Professione e Mercato

Lo studio investe sulla digitalizzazione solo se obbligato

di Bianca Lucia Mazzei



Nonostante digitalizzazione e innovazione tecnologica si traducano in aumenti di redditività e in una maggiore capacità competitiva, sono ancora pochi gli studi professionali che ci puntano. Gli investimenti in tecnologia crescono ma vengono realizzati soprattutto per adeguarsi alle nuove normative (protezione dei dati personali e fatturazione elettronica, ad esempio), mentre aree di rilievo, come la gestione dei clienti e la produzione di nuovi servizi, continuano a essere ancorate a modelli tradizionali.
A scattare questa fotografia è l'Osservatorio professionisti e Innovazione digitale del Politecnico di Milano, che da cinque anni mette sotto la lente il livello di innovazione degli studi di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro. Dall'indagine relativa al 2017-2018 emerge che l'investimento tecnologico cresce (si veda il Sole 24ore del 16 aprile 2018), ma non è ancora diventato la molla di un cambiamento più profondo che tocchi l'intero modello di business. «Solo un manipolo di studi ha realmente avviato un percorso di rinnovamento- dice Elisa Santorsola, codirettore dell'Osservatorio professionisti -, investendo in tecnologie attraverso piani strutturati. E questi studi non solo guadagnano di più ma hanno aumentato le loro dimensioni e acquisito un vantaggio competitivo» .
L'investimento tecnologico
Oltre alla necessità di adeguarsi agli obblighi normativi, la spinta a investire sulle nuove tecnologie viene soprattutto dal desiderio di migliorare servizi offerti ed efficienza dello studio. I più sensibili all'informatizzazione sono i commercialisti: più della metà ritiene che la spesa per le tecnologie crescerà del 20% , mentre il 9% degli studi pensa che l'aumento sarà del 50%.
All'opposto, gli avvocati, una volta adempiuti agli obblighi richiesti dal processo telematico, non ritengono di dover affrontare ulteriori spese.
Posizione intermedia quella dei consulenti del lavoro: il 30% degli studi ipotizza infatti aumenti di spesa.
I fattori che scoraggiano l'investimento tecnologico sono soprattutto due: lo scarso interesse della clientela per i nuovi servizi e l'assenza di agevolazioni (per il 57% degli avvocati la mancanza di aiuti è la ragione principale). «Queste risposte - spiega l'idagine - confermano un pensiero che ancora fatica a trovare nella capacità propositiva autonoma l'impulso per l'agire».
Il Cloud
L'uso del cloud continua a crescere per tutte e tre le professioni indagate. Lo utilizza il 48% degli avvocati, il 44% dei commercialisti e il 39% dei consulenti. Sta facendo sempre più breccia perché svincola gli studi da attività onerose, che distolgono tempo e risorse dalla gestione degli impegni considerati di maggiore importanza.
I siti web
Ancora scarsa la presenza di siti web. Su questo fronte commercialisti e consulenti risultano appaiati: solo il 32% degli studi ha un sito e una percentuale ancor minore (25%) intende investirvi. Situazione leggermente migliore per gli avvocati: il 34% degli studi legali ha un sito e il 36% pensa di realizzarlo.
I virtuosi
Gli studi che hanno puntato sulle tecnologie e rinnovato i propri modelli organizzativi o di business sono ancora pochi e si concentrano tra gli studi multidisciplinari. Secondo l'Osservatorio, appena il 6% per consulenti del lavoro e avvocati e il 7% per i commercialisti.
Questo piccolo gruppo ha però già ottenuto buoni risultati sia in termini di redditività (positiva per il 70-77% dei cosiddetti studi “virtuosi” contro il 57-59% degli altri) che di organico, portafoglio clienti e fatturato.
«È però importante sottolineare - spiega Claudio Rorato - direttore dell'Osservatorio - che alla base del cambiamento c'è soprattutto l'elemento culturale. È la dimensione culturale, più che la disponibilità finanziaria, che permette di elaborare una progettualità ben definita e di mettere in discussione modelli consolidati nel tempo».

L’investimento tecnologico

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