"Maltrattamenti" per il Prof che abitualmente chiama "deficiente" l'alunno
La Corte di cassazione, sentenza n. 3459 del 27 gennaio 2021, ha confermato anche il risarcimento per i genitori
Scatta il reato di "maltrattamenti", e non il più lieve "abuso di mezzi di correzione", per il professore che davanti alla classe qualifichi ripetutamente come "deficiente" un proprio alunno. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 3459 del 27 gennaio 2021, respingendo il ricorso di un insegnante sessantenne di una scuola media siciliana contro la sentenza della Corte di appello di Palermo che aveva confermato anche il risarcimento del danno per i genitori costituitisi parti civili.
Nel ricorso, il docente aveva provato a smontare le accuse sostenendo che il ragazzo, all'epoca dodicenne, aveva dei problemi psicologici che l'avevano portato ad avere una "situazione conflittuale con l'insegnante".
Per la Suprema corte però risulta "accertato in fatto", e non può dunque essere messo in discussione in sede di legittimità, che l'imputato "apostrofasse sistematicamente la vittima durante le lezioni e comunque dinanzi ai compagni di classe, con epiteti dall'indiscutibile valenza ingiuriosa ("fetente", "deficiente", " coglione", "fituso", che sta per sporco, e "vocca aperta", nel senso di stolto), ma anche umiliante, considerando la differenza di ruolo, oltre che di età".
Del resto, argomenta la decisione, "non soltanto non risulta che un siffatto contegno si rendesse necessario a scopi correttivi", ma anzi, prosegue il ragionamento "è indiscutibile che, in ogni caso, e cioè quand'anche il suo autore avesse agito con quegli intenti tale suo comportamento non fosse affatto adeguato a questi ultimi, perciò mancando anche del necessario requisito della proporzione". "Deve, perciò, ritenersi corretta la qualificazione del reato come delitto di "maltrattamenti", ai sensi de l'art. 572, cod. pen.".
Nell'individuazione dei confini tra le fattispecie previste dagli articoli 571 (Abuso di mezzi di correzione e 572 (Maltrattamenti) del codice penale, "particolarmente nell'ambito scolastico", per la Corte vanno richiamati alcuni principi di diritto di recente affermati sempre dalla VI Sezione penale (n. 11777/2020) e che si attagliano perfettamente al caso di specie.
1) L'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto e punito dall'art. 571, cod. pen., ricorda la Cassazione, consiste nell'uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi od educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore nonché dalla scienza pedagogica, quali, a mero titolo esemplificativo, l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate.
2) L'uso di essi, prosegue la Corte, deve ritenersi appropriato, quando ricorrano entrambi i seguenti presupposti: a) la necessità dell'intervento correttivo, in conseguenza dell'inosservanza, da parte dell'alunno, dei doveri di comportamento su di lui gravanti; b) la proporzione tra tale violazione e l'intervento correttivo adottato, sotto il profilo del bene-interesse del destinatario su cui esso incide e della compressione che ne determina.
3) Qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, invece, conclude la sentenza, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo; e, qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, a condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti, ai sensi dell'art. 572, cod. pen.