Famiglia

Ricongiungimento del minore extracomunitario, l'istituto della kafalah

Nota a Cassazione civile, sez. I, sentenza 11 novembre 2020, n. 25310

di Valeria Cianciolo *


L'istituto della kafalah. Nell'ambito del diritto internazionale, l'istituto del kafalah, tipico del diritto musulmano, si fonda sul divieto coranico dell'adozione ed in ossequio al precetto che obbliga ogni buon musulmano ad aiutare i bisognosi ed in particolare gli orfani, consente ad una coppia di coniugi o anche a una persona singola, di custodire ed assistere minori orfani o abbandonati con l'impegno di mantenerli, educarli ed istruirli come se fossero figli propri fino al raggiungimento della maggiore età.

L'affidato non entra a far parte, giuridicamente, della famiglia che lo accoglie e all'affidatario non sono riconosciuti poteri di rappresentanza o di tutela che rimangono attribuiti alle pubbliche autorità competenti.

Pur essendo disciplinato l'istituto della kafalah in maniera più o meno dettagliata e diversificata dai vari Paesi islamici, nella maggior parte di essi è prevista una dichiarazione di abbandono, l'accertamento dell'idoneità dell'aspirante affidatario ed un provvedimento emesso all'esito di procedura giudiziaria.

Trattasi del c.d. kafalah pubblicistica, anche se vi è la possibilità, nella pratica poco utilizzata, che l'affidamento in kafalah sia l'effetto di un accordo tra affidanti ed affidatari, siglato innanzi al giudice o al notaio, ed omologato da un'autorità giurisdizionale.

In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionale volti all'attuazione del diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve prendersi in considerazione, con carattere di priorità, l'interesse primario del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991.

La disciplina del ricongiungimento del minore extracomunitario al cittadino italiano al quale sia affidato in kafalah si rinviene esclusivamente nel D.Lgs. n. 30 del 2007 a norma del quale, se il minore straniero affidato al cittadino italiano con provvedimento di kafalah non potrebbe mai rientrare nella nozione di "discendente", implicante un rapporto parentale fondato sulla realtà biologica o anche su quella giuridica dell'adozione legittimante, non si ravvisa alcun impedimento a comprenderlo nell'ambito degli "altri familiari", di cui al comma 2°, lettera a), dell'art. 3 del D.Lgs. n. 30 del 2007, per i quali il cittadino italiano residente in Italia può chiedere il ricongiungimento se è a carico, ovvero convive nel paese di provenienza del cittadino extracomunitario o per gravi motivi di salute che ne impongano l'assistenza personale.

Nel caso prospettato dalla sentenza in commento, la Corte d'Appello ha respinto il gravame del Ministero contro l'ordinanza con la quale il tribunale aveva annullato il diniego del visto dell'ambasciata italiana per il ricongiungimento familiare di Tizio, già titololare di permesso per asilo politico, con il proprio fratello minore Caio, affidatogli tramite procura notarile dalla madre.

La Corte d'Appello ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado in forza dell'art. 29 t.u. imm. che elenca i minori che possono equipararsi ai figli – ovvero gli adottati, gli affidati e i sottoposti a tutela e perché, nel caso concreto, il fratello minore del richiedente era stato a lui affidato dalla madre in base a dichiarazione giurata vidimata da un notaio del luogo. In particolare, la Corte d'Appello ha ritenuto non pertinenti i riferimenti delle amministrazioni ai precedenti in ordine all'istituto della "kafalah", poiché nella specie la madre aveva direttamente e semplicemente affidato il minore al fratello maggiore, senza spogliarsi della responsabilità genitoriale.

Gli Ermellini hanno cassato con rinvio la sentenza impugnata perchè la kafalah "…prescinde dallo stato di abbandono del minore, ma si realizza mediante un negozio stipulato tra la famiglia di origine e quella di accoglienza, donde per tale via presenta caratteri comuni con l'affidamento previsto dall'ordinamento nazionale. E solo in quanto finalizzato a realizzare l'interesse superiore del minore esso non contrasta con i principi dell'ordine pubblico italiano e neppure con quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, che pure opera espressamente, all'art. 20, comma 3, il riconoscimento quale istituto di protezione del minore della sola "kafalah" giudiziale - la quale, diversamente da quella convenzionale, presuppone invece la situazione di abbandono o comunque di grave disagio del minore nel suo ambiente familiare (v. Cass. n. 1843-15).

In tale prospettiva la valutazione circa la possibilità di consentire al minore l'ingresso in Italia e il ricongiungimento con l'affidatario non può essere esclusa, quindi, in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della "kafalah" negoziale, ma pur sempre deve essere effettuata caso per caso in "considerazione del superiore interesse del minore."

Il nuovo approdo in tema di kafalah avanzato dalla Cass. civ. Sez. Unite Sent., 16.09.2013, n. 21108. Per meglio inquadrare le problematiche sottese alla sentenza in commento che nel su percorso motivazionale si riaggancia ad una sentenza del 2013 delle Sezioni Unite.

Il Consolato italiano di Casablanca aveva rigettato il rilascio di un visto di ingresso per ricongiungimento familiare a due coniugi, cittadini italiani, residente in Marocco per un minore affidato alla coppia con kafalah emessa dal Tribunale di Tangeri. Ne era nata una lunga controversia in sede giurisdizionale che ha spinto la sesta sezione a rimettere la questione alle Sezioni Unite affinché decidesse sull'istanza dei coniugi secondo i quali al minore affidato in kafala dovevano essere applicate le norme più favorevoli in materia di ricongiungimento.

La pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, interrogata con l'ordinanza n. 996 dello scorso 24 gennaio 2012, ha risposto al quesito sull'applicazione dell'art. 29 TU sull'immigrazione, attraverso l'art. 23 d.lgs. 30/2007, anche al cittadino comunitario, in tal modo aprendo una breccia e andando in senso contrario all'orientamento tenuto fino al 2010.

Secondo l'orientamento mantenuto dalla Suprema Corte fino al 2010, il ricongiungimento familiare del minore affidato in base all'istituto della kafalah consensuale, può avere luogo solo se l'affidatario è un cittadino straniero, mentre se questi possiede anche la cittadinanza italiana, il visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ai sensi della normativa sull'immigrazione, non potrà essergli rilasciato, essendo esercitabile soltanto il procedimento di adozione internazionale.

La Cassazione con questa sentenza segue la strada aperta da una pronuncia della Corte d'Appello di Ancona che nel novembre 2011, in modo dirompente, ha riconosciuto il diritto d'ingresso in Italia, attraverso il ricongiungimento familiare, ad un minore in kafalah a carico di cittadini italiani.

Il Giudice del reclamo, in quel caso, aveva affermato che nonostante l'Italia, al momento, fosse l'unico Stato a non aver ancora ratificato la Convenzione sulla protezione dei minori adottata all'Aja il 19 Ottobre 1996, comunque detta Convenzione, nel ribadire l'importanza della cooperazione internazionale per la protezione dei minori e nel confermare che il superiore interesse del minore è fondamentale, si era posta come scopo quello di creare un metodo comune di protezione dei minori riconoscendo espressamente la kafalah come istituto di protezione dei minori che gli Stati membri devono prendere in considerazione, parificandola così all'adozione e all'affidamento, strumenti tutti di tutela del fanciullo.

Il principio affermato lì viene ripreso dalla sentenza resa a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione: "in ogni situazione nella quale venga in rilievo l'interesse del minore, deve esserne assicurata la prevalenza sugli eventuali interessi confliggenti. Tale principio, affermato nell'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 24 novembre 1989 deve trovare applicazione anche in materia di disciplina interna dell'immigrazione."

La sentenza della Cassazione ribadisce poi che, indipendentemente dall'inadempimento da parte dell'Italia della ratifica della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia del 19.10.1996, non può non tenersi conto del riconoscimento anche da parte dell'Ordinamento Europeo della kafalah quale strumento di protezione dei minori: "Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambito familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell'adozione o, in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità dell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica." (art. 20)

E' principio pacifico che nell'interpretazione delle norme primarie il giudice deve preferire quelle conforme alla Costituzione e pertanto, posto che l'ingresso, il transito e la circolazione di un minore extracomunitario affidato in kafalah a cittadino italiano residente in Italia, è interamente disciplinato dal d.lgs. n. 30 del 2007, se si escludesse in via assoluta la possibilità per il cittadino italiano di ottenere il ricongiungimento con minore extracomunitario affidatogli con provvedimento di kafalah, ci sarebbe contrasto con il principio di eguaglianza.

Il minore e il suo interesse all'interno delle convenzioni internazionali. Le disposizioni della Carta costituzionale, hanno realizzato il passaggio da un sistema in cui il minore era pressoché esclusivamente considerato un soggetto da formare ai fini del suo inserimento nel sistema produttivo, a una concezione del minore inteso come persona umana da tutelare nelle sue fondamentali esigenze evolutive dell'identità personale [1].

La Costituzione pur non prevedendo una disciplina specifica per i minori, inaugura un favor minoris che fonderà la base di un complessivo sistema di promozione dei diritti del minore, considerato nella sua condizione di soggetto in formazione e ritenuto meritevole di protezione, a prescindere dalla nazionalità, dalla capacità di inserirsi nel processo produttivo e dallo sviluppo di un sufficiente grado di autonomia. Il sistema di garanzie costituzionali in favore del minore non è limitato alle disposizioni inserite tra i principi fondamentali della Repubblica (artt. 2 -3) [2][3] , ma si completa con le previsioni di cui agli artt. 30,31,32, 34, 37 e 38, co.3, Cost., che, anziché delineare forme episodiche di tutela in favore di soggetti istituzionalmente deboli, si pongono quali elementi costitutivi di una strategia di intervento legislativo, dove il favor minoris si concretizza nella promozione dei diritti del minore.

Il "best interest of the child" è consacrato anche nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea proclamata a Nizza nel 2000 [4] , ai sensi del quale tale interesse «in tutti gli atti relativi a minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private […] deve essere considerato preminente». Interesse del minore «che non si limita all'aspetto fisico e materiale, ma abbraccia il minore nella totalità del suo essere e nella complessità delle componenti fisiche e psichiche» [5] . La norma si inserisce nel quadro della normativa europea intesa ad assicurare l'impegno degli Stati nella promozione dei diritti dei minori, apprestando loro una tutela adeguata nei singoli ordinamenti interni, sotto tutti gli aspetti che li riguardino.

L'espressione "interesse superiore del minore" suole indicare il criterio guida cui il legislatore deve ispirarsi ed il giudice (e, più in generale, l'operatore del diritto) attenersi, al fine di indicare una soluzione giuridica alle questioni che riguardano il minore. Tale espressione risulta oggi codificata nei principali testi internazionali a tutela del minore, accolta pressoché unanimemente dalle legislazioni nazionali minorili e richiamata costantemente nella prassi giudiziaria interna ed internazionale.

In ambito internazionale la prima affermazione della dottrina del Best Interests of the Child si deve alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo, adottata, all'unanimità, dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1959.

Il secondo principio e il par. 2 del settimo principio prevedono, rispettivamente: «The child shall enjoy special protection, and shall be given opportunities and facilities, by law and by other means, to enable him to develop physically, mentally, morally, spiritually and socially in a healthy and normal manner and in conditions of freedom and dignity. In the enactment of laws for this purpose, the best interests of the child shall be the paramount consideration»; «The best interests of the child shall be guiding principle of those responsible for his education and guidance; that responsibility lies in the first place with his parents» .

Accolto in modo sporadico da numerose convenzioni internazionali sulla tutela dei diritti umani, come la Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1979 (artt. 5 e 16) e i Patti sui diritti civili e politici (artt. 23 e 24) e sui diritti economici, sociali e culturali (art. 10) del 1966, il principio ha ricevuto la sua definitiva consacrazione nella Convenzione sui diritti del fanciullo, siglata a New York il 20 novembre 1989.

Il "best interest of the child" è consacrato anche nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea proclamata a Nizza nel 2000 [6] , ai sensi del quale tale interesse «in tutti gli atti relativi a minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private […] deve essere considerato preminente».

A fronte di un uso così frequente del termine, non è dato riscontrare negli studi dedicati al criterio e nelle soluzioni giurisprudenziali una nozione chiara ed univoca dello stesso.
Tra le tante accezioni riconducibili all'interesse superiore del minore, solo per citare alcuni esempi, vi sono: il perseguimento del benessere materiale e morale del fanciullo; la completezza d'affetti e l'assenza di precarietà; lo sviluppo pieno della personalità del minore; il riconoscimento del grado di maturità raggiunto, tenuto conto della sua età.
I molteplici significati, caso per caso, inquadrati nel criterio dell'interesse superiore del minore derivano principalmente dal carattere ampio ed indeterminato dello stesso. E dunque, l'interesse del minore «non si limita all'aspetto fisico e materiale, ma abbraccia il minore nella totalità del suo essere e nella complessità delle componenti fisiche e psichiche» [7].

Quali sono i diritti del minore riconosciuti nelle Convenzioni Internazionali? Le fonti normative internazionali hanno da sempre assegnato grande attenzione ai diritti del minore, i quali trovano sanzione e tutela in numerosi atti.

Si deve in particolare alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata in Italia con l. 27.5.1991 n. 175, la determinazione delle specifiche garanzie a tutela dei diritti dei fanciulli, quali titolari dei diritti già proclamati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, tenuto conto della particolare fase dell'esistenza umana che essi "attraversano", ossia l'infanzia e l'adolescenza. La Convenzione riconosce a tutti i minori – compresi quelli stranieri, anche se irregolari – un'ampia sfera di diritti: il diritto alla non discriminazione, alla protezione, a vivere con la propria famiglia, alla salute, all'istruzione, a un livello di vita sufficiente al proprio sviluppo, a non essere detenuti se non come provvedimento di ultima risorsa e in strutture separate dagli adulti, alla partecipazione.

Tali diritti, che per la prima volta vengono qui puntualmente enunciati, devono essere rispettati «senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza» (art. 2).

L'ambito di applicazione ratione personae della Conv. New York è limitato ai fanciulli che non abbiano raggiunto i 18 anni d'età, a meno che la legislazione interna dello Stato non consenta di raggiungere la maggiore età antecedentemente.

Passando brevemente ad elencare i diritti riconosciuti al fanciullo ritroviamo: il diritto alla vita (art. 6); il diritto al nome, alla cittadinanza e all'identità personale (artt. 7 e 8 ); il diritto di godere delle cure dei genitori e di avere una residenza (artt. 9 e 18); il diritto alla bigenitorialità (art. 10); il diritto ad essere ascoltato (art. 12); il diritto alla vita privata, all'onore e alla reputazione (art. 16); il diritto alla salute e alle cure speciali, se disabile (artt. 23 e 24); il diritto alla sicurezza sociale (art. 25); il diritto ad un livello di vita adeguato (art. 27); il diritto all'istruzione (art. 28); il diritto al gioco, allo svago e al riposo (art. 31); la libertà di espressione e di informazione, di pensiero, di coscienza e di religione, di associazione e riunione pacifica (artt. 13, 14 e 15); il diritto di accedere all'adozione (art. 21); il diritto alla speciale protezione durante i conflitti armati (art. 38); i diritti relativi alla tutela penale, anche nel processo (artt. 37 e 40).

La tutela di tali diritti, al di là dei margini di coinvolgimento del titolare (ove uscito dall'età infantile), deve essere garantita attraverso scelte che, nell'applicazione di norme e istituti (in tema di tutela della persona ma soprattutto di relazioni genitori-figli), abbiano come punto di riferimento quello che si profila ora come uno dei principi cardine della Convenzione: tutte le politiche riguardanti i più piccoli debbono fondarsi preminentemente sul «superiore interesse del minore».

Infatti, secondo quanto stabilito dall'art. 3 della Convenzione universale sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176), l'interesse superiore del minore deve essere una considerazione preminente in tutte le decisioni di competenza di istituzioni pubbliche e private concernenti il fanciullo. Infatti, la specificità di tale categoria di migranti è la loro condizione di maggiore vulnerabilità, che li espone in modo particolare al rischio di essere vittime delle più disparate forme di sfruttamento. È quindi, necessario che l'adozione di qualsiasi provvedimento che li riguardi sia attuata nel segno del miglior interesse per il fanciullo.

Nel diritto di famiglia, l'interesse superiore del minore è quella clausola generale che il legislatore offre al giudice affinché, nella decisione del caso concreto, temperi, modelli, adatti le esigenze presenti al superiore interesse del minore.

E' possibile la permanenza regolare in Italia del genitore per lo sviluppo psico-fisico del minore?
Recentemente il Tribunale per i Minorenni di Firenze [8] ha autorizzato la permanenza in Italia ex art. 31 TUI del genitore ricorrente, il quale in seguito alla morte improvvisa della moglie aveva deciso di venire in Italia, unitamente ai figli minori e nell'interesse degli stessi, per ricongiungersi con i suoi familiari, da anni regolarmente soggiornanti su territorio italiano, in modo da poter contare sul loro appoggio nella crescita dei figli.

Come è noto, ai sensi dell'art. 31 D. Lgs. n. 286/98, il Tribunale può autorizzare l'ingresso e la permanenza di un familiare di un minore straniero per un tempo determinato per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova sul territorio italiano, dovendosi revocare l'autorizzazione quando vengano a cessare i gravi motivi di cui sopra.

L'art. 31 citato delinea, pertanto, due distinte situazioni giuridiche soggettive [9]: da un lato, il diritto del minore ad avere l'assistenza e la cura del proprio familiare in Italia; dall'altro, il diritto del familiare a dare assistenza al minore stesso, in ragione della tutela di quel particolare bene della vita costituito dall'unità della famiglia e della reciproca assistenza tra i suoi membri.

Si tratta di due posizioni complementari, di cui quella del familiare subordinata a quella del minore, titolare di un interesse che, infatti, costituisce l'oggetto primario della tutela apprestata dalla disposizione in esame, come risulta dalla sua rubrica ("Disposizioni a favore dei minori") e, ancor più significativamente, dall'essere la valutazione sulla sussistenza dei "gravi motivi" rimessa all'apprezzamento del Tribunale per i minorenni.
Ne deriva che l'interesse del familiare ad ottenere l'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo-psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio.

La temporaneità dell'autorizzazione non esclude che essa possa essere prorogata e che, al termine del periodo previsto, permanga la sua ragione giustificativa (i "gravi motivi"), né che possa essere revocata prima della scadenza "quando vengano a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio", essendo la condizione psicofisica del minore, invero, una situazione naturalmente suscettibile di mutare ed evolversi nel tempo.

Secondo il recente orientamento della giurisprudenza bisogna intendere i "gravi motivi" quali motivi legati allo sviluppo del minore, da valutare nel caso concreto secondo età e condizioni di salute del minore che non devono essere necessariamente caratterizzati dall'eccezionalità. Quindi, si deve trattare di un grave danno subito dal minore, secondo una valutazione di tipo prognostico sulle conseguenze negative e peggiorative delle sue condizioni di vita a cui verrebbe esposto se il genitore venisse allontanato o se egli dovesse essere sradicato dal proprio ambiente in ipotesi di espulsione del genitore stesso. E' evidente quindi che tali motivi non possono essere catalogati e standardizzati, bensì valutati necessariamente in relazione al caso concreto, guardando i parametri richiamati riguardanti la vita del minore ed orientando la decisione anche e soprattutto al profilo che riguarda il suo radicamento nel territorio italiano.

Nel 2018 il Palazzaccio [10] ha confermato e consolidato il principio secondo cui, la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, (prevista dall'art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998) in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto.

Deve trattarsi, peraltro, di situazioni di non lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.
Il succinto provvedimento fiorentino sposa questo orientamento nel pieno rispetto del "best interest child" ed offre una lettura dell'art. 31 del Testo Unico sull'immigrazione, seguendo la traccia già fornita da alcune recenti pronunce precedenti ed al contempo consolidandone la portata nel rinforzare, ancora una volta, il parametro del superiore interesse del minore, come criterio guida di ogni decisione che lo riguarda.

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*Avvocato del Foro di Bologna

Note

[1] Per un quadro completo dell'evoluzione della condizione del minore nella famiglia e nella società, cfr. G. Assante, P. Giannino, F. Mazziotti, Manuale di diritto minorile, Bari, 2000, p. 3; M. Bessone, G. Alpa, A. D'Angelo,G.Ferrando, M. R. Spallarossa, La famiglia nel nuovo diritto. Principi costituzionali, riforme legislative, orientamenti della giurisprudenza, Bologna, 2002, p. 257

[2] Nel sistema precostituzionale, il minore era invece destinatario di una serie di norme speciali che tendevano a separarlo ed emarginarlo dal contesto sociale di riferimento; sul punto, cfr. G.Palmeri, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 4

[3] L'art. 2 della Costituzione, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell'uomo, sancisce il diritto di ogni essere umano, a prescindere dalla maturità psicofisica raggiunta, a realizzare pienamente la propria personalità e l'art. 3 Cost., impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, afferma, tra gli altri, il diritto del minore ad avere le necessarie occasioni di sviluppo per una completa realizzazione della sua persona.

[4] Con il Trattato di Lisbona del 2007 – ratificato dall'Italia con l. 2.8.2008, n. 130, ed entrato in vigore il 1.12.2009 – la Carta ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati.

[5] Stanzione, Sciancalepore, Minori e diritti fondamentali, Milano, 2006, 9.

[6] Con il Trattato di Lisbona del 2007 – ratificato dall'Italia con l. 2.8.2008, n. 130, ed entrato in vigore il 1.12.2009 – la Carta ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati.

[7] Stanzione, Sciancalepore, Minori e diritti fondamentali, Milano, 2006, 9.

[8] Tribunale per i Minorenni di Firenze, decr. 22 giugno 2018.

[9] L'art. 31 D. Lgs. n. 286/98 prevede, altresì, due ulteriori fattispecie di revoca dell'autorizzazione, dovute ad attività del familiare incompatibili "con le esigenze del minore ... o con la permanenza in Italia". Ne consegue che comportamenti dell'adulto richiedente, incompatibili con le esigenze del minore, condurranno il Tribunale a negare il rilascio dell'autorizzazione (o a revocarla in caso di condotte sopravvenute), essendo una valutazione necessariamente implicita in quella concernente la sussistenza dei "gravi motivi" e non scindibile da essa.

[10] Cassazione civile, sez. I, sentenza 21 febbraio 2018, n. 4197


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