Lavoro

Mercato del lavoro in cerca di flessibilità, i nodi su assunzioni e svolgimento del rapporto

Le logiche di mercato impongono alle aziende l'adozione di modelli sempre più flessibili nello svolgimento del rapporto di lavoro

immagine non disponibile

di Francesca Servadei*

Come noto, l'emergenza epidemiologica ha portato ai lavoratori maggiore flessibilità in relazione ai tempi ed i luoghi dell'attività lavorativa.

Sorprendendo tutti, all'epoca della pandemia l'Italia era uno dei pochi Paesi europei ad aver già adottato una normativa che disciplinasse lo smart-working, ovvero il D.Lgs. 81/2017.

C'è anche da dire che tale strumento, che prevederebbe l'alternanza tra sede di lavoro e luoghi esterni alla stessa, è stato utilizzato -per evidenti ragioni- come se si trattasse di una sorta di tele-lavoro, fattispecie cui lo smart-working si accomuna per lo svolgimento della prestazione fuori dalla sede ordinaria di lavoro, ma con limiti di spazio (la propria abitazione) e tempo (l'orario ordinario) diversi.

Tale strumento, a tre anni dalla pandemia e con il mercato in forte controtendenza - basti pensare che a Milano il 70% delle aziende ha previsto il rientro alla sede di lavoro - viene utilizzato come principale "merce di scambio" nelle assunzioni: i nostri clienti confermano che per poter attrarre le menti più brillanti sia indispensabile contrattualizzare lo svolgimento dell'attività lavorativa anche da remoto.

Non solo, un'altra istanza in fortissima espansione è la richiesta di godere di un regime di orario lavorativo flessibile. Tale tendenza assume i connotati più diversi: si passa dall'esigenza di lavorare quattro giorni a settimana, alla disponibilità a ridurre il compenso e l'orario di lavoro.

Su questo tema, invece, il quadro giuridico italiano non è particolarmente permissivo ed i motivi sono eterogenei: da un lato il D.Lgs. 66/2003, norma principe in materia di orario di lavoro, non lascia grandi spazi di manovra sul punto e, dall'altro, la contrattazione collettiva frequentemente prevede che la rimodulazione dell'orario settimanale passi per accordi sindacali aziendali, che le aziende sono reticenti (o non possono, per assenza di rappresentanze sindacali aziendali) a sottoscrivere.

In questo scenario, si renderebbe quanto mai opportuno inserire anche strumenti che consentano -in una certa misura, non lesiva della dignità dei lavoratori e dei principi in materia di privacy- l'inserimento di forme di controllo della prestazione lavorativa, che permettano di controbilanciare una maggiore agilità nello svolgimento del rapporto di lavoro, che deve appunto pur sempre essere "svolto".

Di segno opposto, invece, si presenta l'ingresso al mercato del lavoro. Non nascondo che spesso aziende ed investitori stranieri ci chiedano quali forme possano utilizzare per rendere più agevole l'ingresso (e la permanenza) nel mercato italiano. E qui, ad avviso di chi scrive, il piatto piange.

La recente riforma dei contratti a tempo determinato manca del coraggio di fondo per dirsi una "vera" riforma: di fatto (ed almeno fino a quando la contrattazione collettiva non interverrà massivamente nel normare le causali), l a proroga del contratto a termine oltre i dodici mesi sconta le (già, dal D.Lgs. 368/2001) note criticità connesse all'onere della prova datoriale in merito all'effettiva esistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che hanno ingenerato la proroga oltre ai primi dodici mesi iniziali.

Il contratto di somministrazione di mano d'opera, contratto trilaterale in cui il lavoratore assunto dall'agenzia di somministrazione svolge la propria attività lavorativa in favore di un terzo soggetto, è da sempre soggetto a limiti quantitativi consistenti ai quali, recentemente, si accompagnano un crescente numero di contenziosi connessi ai limiti (o non limiti) di durata del rapporto stesso.

Il lavoro intermittente si rivolge ad una platea di destinatari limitata (meno di 24 anni di età e più di 55 anni d'età) in settori specifici e comunque per un periodo di tempo circoscritto (non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari) e ciò a fronte di non pochi disbrighi amministrativi.

Il contratto di prestazione occasionale, pur essendo stato anch'esso oggetto di recente riforma, si presta a rispondere ad esigenze, appunto, strettamente occasionali e limitate.In questo multiforme contesto, la sottoscrizione di un valido patto di prova nell'ambito di un rapporto a tempo indeterminato o determinato (in tale ultimo caso, peraltro, la durata dovrà essere ridimensionata come recentemente previsto dal Decreto Trasparenza) resta una delle soluzioni ad oggi ancora più proficue per valutare la bontà della prosecuzione del rapporto.

Alla luce della panoramica che precede, e fermo il fatto che le logiche di mercato impongano alle aziende l'adozione di modelli sempre più flessibili nello svolgimento del rapporto, occorrerebbe pensare ad un adeguamento generale dei meccanismi di ingresso e permanenza nel rapporto di lavoro, che consentano a tutti gli interessati di fruire nella stessa misura di tale dinamismo.

______
*A cura di Francesca Servadei, senior associate dello studio legale Dentons

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©