risarcire
• i dati dei beneficiari e/o eventuali successori
• allegare i documenti richiesti.
Per gli utenti si presenta il vantaggio di poter seguire lo stato di lavorazione dell'istanza o della fattura. Per adoperare il servizio è sufficiente un computer col collegamento a internet ed essere in possesso di SPID o CNS, necessari per la convalida giuridica dell'istanza.

Considerazioni conclusive
Il Testo unico in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115/2002) elenca requisiti e condizioni per accedere all'istituto del patrocinio a spese dello Stato. Spesso i legali, dopo aver espletato l'incarico a favore di un soggetto ammesso al patrocinio gratuito, si vedono costretti ad attivare procedure giudiziarie per il recupero del credito, similmente a coloro che devono incassare crediti in seguito all'espletamento dell'opera professionale nell'ambito penalistico delle difese d'ufficio. Anche per queste ultime, infatti, l'assistito può beneficiare del patrocinio gratuito. La giurisprudenza, sia dei giudici di legittimità che di merito, sia quella del CNF, sovente si è pronunciata in ordine alle varie problematiche insorte in relazione sia ai criteri e alle modalità di liquidazione dei compensi, come pure in ordine alle compensazioni e alle procedure di recupero dei crediti attivate dai legali nei confronti dell'Erario. La Corte Costituzionale (Sentenza n. 10/2022) ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, e 24, terzo comma, Cost., gli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all'attività difensiva svolta nell'ambito dei procedimenti di mediazione obbligatoria, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché l'art. 83, comma 2, del medesimo t.u., nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l'autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia, e ciò essendo risultato evidente il radicale vulnus arrecato al diritto di difendersi dei non abbienti: il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive rendono distonica e priva di ragionevole giustificazione la detta esclusione. Infine, la Suprema Corte (Cassazione Civ., Sez. VI, 25 marzo 2022, n. 9727) ha ribadito che la mancata comunicazione delle variazioni di reddito comporta la revoca dal beneficio del gratuito patrocinio.