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Locazione commerciale e Covid-19: il Tribunale di Bologna concede l'inibitoria all'incasso dei titoli in garanzia del pagamento del canone

a cura dell’avv. Valerio Pandolfini, Studio legale Pandolfini

a cura dell'avv. Valerio Pandolfini, Studio legale Pandolfini

Il tema dei riflessi dell'epidemia Covid-19 sui contratti di locazione commerciale è senz'altro uno dei più dibattuti in questo periodo, come è testimoniato dalla moltitudine di contributi dottrinali che sono stati pubblicati in proposito.


Il problema è ben noto. Le misure straordinarie adottate, dal Governo e dalle Regioni, per il contenimento dell'epidemia hanno inciso pesantemente sulle attività di impresa, imponendo la sospensione in tutto il territorio nazionale – sia pure con differenze derivanti dalle singole disposizioni regionali – di molte attività commerciali e industriali e professionali. Centinaia di migliaia di imprese – tra cui molte di dimensioni medio-piccole, come è tipico del tessuto imprenditoriale italiano – si si sono visti così preclusa per alcuni mesi la possibilità di svolgere la propria attività nei locali la cui disponibilità era stata acquisita attraverso la stipula di contratti di locazione.


Ciò ha creato inevitabili difficoltà, talvolta drammatiche, nel pagamento dei canoni di locazione, visto che l'impossibilità di esercitare l'attività ha messo gli esercenti nell'impossibilità, sia pure temporanea, di trarre i proventi con cui onorare i propri debiti. Di qui i tentativi di individuare, alla luce delle norme contenute nei provvedimenti emergenziali, della disciplina sulle locazioni e dei principi generali del codice civile, basi giuridiche che consentano ai conduttori di sospendere o ridurre il pagamento dei canoni in tale periodo.


Problema di non certo facile soluzione, giacché le norme emergenziali non hanno affrontato né tantomeno risolto il problema. In particolare, l'art. 91 del Decreto “Cura Italia”, imponendo al giudice di valutare il rispetto delle misure di contenimento dell'epidemia ai fini dell'esclusione della responsabilità del debitore, non consente in alcun modo ai debitori di sottrarsi da responsabilità per mancato pagamento dei canoni, mentre le agevolazioni tributarie che sono state riconosciute ai conduttori, dapprima dal Decreto “Cura Italia” per i soli immobili rientranti nella cat. C/1 per il mese di marzo 2020, e poi, ultimamente, dal Decreto “Rilancio”, a tutti gli immobili per i mesi di marzo aprile e maggio 2020 (subordinatamente ai requisiti dimensionali di fatturato e perdita ivi previsti), pur avendo quale presupposto l'avvenuto pagamento del canone, non implicano né impongono che il relativo pagamento sia dovuto sotto il profilo civilistico, esplicando i loro effetti solo, appunto, in ambito tributario.


D'altra parte, le norme relative ai contratti di locazione e le norme generali sui contratti contenute nel codice civile, se sembrano consentire ai conduttori interessati dai provvedimenti di chiusura delle attività commerciali di ottenere, a vario titolo, lo scioglimento anticipato del contratto, non consentono – o quantomeno non consentono agevolmente – agli stessi di mantenere il rapporto locatizio riducendo o azzerando il pagamento del canone nel periodo temporale interessato dai provvedimenti emergenziali. Non foss'altro perché la natura della prestazione cui sono tenuti i conduttori - il pagamento del canone – pur in presenza di una indisponibilità dei locali nei quali veniva esercitata l'attività, rende giuridicamente improponibile la configurazione di una impossibilità materiale di adempiere, in virtù del noto principio genus nunquam perit.


Di qui i tentativi di alcuni autori di configurare – di fronte alla difficoltà di invocare i tradizionali rimedi civilistici - un obbligo dei locatori di rinegoziare l'ammontare dei canoni, basato sul principio di buona fede ai sensi dell'art. 1375 c.c. Si è infatti sostenuta la tesi secondo cui la sopravvenienza causata dall'epidemia Covid-19 e dalle relative misure di contenimento, avendo modificato in misura significativa l'equilibrio originario delle obbligazioni delle parti, faccia sorgere – come accade in generale per i contratti di durata - un dovere di cooperazione per rinegoziare il contratto, in modo da renderne il contenuto più congruo rispetto agli interessi dei contraenti; e ciò indipendentemente dalla presenza di una clausola di negoziazione nel contratto (peraltro rara nella prassi).


Tale tesi rappresenta l'applicazione di un orientamento dottrinale autorevolmente sostenuto – ancorché non univoco – che ha ricevuto negli anni recenti qualche avallo da parte della giurisprudenza, sia pure in verità non molto significativo. L'odierno contesto epidemico rappresenta certamente un vero e proprio banco di prova per verificare se e in quali termini i nostri giudici siano disponibili ad accogliere tale orientamento.


Una prima, parziale ma significativa, risposta proviene dalla pronuncia del Tribunale di Bologna del 12 maggio 2020. Il giudice felsineo è stato adìto in via cautelare, da una società, conduttrice di alcuni locali adibiti a palestra – oggetto di chiusura per effetto dei provvedimenti di contenimento dell'epidemia – la quale ha chiesto che venisse inibito, ai sensi dell'art. 700 C.p.c., l'incasso di assegni bancari a suo tempo dati al locatore a garanzia del pagamento dei canoni locatizi nel periodo aprile-luglio 2020, rappresentando l'impossibilità di procedere al pagamento degli stessi a causa appunto della chiusura dell'attività imprenditoriale.


Il Tribunale di Bologna ha accolto – con decreto emesso oltretutto inaudita altera parte - la domanda cautelare della conduttrice – ordinando quindi al locatore di non mettere all'incasso i titoli – ritenendo che ricorresse nella fattispecie il presupposto del periculum in mora della ricorrente, dati gli effetti pregiudizievoli che questa avrebbe subito qualora gli assegni fossero stati posti all'incasso e non pagati in mancanza di provvista, costituiti dalla segnalazione al CAI, dal divieto di stipulare nuove convenzioni di assegno e di emettere assegni, e dall'iscrizione del protesto.


Sotto il profilo, invece, del fumus boni juris, il Tribunale – e in ciò consiste l'interesse della pronuncia – ha valorizzato il fatto che la conduttrice avesse, prima di depositare la domanda cautelare, avanzato al locatore una proposta transattiva avente ad oggetto la temporanea riduzione del canone locatizio nel periodo da aprile a settembre 2020; proposta che, evidentemente, non era stata accolta dal locatore.


La pronuncia in commento – sia pure nei limiti di un decreto cautelare – sembra così accogliere l'orientamento ora menzionato, delineando appunto la sussistenza in capo alle parti – e in particolare in questo caso del locatore – dell'obbligo di avviare quantomeno una trattativa con il conduttore per una ridefinizione temporanea del canone nel periodo oggetto dei provvedimenti di chiusura temporanea delle attività – ma verosimilmente anche per il periodo successivo, posto che, anche cessato il periodo dell'emergenza sanitaria, i conduttori dovranno fronteggiare un forte decremento di redditività, sia per effetto delle misure di sicurezza che dovranno adottare che per il calo generale dei consumi – in modo da riequilibrare le condizioni proporzionalmente al mancato godimento dei locali.


Tale obbligo implicherebbe, in capo al locatore, il dovere di prendere in considerazione la richiesta di rinegoziazione avanzata dal conduttore, e conseguentemente di iniziare una trattativa e condurla in buona fede – e dunque non in modo malizioso o ostruzionistico - fino all'eventuale accordo di revisione temporanea del canone. Fermo restando che il dovere di rinegoziazione non implica anche quello di raggiungere necessariamente un accordo, e che nessuna responsabilità potrà mai essere affermata in capo al locatore qualora sia stata condotta in buona fede una trattativa, ma la stessa non abbia prodotto alcun risultato utile.
Il problema – non certo di poco conto - che resta aperto è quello delle conseguenze sul piano giuridico del rifiuto del locatore di avviare la trattativa, ovvero della trattativa da questi condotta in modo scorretto; e in particolare, se sia lecito che, in tal caso, il conduttore possa autoridursi il canone di locazione in via di autotutela, ai sensi dell'art. 1460 c.c. oppure possa adire l'autorità giudiziaria, chiedendo il ristoro del danno (a fronte del corrispettivo già versato), chiedendo al giudice di riadeguare l'importo del canone in rapporto alla sopravvenienza epidemica, attraverso un giudizio equitativo, ai sensi dell'art. 1374 c.c. Problema sul quale la pronuncia in commento sembra prendere posizione in modo positivo, accogliendo appunto una domanda cautelare inibitoria dell'incasso di titoli dati in garanzia del pagamento del canone, in presneza (verosimilmente) del rifiuto del locatore di iniziare una trattativa con il conduttore.


La pronuncia appare inoltre rilevante anche per un altro aspetto. Diversi commentatori hanno segnalato come, non appena terminato il periodo di sospensione dei procedimenti giudiziari, si preannuncia un contenzioso imponente su questo tema, che rischia di mandare
letteralmente in tilt un sistema giudiziario già provato. In un'ottica deflattiva, acquisiranno centrale importanza le procedure di mediazione, nell'ambito delle quali spetterà naturalmente agli avvocati il delicato compito di cercare un equo componimento dei diversi interessi in gioco, ma giocheranno un ruolo primario i giudici, visto il potere di conciliazione loro concesso ai sensi dell'art. 185 C.p.c.. La pronuncia del giudice felsineo – la quale, ponendo il locatore nell'impossibilità di incassare i titoli, di fatto lo obbliga ad addivenire ad un accordo con il conduttore - si inquadra appunto in questo ambito.

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