Il CommentoPenale

Misure di prevenzione personali, la Cassazione ribadisce la natura "personalizzata"

Nota a Corte di Cassazione, Sez. II Penale, Sentenza 6 maggio 2022, n. 18264

di Francesco Giuseppe Vivone, Luca Piatti*

Con la recente sentenza n. 18264/2022 , la Seconda Sezione della Cassazione ha avuto modo di tornare a pronunciarsi sulla natura delle misure di prevenzione personali, analizzando nel dettaglio l'istituto della sorveglianza speciale, alla luce delle ingerenze del diritto penale lato sensu con la settoriale disciplina di cui al d.lgs n. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia).

La pronuncia trae origine dai fatti riguardanti un noto esponente delle tifoserie organizzate milanesi, per il quale il Giudice di prime cure aveva applicato la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con le relative prescrizioni accessorie dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza e di divieto di accesso allo stadio durante le manifestazioni sportive.

La Corte di Appello di Milano confermava il Decreto pronunciato dal Tribunale, ritenendo corretta la ricostruzione effettuata dal Giudice di primo grado, condividendone la valutazione inerente alla pericolosità sociale del sottoposto alla misura di prevenzione e l'appropriatezza delle prescrizioni impartite.

Il sottoposto, col tramite del proprio Avvocato di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge in relazione all'art. 8 del d.lgs. n. 159/2011 .

In particolare, a giudizio del ricorrente, i Giudici del merito, disponendo il divieto di avvicinamento allo stadio, confondevano le prescrizioni applicabili ai sensi del cd. Codice antimafia con la più ampia misura del divieto di accesso alle manifestazioni sportive (D.A.SPO.), previsto dalla legge n. 401 del 1989 .

La Corte, esaminando il ricorso, coglie l'occasione per compiere una attenta disamina degli istituti coinvolti.

Sulla natura delle misure di prevenzione personali sono stati spesi fiumi di inchiostro negli ultimi anni, laddove si evidenziava in particolar modo l'illiberalità di un insieme di istituti la cui applicazione non dipende dall'accertamento in concreto di un fatto di reato, ma dalla mera presenza di indizi che fondano una presunzione di pericolosità.

Il profilo di maggior problematicità si è posto con riferimento al principio dell'inviolabilità della libertà personale di cui all'art. 13 Cost., a norma del quale eventuali misure afflittive debbano necessariamente sottostare al principio di legalità ex art. 25 Cost.: quest'ultimo, tuttavia, contempla unicamente le sanzioni di tipo penale e le misure di sicurezza, rendendo di fatto illegittime tutte quelle misure che prescindono dalla sussistenza di un fatto di reato.

Alla luce di ciò, come rileva un'autorevole voce in dottrina, l'applicazione di misure di prevenzione personali comporterebbe un inevitabile "deficit di legalità" , dal momento che l'applicazione stessa risponde a criteri di probabilità e non di responsabilità.

Quanto alla lamentata violazione di legge relativa all'art. 8 del d.lgs. n. 159 del 2011, la Cassazione opera un'analisi delle ragioni che giustificano l'applicazione di prescrizioni ulteriori (e facoltative) alla sorveglianza speciale.

In prima istanza, i Giudici evidenziano la legittimità della norma di cui al comma 5 dell'art. 8, nella parte in cui statuisce che il giudice della prevenzione possa imporre "tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale": si tratta a tutti gli effetti di una norma che prevede una risposta giudiziale in bianco, laddove è facoltà del Giudice della prevenzione individuare la prescrizione idonea a impedire il protrarsi o il verificarsi di condotte socialmente pericolose.

Nel caso di specie, il giudizio di merito aveva riscontrato a carico del ricorrente elementi oggettivi sufficienti a fondare un giudizio prognostico di pericolosità corroborata, nello specifico, dallo spessore criminale del ricorrente, a più riprese condannato per gravi reati contro la persona e strettamente legato a personaggi di spicco della criminalità organizzata, nonché alla sua totale pervicacia ed indifferenza alle regole del vivere civile.

Il sottoposto, infatti, nonostante un lungo periodo di detenzione terminato da poco, era stato trovato in possesso di armi, manette e una pettorina della guardia di finanza ed era per ciò nuovamente sottoposto a procedimento penale. Esso, nonostante non sia ancora giunto a conclusione, è ugualmente idoneo a fondare il giudizio di pericolosità dell'indagato in considerazione della generale autonomia fra procedimento penale e procedimento di prevenzione.

La Cassazione coglie l'occasione per ricordare che, ai fini della prognosi di pericolosità, è possibile valutare gli indizi a carico sia nell'ipotesi in cui il reato è dichiarato estinto sia quando è intervenuta sentenza di non doversi procedere e persino nelle ipotesi di assoluzione "non piena" per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova (ex art. 530 co. 2 c.p.p.).

L'autonomia del giudizio di prevenzione rispetto al giudizio penale, tuttavia, si spinge fino all'invalicabile limite della pronuncia definitiva di assoluzione con formula piena, in presenza della quale non è possibile considerare come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità un fatto escluso in via irrevocabile in sede penale (sul punto, vengono richiamate Cass., sez. V, 30 novembre 2020, n. 182 e Cass., sez. II, 25 giugno 2021, n. 33533 ).

Alla luce della costante e pacifica giurisprudenza in materia, non si può dunque escludere che un procedimento pendente, per di più se instaurato su elementi di prova inequivoci, possa fondare l'applicazione di una misura di prevenzione.

Per ciò che concerne la asserita sovrapponibilità fra la prescrizione facoltativa del divieto di avvicinamento allo stadio e la misura del D.A.SPO., sulla quale il ricorrente fondava autonomo motivo di ricorso, la Cassazione chiarisce che si tratta di istituti aventi ambiti applicativi distinti: se la sorveglianza speciale presuppone un giudizio di pericolosità del soggetto, il D.A.SPO. è una misura amministrativa di polizia, che consegue ad un accertato comportamento, più o meno violento, tenuto in occasione di manifestazioni sportive ovvero nelle altre circostanze tassativamente descritte dall'art. 6 della legge n. 401/1989.

Alla luce della ricostruzione effettuata, la Suprema Corte rigetta il ricorso ritenendo che la sentenza della Corte di Appello avesse fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia. A parere della Cassazione, infatti, i Giudici del secondo grado "con motivazione approfondita, articolata, del tutto priva di aporie e illogicità, ha[nno] evidenziato una pluralità di elementi univoci e consistenti a carico [del ricorrente], che giustificano la compiuta sottoposizione dello stesso al regime di prevenzione", specificando che "con tale motivazione ampia, accurata e del tutto logica nella sua articolazione, il ricorrente non si è confrontato".

Così come espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1959 , dunque, anche la Suprema Corte di cassazione ribadisce la necessità che le misure di prevenzione risultino individualizzate, tenuto conto della personalità del sottoposto e delle sue abitudini di vita nonché del contesto del caso concreto.

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*A cura dell'Avv. Francesco Giuseppe Vivone, Dott. Luca Piatti